Parigi val bene una farsa
di Aldo G. Ricci
Anche Marx, come ormai si sa, ha commesso degli errori, forse più
numerosi delle imprese azzeccate. Ma ha avuto certamente delle grandi
intuizioni. Tra queste una indiscutibile: che storia e cronaca non
esitano a riproporsi nelle forme più diverse. A proposito del colpo di
stato di Napoleone III, raffrontandolo con quello del suo più illustre
predecessore, il 18 brumaio, con un'ironia affilata come una lama Marx
concludeva che la Storia ripropone spesso gli eventi in due forme: una
prima drammatica e grande, in forma di tragedia; una seconda comica e
miserevole, in forma di farsa. Verità sacrosanta! Che infinite volte ha
trovato conferma: buon ultima le performances di una importante fetta di
intellettualità italiana, reduce dai girotondi nazionali e riunita in
Francia alla vigilia del Salone del libro di Parigi.
La dolce Francia, come è noto, ha una tradizione lontana di ospitalità
nei confronti degli esuli politici italiani, che vi hanno trovato
rifugio e una tribuna per le loro rivendicazioni, sia durante il
Risorgimento che nel ventennio fascista. Tra la metà degli anni Venti e
lo scoppio della guerra, gran parte dell'opposizione politica e molti
intellettuali si trasferirono così sulle rive della Senna, ridando voce
a quanti non potevano più parlare in Patria. Un libro su quell'esperienza,
nato da una sollecitazione di Sandro Pertini, al quale ho collaborato
alcuni anni fa titolava magistralmente "L'Italia in esilio", perché
davvero oltralpe in quegli anni era rappresentata larga parte del paese:
dai cattolici ai repubblicani, dai socialisti ai liberali, agli
anarchici, ai comunisti. In esilio erano Sturzo e Nenni, Togliatti e
Pacciardi, Rosselli e Gobetti, e così via.
Ma la legge di Marx è inesorabile e la storia, quando si tenta di
ripeterla, affoga nel ridicolo gli emuli improvvisati. E' quanto è
successo qualche settimana fa al Teatro d'Europa di Parigi, nel quale si
sono ritrovati molti degli intellettuali che nei giorni precedenti
avevano denunciato la nascita nel nostro paese di un regime liberticida
invitando a una nuova resistenza. Mentre in Italia veniva presentato un
manifesto (firmato da Asor Rosa, Cerami, Eco, Marramao, Tronti, Rusconi,
Gallino ecc.) in cui si chiamava a una "scelta di civiltà", accusando il
governo di attentare allo stato sociale, al diritto allo studio, alla
libertà intellettuale e così via, a Parigi andava in scena l'anteprima
di una nuova Italia in esilio. Con una diretta della rete "France
culture", sul palcoscenico del teatro venivano letti brani di Pasolini,
che anticipavano i danni del potere telecratico, seguiti dalla lunga
serie di "nefandezze" del governo: attacchi alla magistratura e allo
Statuto dei lavoratori, occupazione della Tv di stato, leggi sul falso
in bilancio, rogatorie, conflitto d'interessi e così via.
Consolo, per descrivere l'Italia di oggi cita Victor Hugo ("ci sono
polizia e malaffare dappertutto ma non c'è giustizia"). Antonio Tabucchi
dichiara che "non c'è stato un colpo di stato dei servizi segreti, ma di
un venditore di mortadelle". Secondo Bertolucci, "Berlusconi vuole
cambiare quelle regole democratiche che hanno permesso la sua elezione".
Per Scola, l'Italia "è un laboratorio del peggio, dove ogni giorno si
pensa a cosa fare di più grave". Per Pardi siamo il "malato d'Europa",
dove per la prima volta il nuovo potere televisivo soffocherà il
legislativo, l'esecutivo e il giudiziario. Secondo Vattimo, infine,
siamo in presenza di qualcosa di molto peggio del fascismo, che sarebbe
riuscito almeno a fare alcune buone leggi sociali.
Chi è fuori da questo circo mediatico può avere difficoltà a credere che
ciò sia realmente avvenuto, ma dovrà rassegnarsi: è avvenuto. E la
pochade non è finita. Al Salone del libro lo stand ufficiale del nostro
paese, dove veniva presentata la ricostruzione della Biblioteca Palatina
di Parma, è stato affiancato da uno stand alternativo a cura
dell'associazione "Resistenza", mentre alcuni partecipanti come Eco,
Tabucchi, Camilleri e Consolo si sono premurati di sottolineare che la
loro presenza a Parigi sarebbe avvenuta al di fuori della delegazione
ufficiale. La prima conseguenza di questo alto impegno civico e di senso
nazionale lo si è visto già nell'anteprima del salone del 21 marzo,
quando i sottosegretari a Beni culturali, Bono e Sgarbi, sono stati
accolti da una folla di contestatori che scandivano slogans contro il
governo italiano, mentre l'ineffabile ministro della cultura francese,
la Catherine Tasca (forse per fa dimenticare i dubbi sui rapporti del
suo più famoso padre - ex comunista e poi in rapporti con Vichy), che
già aveva contribuito a creare la tensione antitaliana con le sue
dichiarazioni contro Berlusconi, commentava seriosamente che nel suo
paese esisteva ancora la libertà di manifestazione, quasi che negli
altri questa libertà fosse in pericolo.
Di fronte a tutto questo, la Francia, che, sotto le antiche bandiere di
difesa della libertà e di asilo ai rifugiati, ha tutto l'interesse a
dare spazio e risalto a queste iniziative e a contrastare un'Italia che
in Europa rappresenta una linea politica diversa, ride di gusto, mentre
i francesi si confermano nei loro pregiudizi sul nostro paese. La
conclusione inevitabile è stata il ritiro della delegazione italiana da
un Salone in cui il solo privilegio riservato all'ospite d'onore, cioè
l'Italia, consisteva nel fare da bersaglio indifeso a una pattuglia di
contestatori di casa nostra chiamati a raccolta dai girotondisti, e
lasciati liberi di compiere il loro "lavoro" sotto gli occhi benevoli di
una ministra della cultura preoccupata di ribadire la sua purezza
rivoluzionaria alla vigilia delle prossime elezioni francesi. L'unica
consolazione da tutta questa vicenda poco edificante è che la legge di
Marx non perdona e che il ridicolo è scritto nel dna dei tardivi
imitatori degli esiliati di un tempo. Parafrasando il '68 possiamo
quindi concludere che la cosa, tutto sommato, non è grave, perché una
risata seppellirà gli emuli di ben altri predecessori!
29 marzo 2002
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