Alla fine l’Europa seccò l’Ulivo
di Domenico Mennitti


Il primo a rendersi conto che il “caso Ruggiero” non avrebbe avuto riflessi importanti sulla credibilità del governo, è stato lui, l’avvocato Giovanni Agnelli, che pure in un primo momento s’era allarmato ed aveva ceduto alla tentazione della battuta sarcastica. Una verità tuttavia l’aveva rappresentata ventilando quell’idea dell’Italia “paese dei fichi d’india”, nel senso che - forse involontariamente - aveva sottolineato che questo è un paese difficile da governare, soprattutto dentro una fase di transizione che ha già, di fatto, introdotto cambiamenti profondi nei comportamenti da tenere. Così l’avvocato ha colto al volo l’occasione offertagli dal presidente del Senato e, dismesso l’abito inconsueto dell’agricoltore, ha scelto il “salotto amico” di Palazzo Madama per esibirsi nella manovra tutt’altro che spericolata della retromarcia, recedendo dall’originaria versione sull’efficacia dell’azione del governo.

Chi continua a dimenarsi nell’assenza di una riflessione è l’opposizione politica italiana, che mostra di non aver colto dai fatti alcuna lezione, sino a non rendersi conto che il fronte prescelto per aggredire Berlusconi - l’Europa - è quello su cui l’Ulivo sta subendo la disfatta. Da Rutelli a D’Alema, sino a Castagnetti avevano tutti giurato che l’Europa sarebbe stato lo scoglio su cui sarebbe andato ad infrangersi il governo di centrodestra. E tutti insieme avevano sfidato il grottesco promuovendo l’adunata degli orfani di Ruggiero, immaginando forse che si potesse ripetere una esperienza simile a quella vissuta con Dini, diventato di sinistra dopo che Berlusconi nel 1994, inserendolo nel suo governo, l’aveva liberato degli steccati che Ciampi gli aveva eretto in Banca d’Italia. Senza leader, l’Ulivo ha visto consumare rapidamente la speranza d’averne trovato uno e ora fa i conti con l’imprudenza di un gruppo di sovraeccitati, così poco consapevoli delle proprie disgrazie da esercitarsi nel gioco dello sgambetto al compagno di squadra.

L’Europa appunto, il banco di prova sul quale la classe dirigente gioca la partita decisiva dei prossimi anni, sta sconvolgendo l’opposizione. A parte il fatto che, appena superato il confine nazionale, i dirigenti dell'Ulivo non si riconoscono più disperdendosi in vari gruppi contrapposti dello schieramento europeo, si palesa con sempre maggiore chiarezza e drammaticità l’emarginazione della sinistra italiana nel processo di unità del continente. Al tavolo della convenzione che dovrà impostare la nuova costituzione europea ci saranno il governo e la maggioranza del nostro paese e si deve al loro senso di equilibrio se sarà presente anche l’opposizione. Elemento che renderà il contributo dell’Italia complessivo, rappresentativo cioè di tutti i movimenti culturali e politici. Il governo esce da questa tornata con l’immagine forte della dignità conquistata sul piano interno ed internazionale, l’opposizione vive il dramma di una frattura che riassume le insufficienze e le deficienze di una stagione politica priva di riferimenti programmatici e personali.

D’Alema, l’escluso dal consesso di Bruxelles, presiede una fondazione denominata con qualche ottimismo “italiani europei”, della quale si impossessò con l’intento di attribuire non alla sinistra in genere, piuttosto a sé stesso ed ai suoi sodali, il ruolo di interpretare le aspirazioni di modernità della parte più avanzata dei nostri concittadini. Sarebbe facile oggi obiettargli che alla compagnia non è riuscito d’essere né gli uni né gli altri, ma non abbiamo il gusto della polemica sterile. E perciò concludiamo con l’augurio che si riesca tutti ad essere buoni italiani e buoni europei, un salto di qualità che richiede analisi e comportamenti seri, senza credere che basti attribuire agli altri le incapacità proprie.

1 febbraio 2002

dmenntti@hotmail.com