Un partito in cerca di una strategia
di Domenico Mennitti
Il congresso nazionale di An sarà vissuto dai delegati come l’occasione
per celebrare la consacrazione definitiva della conquistata agibilità
politica. A Fiuggi, dove il partito assunse il nuovo nome, fu realizzata
un’operazione imposta dagli eventi, che avevano coinvolto il Msi nella
maggioranza e nel governo del paese, senza che questo obiettivo fosse
mai stato nei programmi e neppure nelle speranze del partito di
Almirante. Cinquant’anni di emarginazione dalla vita pubblica avevano
radicato nella classe dirigente missina la convinzione che il proprio
ruolo dovesse restare – per sempre – quello dell’opposizione,
rassegnandosi perciò a svolgere - nell’ipotesi più nobile - una funzione
di testimonianza. La caduta del vecchio sistema, l’adozione della legge
elettorale maggioritaria, l’avvento di Berlusconi spinsero il Msi ad
entrare in tutta fretta nella maggioranza e nel governo, per cui fu
urgente convocare un congresso che attribuisse al partito una
connotazione nuova, soprattutto che definisse i rapporti con il passato.
A Fiuggi furono compiute tre scelte importanti ed irreversibili:
l’accettazione della libertà come valore che si realizza nel sistema
democratico; l’accoglimento del mercato come elemento fondamentale del
sistema economico; la collocazione sul fronte occidentale in politica
estera, sconfessando attrazioni in direzione opposta che negli ultimi
anni avevano suggestionato soprattutto i giovani.
Era gennaio del 1995 e sono trascorsi da quella svolta sette anni, nel
corso dei quali An è stata attenta ad approfondire ed arricchire le
intuizioni dell’avvio, valutandole attraverso il filtro dell’esperienza
che andava maturando. Meritano citazione due tappe importanti: la
conferenza di Verona del 1998, dove Fini manifestò una capacità
pragmatica della quale non si accreditava una classe dirigente di
provenienza accentuatamente ideologica, ed il convegno di Napoli del
2001, una sorta di vetrina del nuovo movimento alla vigilia della
conquista del potere. Conquistato il quale, An ha avviato una nuova fase
che la vede partecipe della vicenda politica nazionale con un ruolo di
responsabilità riconosciuto da tutti. Non è che siano finiti gli esami
che, come si sa, in politica non finiscono mai; è certamente caduto il
pregiudizio, per cui An doveva sempre dimostrare qualcosa per essere
dichiarata idonea a partecipare con dignità alla vita pubblica.
Nel corso dei dieci mesi trascorsi dopo il successo elettorale, An é
riuscita a svolgere una funzione moderata nel governo, atteggiamento che
ha accreditato in particolare il suo leader nel rapporto interno alla
Casa delle Libertà, ma anche in quello esterno con l’opposizione e con
le forze sindacali. Per ultimo è giunto l’ambito riconoscimento
internazionale con la elezione di Fini a rappresentare il governo
italiano nella Convenzione europea, per cui il suo nome è iscritto
nell’albo dei padri della nuova Europa. C’è ragione per ritenere che il
congresso di Bologna celebrerà il conseguimento del traguardo della
“normalità”: se per gli altri partiti questa non è mai stata una prova
determinante, per gli eredi del Msi è invece una sorta di risarcimento
esistenziale, la fine della marginalità politica ed umana durata
cinquant’anni.
Eppure il partito sotto questa patina di felicità nasconde una evidente
inquitetudine, riscontrabile non tanto nell’animosità delle correnti
quanto nella difficoltà di individuare una strategia giusta per
evidenziare il “valore aggiunto” che la destra può offrire alla
coalizione della quale è parte rilevante. Ci sono segnali elettorali non
proprio confortanti, ma soprattutto è il progetto politico che risulta
inafferrabile. Pur con il moltiplicarsi in quell’area di pubblicazioni
ed iniziative, resta problematico individuare il profilo
politico-intellettuale. Come ai tempi dell’opposizione, è facile capire
quanto An combatte, più difficile percepire quello che si prefigge di
costruire. E’ come se, dopo il balzo iniziale che gli è stato utile per
liberarsi dei vecchi legami, oggi il partito incontri enorme difficoltà
ad elaborare le risposte che il suo stesso processo evolutivo propone.
L’auspicio è che il congresso affronti con coraggio questi problemi.
Scontata la plebiscitaria conferma di Fini, sul presidente grava ora
l’onere di restituire alla politica nazionale quella destra democratica
che da decenni manca ed ha contribuito non poco a costituire la
cosiddetta “anomalia italiana”. Se An festeggia la conquista della sua
normalità, faccia uno sforzo per contribuire ad estendere questa
condizione all’intero sistema politico italiano.
4 aprile 2002
(da Il Mattino)
dmennitti@hotmail.com
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