Europeismo senza retorica
di Paolo Zanetto


E l’Italia incassò sia Amato che Fini. I primi risultati del neo ministro degli Esteri Berlusconi cominciano a farsi vedere. Dopo le polemiche sul presunto euroscetticismo della maggioranza, anche l’opposizione deve fare i conti con un successo tangibile, che ha salvaguardato quel Giuliano Amato che – fino a prova contraria – è uomo targato sinistra. E’ stato un successo della nuova linea di politica europea che il governo italiano ha imposto già dagli ultimi mesi, quando iniziarono le scaramucce con Renato Ruggiero. Tutti i colpi diretti all’Italia, dalle critiche sulla nomina di Gianfranco Fini alla promessa di assegnare l’authority alimentare europea alla Finlandia, sono stati rispediti al mittente. Sono finiti i tempi in cui l’Italia era il partner che diceva sempre sì, come le bionde dei film anni Cinquanta.

L’Italia di Giuliano Amato, che si vantava di non aver mai posto veti alla conferenza di Nizza, poteva sicuramente tacciarsi di euro-entusiasmo, ma difficilmente poteva essere considerata un partner all’altezza per i grandi paesi europei. Quando si discute di allargamento ad Est dell’Unione Europea non serve la retorica, servono soluzioni concrete. Perché Spagna e Francia non intendono perdere i contributi agricoli. Perché la Germania ha un oggettivo problema di immigrazione dall’Est, in particolare dalla Polonia. E l’Italia, che conosce bene i problemi della politica agricola comune e della gestione dei flussi di immigrati, non può far finta di nulla. Farebbe male a se stessa, e fa male alla costruzione dell’Unione, che sotto questo aspetto è una catena forte quanto il più debole dei suoi anelli.

Ora l’Italia di Berlusconi inizia a farsi sentire in Europa. I giornali stranieri, ben lungi dagli attacchi alzo zero della campagna elettorale, hanno salutato con grande interesse la discesa nel campo europeo di questo “nuovo” giocatore. Il Times ha avanzato lo scenario di un asse delle tre B, Bush-Blair-Berlusconi, per unire il più possibile il vincolo europeo e l’asse atlantico. Il Financial Times, con l’occhio fisso sui negoziati per l’ingresso dei nuovi paesi nell’Unione entro il 2004, ha calcolato che con la sua nuova linea il governo italiano sarà il vero arbitro tra i quattro grandi protagonisti del dibattito: Francia e Germania da un lato, Spagna e occasionalmente Gran Bretagna dall’altro. Nessun euroscetticismo quando si avanzano critiche, ma tanto pragmatismo anglosassone: il buon genitore sa dire “no” a suo figlio proprio perché vuole il suo bene.

Solo la sinistra italiana sembra non capire questo passaggio, o almeno così dice. In questa fase di giustizialismo esasperato, in cui i tifosi di Borrelli e soci hanno un atteggiamento mentale simile alle truppe del mullah Omar, non c’è più anti-berlusconismo che tenga. L’unico collante resta l’Europa, il totem retorico attorno a cui è nato il progetto stesso dell’Ulivo, grazie a cui Prodi ha vinto le elezioni nel ’96. Oggi l’Italia è in Europa, e scopre che Bruxelles non è la terra promessa. L’Europa è una visione magnifica, necessaria, che ci ha dato tanto. Ma c’è ancora molto da dare per arrivare ad una unione che funzioni, al di là dei trattati mai letti e della burocrazia mastodontica.

Il passaggio obbligato, sostenuto con coraggio e convinzione dal presidente Ciampi, è la Costituzione europea: a Laeken ci lavoreranno, e dovranno affrontare ostacoli seri, a partire dall’idea di Europa confederale contro la concezione inter-governativa. Ci saranno polemiche, scontri: allora sarà necessario confrontarsi, dirsi le cose in faccia. Serve l’Europa di Berlusconi per arrivare a risultati concreti, a un testo fondamentale che spieghi chi fa cosa e come lo fa. Altrimenti avremo l’Europa dell’Ulivo, una carta piena di retorica e grandi sentimenti, senza nessun accenno alla forma dell’Unione. Berlusconi lavorerà per una Costituzione strutturata, non certo per un maxi-biglietto dei Baci Perugina.

1 febbraio 2002

zanetto@tin.it