Ma noi non ci saremo
di Paolo Zanetto

Cento pastori sardi hanno inviato un comunicato alle agenzie di stampa per annunciare che saranno a Genova per il G8 a protestare contro la globalizzazione. Nella variopinta compagine del Genoa Social Forum mancavano solo loro. Intanto i cattolici “contro” contestano il segretario generale della Farnesina Umberto Vattani, quasi fosse l’affamatore del mondo, e presentano un manifesto sulla globalizzazione che buona parte della sinistra giudica addirittura eccessivo. I centri sociali organizzano le retrovie della battaglia, disponendo sul campo le unità mediche, gli avvocati per assistere gli arrestati, i punti di coordinamento dell’assalto. I media puntano ossessivamente i riflettori sui “giottini”, e noi altri - volenti o nolenti - dobbiamo sorbirci i soliti servizi: ecco i giovani, il popolo di Seattle, contro la globalizzazione. Forse è la nascita di un nuovo Sessantotto.

Peccato che nessuno si fermi a riflettere sulla enorme distanza tra questa gente e il grande universo giovanile. Jack Greenberg, presidente di McDonald’s, ha fatto notare che mentre un migliaio di piazzaioli era impegnato a distruggere le vetrine dei suoi fast-food a Seattle, circa 175 milioni di giovani (e non) mangiavano hamburger nel resto del mondo. Esiste e non ha voce una imponente “silent majority” di giovani che non sono contro la globalizzazione, e che tuttavia non vanno disprezzati. Sono molti i ragazzi che comprendono che il problema della povertà del Terzo mondo non si risolve distruggendo le vetrine dei ristoranti, ma investendo in innovazione tecnologica e ricerca. Alcuni sono persino convinti che la forza della competizione e del libero mercato abbia aiutato i paesi in difficoltà economica più “globalizzati” ad emergere e ad aumentare il reddito dei cittadini. Di sicuro, la gran parte dei giovani è convinta che non si risolveranno i problemi del pianeta con slogan d’altri tempi o con la contestazione di piazza.

Toni Negri si esalta, e davanti alle tute bianche proclama il nuovo Sessantotto: non è così. Non c’è un sentire diffuso tra i giovani riguardo alle minacce globalizzanti dello “Stato Imperialista delle Multinazionali”. Quello che esiste è un mondo giovanile frastagliato tra famiglie e tribù molto diverse, che non vogliono partecipare alla vita politica politicante - esattamente ciò che è la contestazione al G8 - ma che vogliono partecipare alla vita. Questa “Mtv generation” non si vergogna di guardare i video musicali in televisione, di mangiare Big Mac e bere Coca-Cola con le Nike ai piedi, di comprare Cd e libri da Amazon.com, di usare i programmi Microsoft e fumare le Marlboro. I giovani non considerano il logo come un male in sé, come vorrebbe insegnarci nel suo best-seller la “popolana di Seattle” Naomi Klein, ma come un’opportunità di libera scelta. E questi ragazzi non si vergognano di quello che fanno, per una semplice e giusta ragione: non c’è niente di male.

Nonostante le urla dei soloni ex sessantottini, che vedono nelle tute bianche i bei tempi in cui sfilavano nei cortei e avevano ancora tutti i capelli, il popolo del G8 non rappresenta i giovani. Ne è un campione, non c’è dubbio, che però era ben noto da anni: i centri sociali, i leonkavallini, il popolo “contro” della sinistra, unito a qualche cattolico e a qualche anima in cerca di ideologie forti. Ma la battaglia che combattono sembra più reazionaria che rivoluzionaria. Come scrive Alberto Mingardi, McDonald’s ha commesso un solo reato: è riuscito dove il comunismo ha fallito, fornire un pasto appetitoso e conveniente a tutti quanti. Amici del Genoa Social Forum, buon divertimento, ma non illudetevi che la diretta su Raitre serva a far conoscere le vostre gesta: i giovani, durante quei pomeriggi, continueranno a guardare Mtv.

13 luglio 2001

zanetto@tin.it


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