E' la Spagna la nuova locomotiva economica
di Pierpaolo La Rosa


Sono davvero lontani i tempi in cui si guardava alla Spagna con sufficienza, come all’eterno fanalino di coda tra i partner comunitari. Il paese poco virtuoso, con una crescita economica modesta e un tasso di disoccupazione semplicemente allarmante, è solo un brutto ricordo. L’ultimo della classe si è risvegliato, eccome. Grazie ai sorprendenti risultati raggiunti dal governo di José Marìa Aznar, Madrid ora vuole contare di più in Europa. Vuole soprattutto proporre la propria ricetta vincente ad un Vecchio Continente fragile, impacciato, che ha un bisogno quasi disperato di recuperare la competitività perduta. Quale migliore occasione, dunque, del semestre di presidenza iberica del Consiglio Ue, iniziato lo scorso gennaio? Del resto, la via spagnola allo sviluppo è stata presa tremendamente sul serio da Silvio Berlusconi e Tony Blair; non è un caso, infatti, che negli ultimi tempi stia prendendo forma un vero e proprio asse tra Roma, Madrid e Londra.

Insomma, una gran bella soddisfazione per Aznar che nel giro di appena sei anni ha portato il suo paese a traguardi insperati. Merito di una politica realmente riformista, basata su alcuni punti chiave: drastica riduzione della pressione fiscale a carico di cittadini e imprese, liberalizzazione di interi settori produttivi, privatizzazione dei monopoli pubblici, flessibilità del mercato del lavoro, cospicui investimenti in infrastrutture. I risultati parlano chiaro: nel solo 2001, il prodotto interno lordo è aumentato di circa il tre per cento e le previsioni per quest’anno parlano di una crescita intorno al 2,5 per cento. Sempre nel 2001, sono stati creati qualcosa come 270mila posti di lavoro in più. Le buone notizie non finiscono certo qui: da quando, nel 1996, il 48enne leader del Partido popular (Pp) ha assunto la guida dell’esecutivo, l’importo delle pensioni ha avuto un incremento significativo.

Il segreto di un simile successo? La risposta è sin troppo semplice: la pace sociale. Per loro fortuna, gli spagnoli non hanno un Cofferati che con i suoi continui “no” si mette di traverso ai tentativi di modernizzazione del Welfare State. Anzi, le “Comisiones Obreras” – l’organizzazione sindacale maggioritaria, di stampo comunista – hanno instaurato un feeling del tutto particolare con il premier, culminato in uno storico accordo sulla previdenza. Altro clima, altro senso di responsabilità, rispetto alle inutili beghe da cortile di casa nostra. Sul versante politico, poi, l’opposizione socialista è allo sbando, invisibile, incapace di proporre un’alternativa concreta ed efficace. Tutto tranquillo, quindi? Non esattamente: la spina dolorosa nel fianco del governo c’è e si chiama Eta, l’organizzazione separatista basca che dal 1958 semina vittime a non finire. Certo, qualche passo in avanti è stato fatto e l’elevato numero di “etarras” finiti lo scorso anno nelle maglie della giustizia sta lì a dimostrarlo. Il guaio è che si tratta di un problema di difficile soluzione, date le sue caratteristiche socio – culturali. Ma questo è un altro discorso.

15 febbraio 2002

pplarosa@hotmail.com