Il signori della controriforma
di Pierluigi Mennitti
Dialogo. Era la parola magica che molti commentatori hanno provato a
riesumare dopo la manifestazione sindacale del Circo Massimo. Per
rispondere alla sfida terroristica. Per provare a sbloccare un paese,
l'Italia, che deve riagganciare l'Europa. Soprattutto sul versante delle
riforme economiche. Dialogo tra governo e sindacati, tra governo e
opposizione, tra governo e Confindustria. Lo aveva riproposto anche
Berlusconi, all'indomani del feroce attentato brigatista contro un uomo
libero che aiutava il governo a sviluppare politiche riformiste. Lo ha
ancora invocato Ciampi, dall'alto del suo ruolo istituzionale, per
provare a riportare sul terreno della trattativa uno scontro che rischia
di finire in un vicolo cieco. Invocazioni dettate dal buonsenso, o
semplice buonismo a basso costo?
Perché, a giudicare dal modo in cui Sergio Cofferati ha voluto spendersi
il credito accumulato con la manifestazione del Circo Massimo, c’è da
supporre che il dialogo sia bello che morto. E forse, per tentare di
riannodare un filo, sarebbe più opportuno che i “pompieri” spiegassero
un po’ a tutti quali sono i motivi di un confronto così aspro, dal
momento che quelle riforme vanno fatte per evitare che l'Italia debba
pagare, da qui a qualche anno, una cambiale salata per non aver
riformato, per non aver cambiato. La Commissione europea e il Consiglio
europeo hanno tracciato la strada maestra: allentare le rigidità del
mercato del lavoro, introdurre flessibilità, dare opportunità alle nuove
generazioni soffocate dalla rete di privilegi che l'economia non può più
sostenere. Tra tutti i paesi dell'Unione, l'Italia ha il mercato del
lavoro più rigido. Dunque, deve recuperare il terreno perduto.
La Casa delle libertà ha impostato la propria campagna elettorale sulle
riforme del sistema economico. Ha raccolto attorno a un programma di
innovazione il consenso per governare. Consenso che proviene da un
blocco sociale molto preciso che ha la stessa dignità e la stessa forza
dirompente di quello che si raccoglie attorno alla Cgil. Né più né meno.
E che ha il diritto di vedere portate avanti le riforme per le quali ha
votato i propri partiti e il proprio capo del governo. Dialogo dunque,
con tutte quelle forze - sindacali, politiche, sociali - che vogliono
contribuire a determinare le fortune del nostro paese e non quelle
personali di qualche futuro uomo politico.
Perché la battaglia che Sergio Cofferati sta giocando sulla pelle dei
lavoratori e degli italiani è tutta personale, come dimostra il pretesto
dell'articolo del ministro Martino. E' una partita per evitare l'oblio
che tocca a tutti i capi sindacali una volta che vengono sostituiti. Fra
poche settimane il Cinese lascerà la Cgil e non può lasciarsi sfuggire
l'occasione di riempire il vuoto politico che il Ds hanno lasciato a
sinistra. Ma noi che c'entriamo? Che c'entrano i lavoratori italiani? E
che c'entrano i riformisti della sinistra, trascinati su un terreno di
scontro sociale che nuoce al paese e all'Europa? Che c'entrano Pezzotta
e Angeletti, i leader di Cisl e Uil, che hanno di fronte anni di impegno
in un sindacato che deve raccogliere le sfide dei tempi nuovi?
Prigionieri di una “sindrome cinese”, hanno tutti lasciato la bandiera
riformista nelle mani dell’esecutivo, rinunciando a giocare la propria
parte nell’interesse generale del paese. Spetta dunque al governo fare
la propria parte. Per questo lo abbiamo votato. Sarebbe ora che qualche
riforma di interesse generale veda finalmente la luce.
29 marzo 2002
pmennitti@hotmail.com
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