La politica e la paura
di Alessandro Campi

Paura ed angoscia, inquietudine e timore sono l'alimento segreto della politica, rappresentano la giustificazione e la ragion d'esistere di ogni ordine civile. Un'intera tradizione di pensiero politico ha evidenziato con chiarezza il nesso esistente tra l'istintivo senso di paura che sta al fondo di tutte le relazioni umani, il conseguente bisogno di protezione e sicurezza proprio degli individui e dei gruppi sociali organizzati e la costituzione di forme di convivenza politica storicamente assai diverse le une dalle altre, ma tutte caratterizzate da un fine prioritario: garantire la pace sociale e la concordia civile, sollevare dall'ansia e dal timore dell'imprevisto, in una parola rimuovere la paura. Spinoza, tra gli altri, si è espresso su questo punto con grande chiarezza: "lo stato civile è istituito naturalmente per porre fine a un timore comune e allontanare le comuni miserie". Ma bastano un sistema di regole sociali ben architettato, un ordine politico solido ed efficace, per neutralizzare la paura e per rimuoverla una volta per tutte? In realtà, la paura è ineliminabile dagli affari umani. E' un sentimento che può essere tenuto sotto controllo, del quale ci si può anche dimenticare allorché si ha la fortuna di vivere in una di quelle rare fasi in cui le società inclinano verso l'ottimismo e l'euforia e la storia si concede una pausa. Essa tuttavia rimane sullo sfondo, pronta a riaffiorare ogni qualvolta, proprio a causa di un malinteso razionalismo o di una visione semplificata ed eccessivamente edificante dei rapporti sociali, si è convinti di averla superata o definitivamente rimossa. In realtà, non c'è modello sociale o politico in grado di espellere definitivamente l'inquietudine ed il timore dall'orizzonte dei rapporti che gli uomini intrattengono tra di loro.

Il fatto di aver dimenticato questa banale evidenza può forse spiegare l'odierna sorpresa nei confronti delle sensazioni di paura ed insicurezza che hanno ripreso a serpeggiare all'interno del corpo sociale dei Paesi cosiddetti avanzati. Per il fatto di non aver voluto più riconoscere il carattere a suo modo fondativo ed originario della paura, ci troviamo oggi in una strana e difficile condizione: invece di interrogarci sulle cause che la generano e sui modi con cui tenerla sotto controllo, ci limitiamo a stigmatizzarla e ad esorcizzarla, giudicandola un sentimento unicamente regressivo. La nostra paura della paura ci impedisce di comprendere quanto essa sia naturale ed umana, quanto essa tragga alimento non tanto dalla nostra fantasia malata o dai nostri fantasmi, quanto dalla realtà e dall'esperienza. Per dirla con Julien Freund, la paura "è un'emozione spontanea e vitale dell'essere che, per sua stessa natura, reagisce alle condizioni ambientali […] fa parte delle reazioni immediate […] è un aspetto elementare dell'esistenza da cui l'intellettualità spesso ci svia". Il problema è che governarla, vale a dire neutralizzarla e renderla inoffensiva, richiede un impegno di tipo essenzialmente politico, superiore rispetto alla semplice denuncia di un malessere che molto spesso la stessa politica, nelle fasi in cui essa è debole e senza idee, tende a giudicare come una manifestazione puramente patologica.

Se la paura verso gli altri uomini, se l'ansia nei confronti del futuro, rappresentano sentimenti permanenti, connaturati alla natura umana, con i quali la politica deve fare i conti ogni qualvolta essi si manifestano e prendono corpo, cambiano invece nel corso del tempo le ragioni che inducono negli uomini preoccupazione ed angoscia e che li spingono a comportamenti dettati non dalla ragione ma dall'impulsività. Comportamenti che, paradossalmente, aumentano la paura e l'insicurezza invece di diminuirle. Le paure odierne non sono più quelle del passato, quantomeno nello spazio europeo-occidentale. Non temiamo più la fame, le razzie dei briganti, le malattie endemiche, il capriccio dei governanti. Viviamo, da almeno due secoli e grazie soprattutto alla tecnologia, all'interno di un sistema di sicurezza e di protezione che ha reso la nostra vita meno esposta al caso, all'arbitrio ed alla malasorte. Ciò non toglie che proprio gli ultimi due secoli siano stati una fonte inesauribile di timore e di insicurezza, che ogni volta si è cercato di superare e neutralizzare promuovendo nuovi e più solidi sistemi di organizzazione collettiva.

