La globalizzazione vista dall’Europa
di Stefano da Empoli
Il saggio di Del Debbio sulla globalizzazione è l’ennesima dimostrazione
che mercato ed etica possono e anzi devono marciare insieme. Una
dichiarazione di convergenza che spariglia le posizioni no-global che
proclamano la guerra al libero commercio in difesa di un’equa
ripartizione delle risorse. Come se equità e risorse fossero più
disponibili in un sistema economico chiuso e protezionista.
Innanzitutto, per redistribuire la ricchezza occorre prima produrla. Del
Debbio presenta una lunga serie di dati che segnalano la superiorità
allocativa di un sistema aperto su uno chiuso. Sono i paesi più
aggressivi nell’interagire economicamente con gli altri a conseguire i
risultati migliori sul piano della crescita.
Quanto all’equità, i dati sono più contraddittori. Di certo, tuttavia,
non provano l’esistenza di alcun trade-off tra crescita e standard
sociali. Che in paesi molto poveri sono comunque del tutto inadeguati.
Condizione necessaria per avere elevati standard è infatti un alto
livello del prodotto, che a sua volta è garantito da una maggiore
apertura dell’economia (naturalmente nelle forme più diverse e
graduali). A questo punto, secondo Del Debbio, rientra sul palcoscenico
la politica, il cui ruolo principale al tempo della globalizzazione è
quello di verificare e se necessario garantire che la condizione
sufficiente per l’ottenimento di elevati livelli di protezione per i più
deboli sia soddisfatta. Attraverso l’azione di istituzioni private no
profit, di organizzazioni non governative, dei governi e infine di
istituzioni internazionali ad hoc. Secondo il principio di sussidiarietà
(inteso nella sua duplice accezione orizzontale e verticale), il potere
pubblico deve intervenire soltanto laddove necessario, nel ruolo di
cabina di regia più che di attore protagonista.
Quindi, la globalizzazione, lungi dal prefigurare la fine della
politica, crea per certi versi, a giudizio di Del Debbio, una maggiore
domanda di intervento pubblico, con scopi e modalità adeguati alle
mutate circostanze. Potrebbe persino rendersi necessaria la costituzione
di nuove organizzazioni internazionali o sovranazionali e comunque il
rafforzamento di quelle che già conosciamo (come ONU, Fondo monetario,
Banca Mondiale e WTO). Un punto di vista che sembra sottovalutare il
potere di cui già dispongono alcune organizzazioni internazionali. Che
spesso e volentieri hanno fatto più male che bene ai destinatari delle
loro attenzioni. Una conclusione simile nei contenuti a quelle no global
ma molto diversa nelle motivazioni.
Del Debbio si muove lungo la dialettica tra il “Washington consensus”,
che costituisce l’ideologia, secondo l’autore liberista, del Fondo
monetario, della Banca mondiale e del Dipartimento del Tesoro americano,
e il pensiero no global, come se tutte le posizioni ragionevoli fossero
racchiuse in mezzo. Un’interpretazione che riflette il dibattito
europeo, facendo molto comodo alla sinistra terzomondista, ma certo non
quello americano, dove le critiche da destra alle politiche attuate
dalle organizzazioni internazionali sono ben più consistenti e forti di
quelle provenienti da sinistra. Al di là delle tentazioni isolazioniste
che si nascondono dietro alcune posizioni della destra americana, rimane
un punto molto importante che dovrebbe tenere desta l’attenzione dei
liberali di qualsiasi latitudine, geografica e politica.
Tramontato il sogno collettivista, occorre respingere illusioni di
tenore simile. La pianificazione hard della burocrazia moscovita
presenta rassomiglianze inquietanti con la pianificazione soft della
burocrazia washingtoniana. Ordinare la chiusura di una banca a diecimila
chilometri di distanza, come è stato fatto durante la recente crisi
asiatica (sulla base di quello che è a tutti gli effetti un ricatto, sia
pure spesso a fin di bene) è uno sforzo più degno di Lenin che di Adam
Smith. Finché i liberali doc non lo diranno forte e chiaro, le loro armi
di persuasione finiranno per apparire più spuntate di quanto meritino di
essere, come nel caso della lucida e informata analisi di Del Debbio.
25 aprile 2002
sdaempol@gmu.edu
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