Nel mirino le riforme che chiede Bruxelles
di Pierluigi Mennitti

L’eco degli spari che hanno spento la vita del professor Marco Biagi si è sentita fino a Bruxelles. Le ragioni dell’attacco neo-brigatista, riaffermate nel comunicato di rivendicazione giunto via e-mail in tutta Italia, hanno spalancato le orecchie dei leader dell’Unione Europea. Pochi tra gli analisti hanno ancora affrontato questa prospettiva più ampia, continentale, nella quale può essere inserito il vergognoso attentato di Bologna. Pochi hanno teso un filo rosso tra il vertice di Barcellona sulle riforme del mercato del lavoro, consumatosi nel compromesso politico e nella guerriglia per le strade, e l’attacco vigliacco di via Valdonica. Un filo rosso che la rivendicazione traccia invece molto chiaramente, fin dalle prime righe, con quell’accenno ai “vincoli di indirizzo e di bilancio centralizzati e legati all’integrazione monetaria europea” che sarebbero alla base della modifica del sistema politico italiano: “quell’alternanza tra coalizioni politiche incentrate sugli interessi della borghesia imperialista”.

Pur progionieri di schemi ideologici di natura leninista, che riflettono visioni di una società che non esiste più - il proletariato, le avanguardie combattenti, eccetera – l’analisi dei terroristi affronta il tema delle riforme economiche, specie quelle legate al mondo del lavoro, in chiave europea. E’ l’intero continente che spinge per scardinare, a loro avviso, le tutele statali ai lavoratori, e l’Italia obbedisce soltanto alla più ampia tendenza mondiale di imporre ovunque il modello dello sfruttamento capitalista. Ancora il documento di rivendicazione sottolinea il ruolo europeo svolto da Marco Biagi. Testualmente si afferma: “Le responsabilità di Marco Biagi non si sono fermate a un piano nazionale, ma sono state assunte anche a livello internazionale. Ad esempio in sede Ue, dove è stato consigliere di Prodi alla Commissione europea, e membro di comitati ad hoc come il Gruppo di alta riflessione sulle relazioni industriali incaricati dalla Commissione stessa, per la riforma del mercato del lavoro e delle relazioni industriali e l'istituzione del dialogo sociale”.

Oltre alla solita buona conoscenza dell’attività e del ruolo svolto dalle vittime, le Brigate Rosse provano a globalizzare lo scontro armato. In questo gettando ami nelle direzioni più varie della contestazione, sia per reclutare nuove unità da impiegare a livello operativo in successive azioni, sia per gettare ponti con nuclei armati che dovessero essere pronti in altri stati dell’Unione Europea. E’ per questo che nelle cancellerie del continente alto è l’allarme per l’attentato di Bologna. Ci si chiede se l’azione italiana possa rimanere un episodio isolato, restare all’interno del caso anomalo di un paese incapace di muovere le leve delle riforme sociali ed economiche. O se questi gruppi eversivi possono travalicare le Alpi e attivare gruppi analoghi dormienti in altri paesi. Alcuni dei quali, come la Germania, hanno vissuto periodi tragici di terrorismo negli anni Settanta.

Nel breve discorso che il premier spagnolo José Maria Aznar, uno degli alfieri della flessibilità del mercato del lavoro, ha tenuto al Parlamento europeo per commemorare Biagi, si evidenziava, oltre al dolore per la scomparsa di un uomo che aveva a lungo lavorato in Europa, la preoccupazione per la piega presa dalla battaglia anti-riformista. Aznar aveva assistito in prima persona alla violenta ripresa della contestazione antiglobal per le strade di Barcellona, in occasione del vertice europeo della settimana scorsa. Non è il caso tirare conclusioni affrettate sulla contiguità di mondi che restano assai distanti, come quello della protesta antiglobal e quello del terrorismo. Ma è evidente la base ideologica comune di certe battaglie. E come a Genova i black block hanno infiltrato i cortei dei manifestanti attivando azioni violentissime, così vi è il timore che le nuove Br possano trovare un terreno fertile di aggregazione. Il passato insegna e sarà bene che gli investigatori tornino a studiarlo. E che lo studino anche i leaderini della contestazione, già una volta apparsi inadeguati a fronteggiare situazioni fuori dall’ordinario. Le loro dichiarazioni dopo l’attentato di Bologna non lasciano ben sperare. Oggi, è vero, non esistono le condizioni perché il terrorismo abbia un futuro. Ma può avere un presente. Tragico e feroce, proprio perché privo di sbocchi.

22 marzo 2002