Analisi. Brigate Rosse e dintorni
di Giuseppe Mancini


Non si tratta di schegge impazzite. Se la rivendicazione - come sembra - è autentica, l'omicidio di Marco Biagi rappresenta un punto di svolta inquietante. L'omicidio D'Antona – si disse – era un segnale per il rilancio della lotta armata, la prova offerta dalle Brigate rosse per la costruzione del partito comunista combattente agli spezzoni prototerroristici attivi in Italia – gli altri neobrigatisti, gli anti-imperialisti, gli anarco-insurrezionalisti – che si voleva fare sul serio. Oggi, rispetto al 1999, la situazione politica in Italia è radicalmente cambiata: c'e' un governo di destra, con un programma ambizioso di modernizzazione; c'è stata la guerriglia di Genova, in occasione del G8; esiste una volontà forte di cambiamento, ampiamente condivisa nel paese; si assiste ad una esasperazione dei toni della dialettica politica e sociale, da parte di chi ha mal digerito la sconfitta elettorale del 13 maggio 2001. L'omicidio di Marco Biagi, in questo contesto, appare come una manifestazione di forza e determinazione: l’obiettivo è stato raggiunto, la chiamata alle armi ha dato i frutti sperati, può cominciare una nuova massiccia offensiva.

La rivendicazione delle Br-Pcc, 26 pagine spedite tramite posta elettronica a circa 500 indirizzi (in prevalenza organi di stampa, sindacati, comunisti rifondati e gruppi della sinistra antagonista), offre elementi di estremo interesse per capire cosa sta accadendo. In sostanza, da una prima analisi del documento di rivendicazione, emergono due linee di tendenza: da una parte, la saldatura avvenuta tra gruppi terroristici operativi e spezzoni del movimento globalofobo, che svolgono il ruolo oggi di fiancheggiatori, domani - nelle intenzioni - di serbatoio di uomini se la lotta armata decollasse; dall’altra, la dichiarazione di guerra contro le istituzioni (centrodestra, centrosinistra, sindacati, teste pensanti delle riforme come era appunto Biagi) e contro tutti quelli che, all’interno del movimento che parrebbe opporsi alla globalizzazione, non fanno seguire i fatti alle parole (come il “disobbediente” Casarini, già consulente abbondantemente pagato di Livia Turco).

La saldatura appare manifesta nell’analisi pseudo-politica del documento di rivendicazione: attraverso l’opposizione intransigente verso la globalizzazione, verso quello che viene definito imperialismo economico di cui sarebbero responsabili i paesi occidentali, Usa in testa. Una lotta che accomuna le nuove Brigate Rosse ai Nuclei comunisti combattenti, ai Comitati di appoggio alla resistenza per il comunismo (Carc), ai Nuclei territoriali antimperialisti (Nta), ai vari gruppuscoli eversivi dell’area anarco-insurrezionalista ed eco-terrorista: un network che, come al-Qaeda, potrebbe instaurare forme strette di collaborazione. Una lotta che li accomuna ad una parte del movimento globalofobo: non è un caso che i temi alla base della risoluzione strategica delle Br-Pcc – la terminologia, alcune frasi intere – compaiono nei forum di discussione online e nei siti web dell’antagonismo italiano, già da alcuni anni. Non si vuol sostenere – lungi da noi – che chi si oppone alla globalizzazione, o chi partecipa ai girotondi, è un terrorista. Ma è innegabile che il movimento globalofobo costituisca l’humus oltremodo fertile in cui il terrorismo nasce, cresce e diventa mortale.

22 marzo 2002

giuse.mancini@libero.it