Verso una nuova sintesi tra tradizione e
modernità
Al di là del nuovo organigramma e degli equilibri interni scaturiti
dalla conta delle componenti, il congresso di An ha sicuramente
interessato gli osservatori in quanto metafora delle trasformazioni
politiche in atto. Trasformazioni che riguardano innanzitutto i piani
simbolico, antropologico esistenziale e comunicativo. Come ha scritto
Filippo Ceccarelli: "E' tutta la geografia congressuale ad essere
sconvolta: assai più numerosi di una volta, i giornalisti disperano di
incrociare il leader nei corridoi, ma lo inseguono nei ristoranti o lo
attendono la mattina nella hall degli alberghi". Insomma: la sala
stampa, il bar, il cocktail e il concerto "hanno spodestato le fumose,
interminabili riunioni notturne". Certo, nel caso di An il fenomeno è
ancora più interessante perché costantemente sul filo di un mix
postmoderno tra i riti della vecchia politica territoriale e d'apparato
e le necessità della politica-spettacolo. Come a dire: la sola
Convention non basta e occorre compensare l'immagine con concessioni
residuali al fu "partito organizzato di massa". Per cui, qualsiasi
delegato ha avuto la possibilità di iscriversi e parlare dal palco,
magari dopo pranzo o dopo cena, davanti a poltrone vuote, esponendo al
partito le proprie ragioni e il proprio punto di vista. Ma ciò che,
invece, ha fatto politica, sono stati gli ospiti esterni, le "battute"
dei leader, il look, le scelte estetiche. Gli stessi discorsi sono forse
stati meno importanti delle "battute", dei riferimenti, delle
interviste, degli autori citati, dei libri presentati.
In questo quadro, anche le proposte politiche hanno risentito di questo
mix neo-sintetico. Per cui la proposta di un inedito "riformismo
sociale" è stata accompagnata dalla rivendicazione del radicamento nella
cultura del Novecento (come ha fatto Gasparri, citando Marinetti e
Marconi, Pound e Boccioni) e nell'esperienza politico-esistenziale degli
anni Settanta (come hanno rilevato quasi tutti i dirigenti quarantenni).
Non ci sarebbe "destra di governo", hanno sottolineato quasi tutti,
senza un partito di carne e sangue, la cui classe dirigente - caso forse
unico tra quelle di tutti gli altri partiti - si è formata in una
esperienza esistenziale e simbolica, ancora prima che politica, comune e
davvero sentita. Come poi questa memoria generazionale sia riuscita a
tradursi in un gruppo dirigente che, come ha detto Adolfo Urso, è oggi
parte significativa "della classe dirigente dell'Italia" è una delle
caratteristiche più interessanti del fenomeno-An. Interessante la
definizione di un delegato rilasciata a un cronista del Corriere della
Sera: "Siamo eredi del fallimento della rivoluzione (novecentesca) ma,
allo stesso tempo, siamo eredi della rivoluzione". Anche in questo caso,
prevale la sintesi tra opposti, la ricerca di una sintesi alchemica tra
tensioni apparentemente opposte. Alla ricerca di una sintesi tra
tradizione e modernità. (l.l.)
12 aprile 2002
lucianolanna@hotmail.com
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