Il linciaggio postumo di Fortuyn: ignoranza o cattiva fede?
di Cristina Missiroli


La stampa in generale e quella italiana in particolare non ha reso un bel servigio a Pim Fortuyn. "Razzista, estremista, xenofobo, integralista" sono stati tra gli aggettivi più gettonati nei titoli di ieri. La fretta di chiudere le pagine (o forse la speculazione politica) hanno fatto in modo che l'immagine del leader olandese uscisse in maniera a dir poco distorta. Colpa dei titoli, soprattutto. Perché a leggere gli articoli, l'impressione si modifica non poco. Quel che è certo, è che un politico così, gli olandesi non lo vedevano da tempo. Nel grigio della lenta e monotona politica dei Paesi Bassi, Pim Fortuyn è stato un po' come un fuoco d'artificio: brillante, aggressivo, grande comunicatore e provocatore. Capace di attrarre consensi con una lista creata in pochi mesi. Populista, eppure lontano anni luce da Le Pen e Haider.

Fortuyn non era antisemita, non era neo-nazista. Non era in alcun modo integralista. I leader europei con i quali diceva di sentire affinità erano Silvio Berlusconi e Edmund Stoiber. Gay dichiarato, un passato marxista, professore di sociologia e editorialista, aveva conquistato consensi con un programma anti-immigrazione e contro l'alta tassazione. E accusando il governo olandese di inerzia. La sua cattiva fama è dovuta probabilmente alle sue dichiarazioni poco politicaly correct e all'idea di bloccare l'immigrazione musulmana per difendere le libertà civili. "L'Olanda è al completo - recitava il suo ultimo slogan - sedici milioni di olandesi sono sufficienti". E l'ingresso di nuovi musulmani avrebbe messo in pericolo la stessa cultura della tolleranza raggiunta e conquistata dalla civiltà europea. Respingeva l'ulteriore avanzata dei musulmani nel suo paese, insomma, perché non rispettavano i gay come lui, perché minacciavano la libertà delle donne, la libertà di pensiero e di espressione, la tolleranza verso le droghe leggere, la pratica dell'eutanasia: lo stile di vita dell'Olanda liberale.

Per la sinistra europea, Fortuyn rappresentava un fastidioso rompiscatole determinato ad infrangere uno dei più radicati tabù: l'illusione che la convivenza con gli immigrati potesse essere tutta rose e fiori. E aveva il torto di dire, senza reticenza, quel che molti, solo pensano. A differenza di molti movimenti xenofobi, Fortuyn non chiedeva nessun rimpatrio coatto degli immigrati già presenti. Chiedeva però di chiudere le frontiere e difendere la cultura olandese da ulteriori invasioni e attacchi al modello di vita occidentale. Gli stranieri, sosteneva, possono benissimo restare. A patto di scegliere la via dell'integrazione, rispettando i costumi del paesi che li ospita. Non a caso Fortuyn aveva scelto un vice di origine capoverdiana (e perciò cattolico di formazione) e molti candidati di colore. Scambiarlo per un Le Pen, come hanno voluto fare molti giornali, è dunque un'operazione compiuta per ignoranza nella migliore delle ipotesi, in mala fede nella peggiore.

10 maggio 2002

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