Oggi non temiamo più guerre tra Stati che pure, sino a mezzo secolo fa, si sono sanguinosamente affrontati sul campo, facendo milioni di morti ed operando distruzioni orrende. Il posto dei tradizionali conflitti bellici è stato tuttavia preso dal terrorismo condotto su scala globale: viviamo nell'incubo di attentati che pur quando non minacciano direttamente la nostra esistenza, mettono tuttavia in discussione il nostro stile di vita ed il nostro sistema di valori. Oggi non temiamo più la povertà nelle forme fisiologiche ed umilianti che hanno caratterizzato lo sviluppo industriale, ma certo non ci tranquillizza la crescita di un sistema economico-finanziario capace di produrre, accanto ad una grande ricchezza, forme non meno odiose di sfruttamento e di povertà. Oggi, grazie alla diffusione del pluralismo politico e del modello democratico-rappresentativo, non dobbiamo più sopportare l'arbitrio di monarchi o di dittatori, ciò non toglie che le democrazie odierne inclinino sempre di più all'oligarchia, accentuando una crescente separazione tra cittadini e classe politica. Oggi non siamo più vittime dell'ignoranza e dell'analfabetismo, ma il fatto di vivere nella società dell'informazione non ci rende sufficientemente tranquilli: siamo infatti sommersi da una tale massa di conoscenze, provenienti da un'infinità di fonti, da non riuscire più a distinguere tra l'essenziale e l'accessorio. Insomma, il fatto di vivere in società prospere, avanzate e libere non ci ha liberati dalla paura. Siamo piuttosto preda di timori ed ansie prima sconosciuti: nuovi malattie, microcriminalità metropolitana, degrado ambientale, esaurimento delle risorse, manipolazioni genetiche, immigrazione. Abbiamo persino paura di veder scomparire ciò che più prezioso ognuno di noi possiede: l'identità.

All'interno di questo quadro, in cui paure nuove hanno preso il posto delle antiche, sono due i pericoli che occorre evitare. Da un lato, ciò che possiamo definire la paura della politica. A ben vedere, i fattori e i processi che alimentano le nostre ansie odierne possono essere governati solo attraverso decisioni e scelte assunte, con senso di responsabilità e conoscenza dei problemi, all'interno della sfera politico-istituzionale. Il rigetto del politica e dei suoi attori, lungi dal sollevarci dai pericoli, rischia di accentuarli sino a renderli esplosivi. In tale contesto, il populismo, da molti oggi interpretato come una forma irrazionale di rifiuto della politica, forse andrebbe letto piuttosto come la richiesta, espressa indubbiamente con modalità aggressive e talvolta pittoresche, di un diverso modo di fare politica, di un modello di democrazia più attento alle esigenze di coloro che ne compongono la base sociale di riferimento. L'altro pericolo da sfuggire è ciò che possiamo definire la politica della paura. Il costante allarme alimentato dai mezzi di comunicazione e da una classe politica sovente a corto di idee e di strategie rischia da un lato di generare angoscia anche laddove non ne sussistono i motivi e dall'altro di ingigantire fenomeni e situazioni che pure potrebbero essere affrontati se a prevalere fossero la ragionevolezza, il realismo e la capacità decisionale (il caso tipico è quello dell'immigrazione, sinora sempre affrontato in termini ideologici oppure facendo leva sull'emozione).

La paura, comunque motivata, accresce il bisogno di sicurezza, ma quest'ultima, come ha scritto sempre Julien Freund, "è una neutralizzazione della paura, non con l'esclusione di ogni paura, ma essenzialmente con la riduzione, nella misura possibile, di ciò che rischia di deteriorare l'ordine di una società". Non esiste una sicurezza totale, in grado di sollevarci da ogni ansia una volta per tutte. Le risposte alla paura sono sempre parziali e contingenti, mai definitive. Quel che più conta, la sicurezza ha sempre un costo, in termini di libertà ed autonomia. La paura - insopprimibile come istinto, variabile nelle sue matrici - rappresenta dunque una continua sfida per la politica, sempre alle prese con l'esigenza di garantire sicurezza, stabilità e concordia ma - al giorno d'oggi - in un quadro storico-culturale nel quale la libertà, conquista irrinunciabile, non può essere compressa o limitata oltre una certa soglia. Il nostro problema odierno, sul quale i liberali troppo sicuri di sé dovrebbero riflettere con maggiore rigore intellettuale, è infatti il seguente: come impedire che il bisogno di sicurezza e protezione alimentato da paure non sempre illegittime o immotivate finisca per sacrificare, per mancanza di coraggio politico, le libertà così faticosamente conquistate?

27 settembre 2002

(da Ideazione 4-2002, luglio-agosto)