"Colpirne uno per educarne cento". La storia si ripete
di Luciano Priori Friggi


Pochi commentatori, a giudicare da quanto si è letto e sentito, si sono presi la briga di sorbirsi per intero la lettura del comunicato delle Br che ha rivendicato l'assassinio di Marco Biagi. Chi lo fatto lo ha liquidato in genere con giudizi del tipo "soliti ragionamenti farraginosi", "rimasticature leniniste", "follie", ecc. Qualcuno tuttavia ha provato a ragionarci su e ci è parso che il solo Bassolino abbia focalizzato con estrema precisione ed efficacia l'elemento che caratterizza tutto il documento: "In esso si parla di lavoro e solo di lavoro e non c'è spazio per movimenti anti-global e terrorismi vari (tipo torri gemelle)". Se così è, vale forse la pena di analizzare il comunicato per comprenderne meglio contenuti e argomentazioni.

La chiave dell'intero documento ci sembra stia tutta in tre passaggi. Ecco il primo: "In questo quadro per un'economia come quella italiana debole e sottoposta tanto alla concorrenza dei monopoli più forti europei e americani quanto a quella dei paesi emergenti, diventa necessario riorganizzare le relazioni sociali nelle quali gli interessi antagonisti delle classi si contrappongono". I brigatisti, dunque, sono convinti che l'Italia sia indietro rispetto agli altri paesi più industrializzati perché non riesce a competere ad armi pari. La causa? Il nanismo delle nostre aziende a fronte del gigantismo altrui (nel loro linguaggio leninista i "monopoli"). E' ovvio - ma questo lo diciamo noi - che sotto certe dimensioni è quasi impossibile trovare risorse sufficienti per la ricerca e lo sviluppo, con la conseguenza che i ritardi si accumulano e si moltiplicano, diffondendosi a tutto il tessuto economico. Dall'altro, essendo costretti a produrre in prevalenza in settori a bassa intensità di capitale, si soffre la concorrenza dei paesi "emergenti". Da qui la necessità da parte di chi governa di rivedere anche alcuni aspetti dell'organizzazione del lavoro che si frappongono alla modernizzazione del sistema (nel testo "diventa necessario riorganizzare le relazioni sociali").

Il secondo passaggio: "In sostanza ciò a cui si relazionano tanto il Libro Bianco che lo Statuto dei Lavori è il livello di crisi a cui è pervenuto il capitale che obbliga (chi gestisce il potere) a ridefinire i termini dello sfruttamento e di governo del conflitto di classe, in modo tale da recuperare margini di profitto e prevenire l'esplosione del conflitto tra interessi che si polarizzano sempre di più, a fronte di una base produttiva che invece si contrae, processo che come hanno dimostrato i trent'anni trascorsi, non c'è politica economica che possa invertire". Bisogna riconoscere che nell'ultima considerazione contenuta nella citazione c'è, purtroppo, del vero. Le politiche economiche dal '73 ad oggi hanno prodotto infatti essenzialmente non molto di più di un enorme debito pubblico. E' in seguito a questi fallimenti che, nel quadro della crisi in atto, si inseriscono le proposte del Libro Bianco come tentativo estremo, dopo il fallimento di tutte le politiche economiche, di raddrizzare la barca a partire dall'economia reale. L'obiettivo è evidentemente quello di sgombrare il campo da quegli ostacoli (anche legislativi) che fanno da tappo allo sviluppo (anche dimensionale) delle imprese.

Ma nonostante la crisi, e siamo al terzo passaggio: "Il proletariato e la classe operaia in questa fase politica non sono disposti nello scontro perseguendo autonome finalità rivoluzionarie, né sono quindi organizzati in strutture adeguate a praticare e sostenere la guerra necessaria. Il proletariato si misura con le forzature della classe dominante, con l'obiettivo di resistervi e con l'aspirazione a conquistare posizioni sociali e politiche più avanzate e utilizza per mobilitarsi gli strumenti organizzativi che trova a disposizione, essenzialmente gli apparati sindacali". Insomma, la rivoluzione, nonostante tutto, non è alle porte e per contrastare la riorganizzazione capitalistica ci si deve accontentare di ciò che passa il convento.

Perché dunque uccidere Biagi? Perché "l'azione riformatrice di Marco Biagi, esperto giuslavorista e delle relazioni industriali [...] si è espressa nell'esecutivo di Berlusconi, nelle responsabilità primarie ricoperte nell'elaborazione del 'Libro Bianco', nell'aver sostenuto le misure di abrogazione dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, e nell'essere promotore e conseguentemente incaricato del compito di guidare l' apposita commissione governativa, che ne dovrà realizzare il definitivo superamento con lo 'Statuto dei lavori' che adeguerebbe la regolazione dei rapporti di lavoro alle nuove condizioni di mercato...".

Dopo quanto esposto come dar torto a Bassolino? In conclusione, sbaglia chi si sofferma solo sul linguaggio leninista del comunicato e tralascia tutto il resto. L'operazione da fare è esattamente opposta. Bisogna eliminare tutto ciò che è, come dire, di maniera e andare al sodo. Ci si accorgerà allora che colui (o coloro) che ha scritto il documento non è affatto né uno stupido né uno sprovveduto e che l'obiettivo perseguito è quello di porsi non al di fuori del movimento ma come sua punta avanzata (nel documento si usa la locuzione "prassi rivoluzionaria d'avanguardia"). Se l'operazione dovesse avere successo si assisterà ad un salto nella dimensione dello scontro. Altrimenti, in attesa che maturino le condizioni rivoluzionarie, dovremmo attenderci qualcosa di non molto diverso da quanto ci ha mostrato, subito dopo l'assassinio di Biagi, Blob quando ha mandato una scena di un film di Nanni Moretti in cui si vede l'attore remare pigramente mentre ripete ossessivamente "colpirne uno per educarne cento, colpirne uno per educarne cento...". Il film, se non ricordiamo male, è datato, la scena purtroppo no.

29 marzo 2002

luciano.priorifriggi@tin.it