Il cielo diviso. I cattolici di fronte alla globalizzazione
di Luca Pesenti


E dopo la settimana degli opposti Manifesti, che hanno visto fronteggiarsi i cattolici l’un contro l’altro armati, è venuto il tempo delle precisazioni, dei distinguo, delle prese di distanza. Tra quelli che “la globalizzazione no”, ma a Genova proprio non ci vogliono andare, e quelli che “i cristiani di Seattle no” ma neppure si sentono amici dei globalisti. E’ gran fermento in area cattolica, destatasi da un lungo torpore riscoprendo, nel momento in cui la storia sembra rimettersi in moto, divisioni antiche e nuove tensioni. Sapevamo, fino a ieri, di una frattura profondissima tra quelli che si sono mobilitati verso la Lanterna (dall’Azione Cattolica alle Acli, con in mezzo una cinquantina di sigle piccole e grandi) e quelli che hanno firmato un manifesto “da cristiani a cristiani”, in cui si prendevano le distanze (con toni da crociata) dai nuovi antiglobal cattolici, proponendo una lettura ottimistica della globalizzazione. Le tesi filo globaliste, in cui si riconosce la firma inconfondibile di Gianni Baget Bozzo (nell’equazione “Occidente = globalizzazione = Cristianesimo) e dell’economista Carlo Pelanda, hanno squarciato il cielo del mondo cattolico non di sinistra. Evidenziando un campionario di posizioni per certi versi inedite.

Tra i favorevoli al processo di globalizzazione, una nutrita truppa ciellina (da Luigi Amicone a Antonio Socci, da Robi Ronza a Stefano Zurlo). Che magari hanno firmato (come ammette qualcuno di loro) più per l’appello ai “cristiani che sbagliano” o un malcelato e viscerale anticomunismo che per la giaculatoria filo globalista. Ma ora devono fare i conti con il parere opposto di alcuni amici importanti. Primo tra tutti il capo della Compagnia delle Opere, che con Cl (che a Genova non andrà) condivide orientamento culturale e una buona fetta di personale organizzativo. Giorgio Vittadini, in un articolo sulla Stampa del 7 luglio, non ha usato mezzi termini: “La sfida è innanzitutto culturale e consiste nell’implicita tendenza a rendere l’uomo, da sempre capace di desiderio, ricerca ed esperienza della verità, un semplice ingranaggio senz’anima si un enorme meccanismo economico”. E ancora: “Se la globalizzazione ha la pretesa idolatrica di porsi al centro del cuore dell’uomo, di definire l’uomo nella consapevolezza che ha di sé, unita alla pretesa di dare volto a ogni sua espressività, lì si giocherà la partita”. Un’altra critica interna arriva anche da due giornalisti legati al movimento di don Luigi Giussani, Maurizio Crippa e Giuseppe Frangi, che in una lettera al Foglio del 5 luglio accusano “i fratelli pro G8” di patire una sorta di “zelo dei neofiti, forse indispensabile per farsi accettare al Gran Mercato del Mondo”.

Fratelli separati, dunque, almeno sul terreno delle idee. Sintomo di vitalità e di un dibattito che cresce a prescindere da Cl e dintorni, e che certamente non fa male. Tra i catto-globalisti (si passi l’orrendo termine) milita Rino Camilleri, che si differenzia non poco dagli amici più stretti del cattolicesimo più conservatore, da Franco Cardini (che ha dichiarato pubblicamente la sua avversione alla globalizzazione) al gruppo di Adolfo Morganti radunato attorno all’editrice Il Cerchio. E ancora ha firmato il manifesto filo-G8 Cesare Cavalleri, direttore dell’editrice Ares ed esponente dell’influente Opus Dei (“ma l’ho fatto a titolo personale”, sottolinea Cavalleri). E per finire, firmano l’appello (e addirittura figurano tra i promotori) gli ideatori della rivista Il Timone, che raduna la crema del cattolicesimo fedele alla tradizioni e avverso alle derive progressiste, tra cui molti dei critici “da destra” della globalizzazione.

Insomma, i cattolici che a Genova non andranno discutono e si dividono, osservando il mondo che cambia e ponendo con forza questioni talvolta inedite. Ma alla fine la ricerca di un terza via, che prenda sul serio i desideri profondi dell’uomo al di là di ogni ideologia, sembra oggi arretrare di fronte alla (presunta) necessità di schierarsi da una parte o dall’altra. Si assiste forse all’ennesimo capitolo della subalternità culturale cattolica, incapace di differenziarsi tanto dai progressisti quanto dai liberisti. Anche questa, come abbiamo scritto la scorsa settimana, è una storia già vista. Trent’anni fa, per esser precisi.

13 luglio 2001

lucapesenti@tin.it


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