A Genova sfila un popolo senza eroi
di Paola Liberace

Proprio in questi giorni, i manifestanti e i contestatori antiglobalizzazione cercano in tutti i modi di salire agli onori della cronaca, di meritarsi le prime pagine dei giornali, e i primi dieci minuti dei telegiornali. Ma se nel primo caso si tratta soltanto di far parlare di sé, il piccolo schermo esige un tributo ben più esigente: apparire, in prima persona, lasciarsi riprendere, lasciarsi ritrarre dalle telecamere, insomma consegnare al pubblico la propria immagine in maniera stabile e rappresentativa. 

Per un popolo come quello di Seattle, abituato a diffondere la propria voce per lo più attraverso le pagine del web - molto più anonime di quelle televisive, sebbene sia impopolare affermarlo - si tratta di una prova difficile da sostenere: e considerando come viene sostenuta, vien quasi da pensare che i contestatori fuggano o protestino per incapacità, più che per principio ideologico. Basta prestare attenzione alle scene televisive, in queste giornate di riprese quasi furtive, e quasi sempre salutate con ostilità dai manifestanti, oppure di comunicazioni “ufficiali” da parte di qualche gruppo più organizzato. Nella maggior parte dei casi, ci si rivelano una folla di volti incerti, che sfuggono allo schermo, che non sostengono una presenza televisiva degna di questo nome: qualcuno, ad esempio, è riuscito a fissare la fisionomia di Agnolotto, portavoce del Genoa Social Forum, durante una delle sue apparizioni per dichiarare la propria posizione? L’alternativa, naturalmente, è quella della sfida oltraggiosa da parte di qualche esaltato alla telecamera, che non restituisce però che la faccia di un’unica folla, trasportata da passioni e tensioni troppo elementari per essere dette politiche. 

Sembra insomma di trovarsi di fronte ad un popolo senza eroi, nemmeno televisivi: indice dell’assenza di una forza di comunicazione riconosciuta con l’esterno, che non sia quella autoreferenziale di Internet. Conscia di ciò, la contestazione cerca di erigere ad emblemi figure che, come Manu Chao, sono loro stesse già parte di un sistema di comunicazione e marketing, come tale globalizzato. Una contraddizione in cui, almeno dal punto di vista mediale, la contestazione non può evitare di cadere, e che dovrebbe farla seriamente riflettere su se stessa, prima di aprire bocca per protestare.

20 luglio 2001

pliberace@hotmail.com




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