Gli Esteri al premier? In Europa nessuno scandalo
di Patrizio Li Donni

Il dibattito alla Camera sulle dimissioni del ministro degli esteri Ruggiero, ha dimostrato, come se ce ne fosse bisogno, che la manifestazione in piazza del Campidoglio della sinistra era solo folklore mediatico. Gli interventi dei parlamentari dell’opposizione, e le richieste di fedeltà europeistica rivolte a Berlusconi durante il dibattito, sono state infatti solo il tentativo di indebolire il premier per provare la spallata al governo, quella spallata che nei piani potrebbe essere portata dalla solita pressione giudiziaria di derivazione ambrosiana, corredata dalla consueta piazza “sindacalmente” sollecitata. E così ancora una volta la miope rivalsa di breve termine della sinistra non ha fatto cogliere la portata dell’evento che il cambio alla Farnesina racchiude e l’opportunità che da esso ne deriva.

Il senso politico della sostituzione di Ruggiero infatti, altro non è che la naturale conseguenza del passaggio epocale della politica italiana dalla tradizione proporzionalistica, alla prospettiva della nuova rappresentanza sintetica introdotta con il maggioritario. L’opposizione, ancora una volta, ha dimostrato di non essere in linea o di non credere al cambiamento italiano avvenuto in questi anni, e di non voler comprendere la profonda modificazione intervenuta nel rapporto tra presidente del Consiglio ed elettori. Più in generale di non capire che l’ammodernamento degli strumenti dell’azione politica è ciò che chiede il popolo italiano, dal federalismo in giù. Del resto questa è la profonda differenza con il centrodestra, la ragione che ha causato la sconfitta ulivista alle elezioni.

Il capo del governo, per via del superamento della rappresentanza partitica dell’esecutivo, come da tempo accade sia negli Stati Uniti, ma anche in parte in Francia con Chirac e in Gran Bretagna con Blair, è di fatto il titolare della politica estera del paese che rappresenta, mentre il segretario di Stato statunitense ed i ministri degli esteri degli altri stati, sono solo dei prestigiosi esecutori della politica estera, con limitate autonomie decisionali rispetto alla linea incarnata dal premier . Ma mentre questo è già scritto nella costituzione francese per il presidente, ed è in modo o nell’altro convenzionalmente implicito nel mandato che Blair ha ricevuto dagli elettori, per l’Italia si tratta di un passaggio non ancora sancito da una disposizione di rango costituzionale. L’interim di Berlusconi alla Farnesina allora, anziché esser visto come l’ appropriazione delle relazioni estere dell’Italia da parte del supponente magnate tuttofare, può essere accolto come un passo in avanti verso l’allineamento dell’Italia alle democrazie più progredite. In definitiva come l’occasione per riaprire il capitolo della riforma della Costituzione italiana del ’48, non più in grado di rispondere con prontezza alle sollecitazioni che il mondo globalizzato propone alla politica del nostro tempo.

18 gennaio 2002

freccia@libero.it