Scuola, la Moratti cala l’asso
di Renato Tubére
Durante gli Stati Generali della Pubblica Istruzione tenutisi a
Roma lo scorso mese di dicembre, molti degl’intervenuti,
appartenenti a tutte le componenti del sistema scolastico
nazionale, hanno denunciato di fronte al ministro Letizia Moratti
l’incomunicabilità fra scuola e mondo del lavoro come causa
principale del deterioramento in atto dai primi anni Settanta in
poi. Le associazioni studentesche di estrema sinistra,
gl’immancabili centri sociali sparsi nella penisola ed alcuni
intellettuali che nutrono poca dimestichezza con l’uso del
vocabolario italiano e meno ancora con i comportamenti da tenere
in democrazia, incuranti del fatto di essere ormai un’esigua
minoranza nell’Italia del dopo 13 maggio, hanno mobilitato le
piazze del paese, opponendosi a questa nuova riforma. C'è un
motivo di fondo che ispira i loro nobili principi: il ministro
Moratti vuole finalmente cambiare la scuola. Dal promuovificio,
area di parcheggio per future vittime dell’analfabetismo senza
ritorno, si passerà finalmente ad una scuola pubblica e privata
che faccia riferimento ad un vocabolo messo all’indice dal lontano
1968: il merito.
Piccole e medie imprese, terzo settore, musei ed associazioni
culturali utilizzeranno sempre più la formazione permanente, o
e-learning, per assorbire meglio l’offerta continua di manodopera
intellettuale: il nostro sistema scolastico è destinato ad
adeguarsi a questi cambiamenti epocali, pena il suo livellamento
progressivo verso il basso, già sperimentato con disarmante
efficacia da Luigi Berlinguer e Tullio De Mauro nella scorsa
legislatura. Grammatica e sintassi, matematica e geografia, l’uso
corretto di un computer non saranno più ostacoli insormontabili
del vivere quotidiano per studenti ed insegnanti, ma semplici
materie di studio indispensabili per comunicare meglio con il
prossimo. La formazione sarà l’anello di congiunzione fra
istruzione e lavoro e, nelle intenzioni del ministro Moratti, si
affaccerà a pieno titolo nelle scuole della penisola: grazie a
Internet, la gente di ogni razza, generazione e ceto sociale da
tempo comunica e impara nozioni utili al miglioramento delle
proprie condizioni sociali, economiche e culturali. Un concetto,
questo, che sfugge ai cervelloni della sinistra gramsciana e
trinariciuta, abituata a confrontarsi su temi delicati come il
futuro della scuola italiana con collettivi cresciuti a base di
cannabis, 99 Posse e Manu Chao e con sindacalisti che alla
delicata professione dell’insegnamento dedicano, sì e no, una
cinquantina d’ore ogni anno.
Costoro sono un fenomeno di (mal)costume italico di fine secolo,
culminato con l’adesione cieca, pronta, assoluta di guareschiana
memoria al movimento no-global dei Casarini e degli Agnoletto.
Aspettiamoci qualche velenoso colpo di coda da questi irriducibili
conservatori dell’ozio scolastico perpetuo e del nichilismo
parente stretto di ogni terrorismo ideologico. Ma, per qualche
posto di lavoro in più, perfino quella fetta non piccola della
sinistra responsabile del nostro paese li abbandonerà,
contribuendo alla nascita di una scuola più efficiente ed europea.
Parole e musica di Carlo Azeglio Ciampi che, nel suo discorso
d’auguri a fine anno, ha così ammonito la nostra classe politica:
“La scuola torni ad essere assieme alla famiglia il perno civile
ed operoso della nostra società”. Un esplicito invito al governo
in carica ad estirpare con decisione certe erbacce assai
resistenti alla volontà di riforma in senso liberale
dell’istruzione scolastica italiana.
11 gennaio 2002
renato_tubere@hotmail.com
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