Biagi, la Cgil e il "patto per il lavoro" di Milano
C’era una volta l’unità sindacale, i tre sindacati confederali a
braccetto, “cgilcisleuil” pronunciato come una parola unica al
telegiornale. Finché un triste giorno qualcuno non provò a far presente
che la flessibilità non è una bestemmia, e che ai disoccupati cronici
potrebbe anche far piacere avere un lavoro con tanto di stipendio, per
quanto flessibile. E’ quello che, subito dopo la sua elezione nel 1997,
ha portato avanti il sindaco di Milano, Gabriele Albertini, con la
formula dei patti territoriali. Un progetto ambizioso: mettere attorno a
un tavolo a Milano, di gran lunga la più importante realtà produttiva
italiana, i sindacati e gli imprenditori, per trovare gli strumenti
adatti a creare nuovi posti di lavoro per le categorie che, con le
rigidità attuali, saranno sempre con il sedere per terra.
Un progetto così delicato doveva essere gestito da persone competenti.
Albertini incaricò il suo fidato city manager, Stefano Parisi, di
gestire la preparazione del tavolo. Per una consulenza tecnica, Parisi
chiamò un rispettato professore di diritto del lavoro, un equilibrato
professionista che da anni si batteva per introdurre flessibilità nel
mercato del lavoro: Marco Biagi. Fu sua l’idea di impostare la
discussione concentrandosi due categorie specifiche di disoccupati: gli
immigrati extracomunitari e le persone con più di 40 anni. Su questa
base, Parisi e Biagi fecero sedere al tavolo del Comune di Milano gli
imprenditori di Assolombarda e Confcommercio insieme a Cisl e Uil. Era
invitata anche la Cgil, ma Cofferati aveva già annunciato che a Milano
si stava per dar luogo a un editto fascista, che ovviamente non avrebbe
visto la sua approvazione.
Il problema per Cofferati fu che Cisl e Uil vennero convinti a
dialogare: non tanto grazie all’abilità diplomatica dell’impolitico
sindaco Albertini, quanto dalla forza delle idee e delle cifre portate
al tavolo. Le idee e le cifre elaborate da Marco Biagi, insomma. Sotto
la continua supervisione di Parisi, si arrivò in tempi ragionevoli a un
accordo di massima, firmato nel luglio del ’99: il celebre “patto per il
lavoro” di Milano. Il documento fu salutato con una lunga intervista di
Sergio Cofferati al Corriere della Sera, in cui il leader della Cgil
spiegava perché l’era dell’unità sindacale poteva dirsi finita, e
ammoniva Cisl e Uil a non firmare il patto finale. Il consiglio non fu
ascoltato: il patto finale venne regolarmente firmato nel febbraio 2000.
In seguito, nel giro di pochi mesi, i protagonisti di questa bella
vicenda se ne andarono da Milano, per ritrovarsi di nuovo insieme a
Roma. Stefano Parisi si dimise da city manager per assumere l’attuale
incarico di direttore generale di Confindustria. Marco Biagi, ormai lo
sappiamo, era diventato il principale consulente del ministro del Lavoro
Maroni. Ancora una volta attorno a un tavolo a parlare di flessibilità,
ancora una volta impegnati a convincere gli interlocutori della bontà
delle cifre. Ancora una volta una Cgil che non vuole nemmeno ascoltare.
Ancora una volta un riformista morto ammazzato. Speriamo proprio che sia
l’ultima volta.
29 marzo 2002
zanetto@tin.it
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