Anti-global: dopo Genova, la disgregazione del movimento
di Giuseppe Mancini

Genova come punto di svolta, come salto di qualità, come esperienza collettiva che sta rapidamente conducendo alla transmutazione del movimento in effettivo soggetto politico, globale e locale al tempo stesso: ecco la tesi dei globalofobi nostrani. Tesi poco sensata: perché, in realtà, ciò che sta accadendo è la naturale maturazione delle tre tendenze chiaramente osservabili già dai moti di piazza, marzo 2000, durante il Global Forum di Napoli: la territorializzazione del movimento, la fuga dalla politica, lo sciacallaggio della politica. La territorializzazione del movimento, l'inglobamento delle aree di tensione locali, dai disoccupati organizzati agli immigrati clandestini, la moltiplicazione dei Social Forum di paese, di città e di provincia, col nemico che non e' più la globalizzazione planetaria ma le forze di polizia fasciste e violente ed il loro capo mafioso (i nuovi, patetici slogan: "polizia cilena", "Berlusconi=Pinochet"). La fuga dalla politica, da quella tradizionale fatta di partiti e congressi, con la stragrande maggioranza del movimento disgustata dagli intrallazzi ulivisti, dall'inconcludenza diessina, dalla fumosità rutelliana. Lo sciacallaggio della politica, con la sinistra neomovimentista - Rifondazione e Verdi - impegnata a pescare consensi per un problematico rilancio, con la sinistra ex governativa tentata dall'usare la piazza - la sulfurea alleanza di globalofobi e sindacati - come grimaldello anti-berlusconiano, per provare a riconquistare il potere con l'unica strategia a loro ormai disponibile: la confusione.

Tre forze che spingono in direzioni opposte e simmetriche: la risultante è l'esplosione di conflittualità politica all'interno del movimento dei contestatori e della sinistra tutta. Esplosione di contraddizioni peraltro già esistenti, che nonostante le apparenze neanche l'appuntamento di Genova era riuscito a saldare. Portavoce autoproclamatisi ed icone (Agnoletto a caccia di un posto in Parlamento, Casarini di consulenze milionarie, don Vitaliano - il prete rivoluzionario d'avanspettacolo - di scomunica) contro tutti i gruppi che proclamano la loro autonomia: i lillipuziani, i veri pacifisti, i cobas, il Network dei diritti globali (centri sociali ed antagonisti rudi e puri); italiani contro stranieri, che alla parola Agnoletto chiedono: "what?", "che cos'è?"; movimentisti contro politicanti; verdi e rifondaroli contro diessini; cattolici contro anticlericali; anarchici contro tutti. Le liste elettroniche di discussione del movimento sono uno spasso: le accuse volano, le minacce fioccano, le offese si sprecano. 

Come abbiamo sempre sostenuto, contraddizioni, confusione e conseguente immobilismo regnano sovrani: perché manca un progetto da comunicare e su cui raccogliere consensi. Rutelli aveva promosso battaglia, in Parlamento alla ripresa dei lavori, per l'approvazione della Tobin tax, un illiberale, inutile e grottesco provvedimento per la tassazione dei proventi della "speculazione finanziaria" (ma come fare a distinguere tra speculazioni ed investimenti?): Tobin ha fatto sapere che la sua proposta, trenta anni fa, sarebbe servita solamente a contrastare le fluttuazioni eccessive del mercato dei cambi, a rafforzare e non a combattere il capitalismo. Ad ATTAC (i propugnatori odierni e globalofobi della Tobin tax) ci sono rimasti male, gli anarchici ancora ridono a crepapelle, Rutelli ha collezionato l'ennesima figuraccia. Ma se, invece di analizzare con spirito critico i fatti di Genova, il movimento si ostinerà a prendersela con la polizia, con gli infiltrati, con i neonazisti provocatori e con il mostro di Loch Ness, la definitiva disgregazione sarà inevitabile. Rimarrebbe in attività il gruppo, comunque ben nutrito, della teppa assortita dei centri sociali, che a Genova si è ben distinta, con la scusa del Black Block con cui prendersela dopo. 

Questa dicotomia tra violenti comunque e uomini di idee, tra chi è andato a Genova per saccheggiare e chi per manifestare, è sempre esistita: per questo eravamo ed ancora siamo contro ogni forma di dialogo, contro le sovvenzioni miliardarie elargite dal governo per costruire una testa di ponte (la scuola Diaz) dei violenti in città. Pare che di dialogo non se ne parli piu, almeno da parte del governo; pare che i vertici della NATO (settembre) e della FAO (novembre) verranno tenuti in località più facilmente controllabili (ma Genova è stata pesantissima eredità dalemiana); pare che i cortei che si traformano per incanto in guerriglia non verranno permessi, come si sarebbe dovuto fare a Genova. Ce ne rallegriamo.

7 settembre 2001

giuse.mancini@libero.it



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