Berlinguer, il professore
di Giuseppe Sacco


Il cognome - Berlinguer - evoca una stagione drammatica della politica italiana, segnata dal terrorismo e dalla tragedia di Aldo Moro. Ma per la sinistra "che veniva da lontano" è stata quella anche una stagione assai positiva. E' infatti quella la stagione che ha segnato uno "strappo" non reversibile con le oscure esperienze degli anni tra le due guerre e i loro tragici prolungamenti. La stagione che ha visto l'approdo da cui non sarebbe mai più stato possibile tornare indietro, nonostante tutte le ambiguità e i tormenti: l'approdo che portò Enrico Berlinguer a riconoscere che l'Alleanza occidentale garantiva anche ai comunisti, in particolare a quelli italiani, la libertà di essere se stessi.

Oggi la crisi degli ex-comunisti appare più profonda che mai. Al punto che la stessa maggioranza avrebbe ragione di augurarsi che a tale crisi si trovasse soluzione al più presto. L'incapacità dell'opposizione di svolgere il proprio ruolo è infatti un male non solo per il sistema bipolare che il paese si è finalmente riuscito a dare, e per le stesse istituzioni repubblicane, ma perfino per la maggioranza e per il governo che essa esprime. Da un lato, infatti, la paralisi cui le meschine rivalità interne condannano i Democratici di sinistra lascia aperto e disponibile uno spazio del tutto ingiustificato a partiti estremisti e irresponsabili come Rifondazione, a personaggi ambigui e ridicoli come Agnoletto, e a movimenti ciechi e reazionari come quelli che hanno devastato Genova. Dall'altro lato, la crisi dei Ds rende assai difficile per la stessa maggioranza di centrodestra concentrarsi sui problemi effettivi del paese, perché essa è continuamente distratta da polemiche pretestuose su tematiche puramente demagogiche; confrontata ogni giorno con un pretesto diverso, da un continuo e sciocco "insorgere" di una sinistra incapace di avanzare proposte in positivo; da vere a proprie azioni di sabotaggio al funzionamento delle istituzioni dello stato.

La candidatura di Giovanni Berlinguer alla Segreteria degli ex-comunisti può far sperare in un cambiamento. Può far sperare che i Ds abbiano identificato la strada per porre termine, o almeno raffreddare, una crisi apparentemente inarrestabile. E l'hanno identificata in una personalità che non a caso è stata attaccata dai rivali interni col pretesto che da setto o otto anni non si occupa attivamente di politica. E' un buon segno, anzi è un'accusa di cui Giovanni Berlinguer si può fregiare addirittura come di una medaglia. La novità e l'interesse della sua candidatura sta proprio in questo: che in anni passabilmente bui della vita italiana, mentre la sinistra scambiava la politica con gli oscuri e disonesti complotti che hanno rovesciato prima Berlusconi e poi Prodi, mentre il dibattito politico era degradato allo squallido livello dei coprofaghi come Luttazzi e degli squadristi come Santoro, il Prof. Berlinguer ha fatto appunto il Professore. Ha letto, studiato, scritto, partecipato al dibattito sui grandi temi dell'ambiente, della scienza e della globalizzazione. Con questa candidatura, in altri termini, anche l'opposizione potrebbe aver trovato un contatto con la società civile.

C'è da sperare che, nell'improbabile ipotesi che il nome che porta non lo danneggi, e che i gerarchi del suo partito gli lascino una possibilità di correre alla pari con gli altri candidati e di vincere, la presenza del Professore alla leadership della maggior forza d'opposizione spinga quest'ultima a tallonare e continuamente sfidare la maggioranza sui temi veri che si pongono oggi alla società italiana ed in generale ai paesi avanzati. Che impegni cioè, in maniera non demagogica, il suo partito, ed indirettamente tutti gli altri, sui grandi temi della modernizzazione tecnologica e del ruolo della scienza nello sviluppo del paese, della estrema debolezza dell'Italia nel settore dell'università e della ricerca e di fronte alle sfide poste dal processo di globalizzazione, dell'evoluzione dei diritti e dei sistemi sociali di fronte agli sconvolgenti progressi in atto nella scienza del vivente.

Forse lo stesso Berlinguer troverà - come egli stesso ebbe a dire - un po' illuministiche queste aspettative, e un po' utopica l'idea che l'approccio intellettuale e metodologico che porta ad un progresso sempre più rapido delle scienze possa, anche se in minima misura, essere beneficamente trasferito alla comprensione e al governo dei processi sociali e politici. Ma non è forse di un po' di utopia e di ideali ciò di cui hanno bisogno oggi - nell'età in cui domina un pragmatismo francamente assai rozzo - la società italiana e la sua classe politica?

7 settembre 2001

g.sacco@usa.net