Chiesa e Internet: il rischio-censura
di Carlo Stagnaro

Internet è, ancora una volta, al centro del dibattito. Ed è un bene poiché, se è vero che dal dialogo può emergere uno scampolo di verità anche minuscolo, lo scontro di tesi contrapposte non può che portare a una maturazione – individuale e sociale. L’esistenza di un confronto è doppiamente importante nel caso della rete, poiché essa è al tempo stesso oggetto del contendere e luogo della discussione. E’ con grande interesse, dunque, che devono essere accolti i due documenti recentemente emessi dalla Santa Sede: “Etica in Internet” e “La Chiesa e Internet”, elaborati dal Pontificio consiglio per le comunicazioni sociali. Correttamente, gli estensori di tali scritti hanno affermato che Internet costituisce un mezzo, dunque né buono né cattivo ma neutro. Buoni e cattivi, piuttosto, sono gli usi che se ne possono fare e, di conseguenza, ogni valutazione morale si applica agli uomini.

Le autorità ecclesiastiche, tuttavia, avrebbero messo in evidenza – secondo il “Corriere della Sera” – che la rete “può diventare un' arma potente dei ricchi contro i poveri, delle nazioni forti contro quelle deboli”. In astratto questo può essere vero, ma bisogna fare attenzione a non cadere nel pregiudizio paternalistico secondo cui i cittadini dei paesi arretrati (ma anche le classi meno colte di quelli sviluppati) non sarebbero in grado di “assorbire le informazioni” che ricevono. In realtà, infatti, nessuno è – contrariamente a quanto vorrebbe la retorica alla moda – “bombardato” di notizie, per il semplice fatto che la rete mette a disposizione le informazioni solo a chi le cerca. Vi è chi utilizza la propria connessione per esplorare siti scientifici o divulgativi, cattolici o no, e chi si limita a visitare siti porno.

In questo senso, la Chiesa dovrebbe accogliere a braccia aperte le opportunità offerte dalla rete. Essa, infatti, permette alla predicazione evangelica di raggiungere virtualmente chiunque: dagli individui più refrattari ai cittadini di quei paesi in cui la devozione a Cristo è vietata. E’ pur vero che l’esistenza di Internet crea un forte divario – in termini di conoscenza e di informazioni – tra coloro che vi hanno accesso e quanti non hanno questa possibilità. Ma il “digital divide” non va letto come una fonte di nuovi problemi; piuttosto, quale stimolo a progredire – anche spingendo i paesi che rifiutano le logiche di mercato ad aprire le proprie frontiere al commercio. Quello che bisogna evitare, insomma, è il feticcio dell’uguaglianza formale tra disuguali, il cui unico sbocco pratico può essere il livellamento verso il basso (cioè la sottrazione di Internet a chi oggi ce l’ha, non certo l’allargamento delle libertà digitali a coloro che devono affrontare ben altri problemi). In questo senso, sono comprensibili ma infondate le preoccupazioni espresse dalla Santa Sede. Internet, secondo i due documenti, avrebbe fatto esplodere tutte le questioni etiche circa “la riservatezza, la sicurezza, il diritto d’autore e la proprietà intellettuale, la pornografia, siti che incitano all' odio, la diffusione di pettegolezzi e di diffamazioni mascherati da notizie e molto altro”. Insomma, servirebbero nuove leggi. In realtà, la rete ha messo in crisi concetti legati a un’impostazione statalistica (come la proprietà intellettuale) o ha fatto emergere non-problemi di sempre.

Si pensi alla pornografia. La questione da dibattere non è tanto l’esistenza o il diritto di esistere di siti pornografici. Fatta salva naturalmente l’eventualità di ragazze o ragazzi ridotti in schiavitù che, però, è un problema legato alla schiavitù e non al mercato del porno, la domanda da porsi è piuttosto: perché tali siti sono tanto richiesti? Sarebbe puerile rifugiarsi in una risposta moralistica. La verità, però, è che il dilagare del porno è figlio di una cultura relativistica e ostile a ogni valore tradizionale di cui Internet è specchio fedele (come lo sarebbe se la cultura maggioritaria fosse, viceversa, informata di valori antichi e sani). Come osserva Vittorio Messori, infatti, “Noi assistiamo alla demonizzazione della castità, della volontaria limitazione dell’attività sessuale, il cui dispiegamento totale e universale è predicato come assolutamente indispensabile perché l’uomo e la donna siano davvero tali”. E Antonio Socci ha recentissimamente osservato su “Il Giornale” che “Se l’osceno è letteralmente ciò che sta fuori dalla scena, il sesso è oggi la cosa meno oscena che ci sia. Infatti non fa più scandalo… [Quello di Gesù] è diventato il nome imbarazzante, ciò di cui tutti hanno nostalgia e desiderio, che tutti commuove, ma di cui non si parla, di cui nei salotti, sui giornali, è imbarazzante parlare mettendosi in gioco personalmente”. Il compito della Chiesa, dunque, dovrebbe essere ancora una volta e più che mai di testimonianza e di apostolato: di diffusione e sostegno a certi valori e soprattutto al messaggio salvifico di Gesù e non di censura o di guerra nei confronti della rete – uno strumento, va ripetuto, di cui gli stessi cattolici potrebbero fare e spesso fanno un uso egregio. Un passo dei documenti su Internet e la Chiesa che invece è incontrovertibile è quello fortemente critico verso gli uomini politici. Essi, secondo quanto scritto dal Pontificio consiglio per le comunicazioni sociali, userebbero la rete senza “rispettare la verità e la lealtà”. Ancora una volta, Internet non c’entra. Né, in questo caso, è lecito scandalizzarsi. Le promesse elettorali sono state inventate ben prima che venisse acceso il primo computer.

15 marzo 2002

c.stagnaro@libero.it