L'eredità del "secolo breve"

Quando all'inizio dell'anno si è cronologicamente concluso il Novecento tutti abbiamo salutato l'avvio di una nuova fase. Sequela di errori per alcuni, percorso futurista e vertiginoso per altri, il ventesimo secolo ci ha lasciati con un'eredità da inverare e una lezione da far propria ancora oggi. Eredità e lezione che ci obbligano alla necessità di ripensare la politica dopo l'epoca dei totalitarismi e le nuove frontiere della libertà. Un impegno questo che non deve farci dimenticare la storia, il pensiero, l'impegno degli "uomini del Novecento". Come ha scritto Alessandro Campi su Ideazione, se "qualcosa questo secolo ci ha insegnato - con tutte le sue iniquità e tra mille fallimenti e proprio in loro virtù - è che la vera libertà, quella per cui gli uomini hanno sempre lottato, non è mai disgiunta dalla passione e quindi dall'errore".

Questa passione e questo "errare" ha scandito la vita di molti dei protagonisti - politici e intellettuali, uomini d'azione e di pensiero - che hanno vissuto il Novecento dentro la tragedia della storia europea. Negli ultimi due mesi ci hanno lasciato tre grandi del secolo impegnati sul fronte politico-culturale: Indro Montanelli, Gianfranco Miglio, Miklòs Vàsàrhelyi. Li ricordiamo, negli articoli che seguono, come tre esempi di lotta e ricerca per la libertà politica e intellettuale. Tre uomini del Novecento, tre testimoni del "secolo breve", tre ricercatori di un orizzonte nuovo, alla ricerca di risposte ambiziose (anche quando contraddittorie) alle grandi sfide della modernità.

7 settembre 2001