G8. Il popolo dei demagoghi a caccia di rivincite
di Salvatore Vescina


Il movimento antiglobalizzazione ha molte componenti. Pur a prescindere dalle frange violente (anarchici insurrezionalisti, autonomi, punk bestia, eco-warriers), bisogna prendere atto che la matrice culturale prevalente, buonista e pacifista nelle forme, è in realtà antidemocratica e illiberale. Parole grosse? Provo a motivarle citando il portavoce del Genoa Social Forum - l’archetipo Vittorio Agnolotto - il quale va sostenendo di “parlare a nome di alcuni miliardi di persone, quelle che, se andrà avanti questo modello di sviluppo, rischiano di non poter vivere negli anni futuri o comunque vivranno in condizioni disperate”. Agnoletto, in realtà, rappresenta solo le associazioni aderenti al Genoa Social Forum. I governanti che siedono al tavolo del G8, tutti eletti democraticamente, rappresentano invece - loro sì - una miliardata di persone. Karl Popper ci ricorda che il termine “democrazia” è ingannevole poiché letteralmente significa “governo del popolo” ma va da sé che la funzione di governo non può essere esercitata direttamente dall’universalità dei cittadini sicché, attraverso la delega della rappresentanza elettiva, è esercitata solo da pochi. Ciò non toglie che ciascuna possa, con il proprio suffragio, partecipare al giudizio sull’esecutivo. E allora Agnoletto offende la democrazia ogni volta che si attribuisce la rappresentanza di miliardi di diseredati, mentre nega la legittimità del G8.

Vi è poi un’altra argomentazione capziosa cui il nostro ricorre d’abitudine affermando che “il 20 per cento della popolazione mondiale utilizza l’80 per cento delle risorse”. Con ciò si vuol dare per scontato che la ricchezza abbia una dimensione, per così dire, statica e finita sicché la prosperità dei paesi più sviluppati sarebbe frutto di una sottrazione, a discapito di quelli meno avanzati. Anche questo postulato è falso. A parte il fatto che viviamo in un’era postindustriale dove il benessere dipende in larga misura dai servizi e non dalle materie prime importate, tutti sanno che per effetto della globalizzazione se l’economia cresce in un’area del pianeta se ne giovano anche altre regioni. Ad esempio l’espansione decennale degli Stati Uniti ha trainato l’Europa e l’Asia, favorendo anche la crescita di molti paesi che non siedono nel G8. Senza andare troppo lontano è innegabile che, dopo la caduta del muro di Berlino, i più capaci tra i paesi dell’Est, in testa la Polonia, giovandosi dell’ingresso nella società aperta, hanno registrato eccellenti tassi di crescita economica, sociale e democratica. I paesi più poveri del mondo sono pressoché tutti società chiuse che applicano il protezionismo e non conoscono la democrazia. La loro arretratezza è di ostacolo alla crescita dell’economia mondiale e il G8 non si riunisce certo per mantenerli in tale condizione, se non altro perché l’offerta ha bisogno della domanda.

Si potrà contestare che il G8 sia inadeguato perché è una conferenza diplomatica che agisce a porte chiuse, perché le sue decisioni producono effetti indiretti anche su paesi che non vi sono rappresentati e per tante altre ragioni. Il nocciolo della questione è che la globalizzazione ha investito l’economia senza che vi fosse un parallelo processo di sviluppo delle istituzioni politiche internazionali. E non si può pensare che la soluzione possa essere una riforma che attribuisca maggiori poteri all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, almeno per due ragioni. Una parte molto rilevante dei paesi aderenti all’Onu non è democratica né rispetta i diritti umani. Gli stati più ricchi, realisticamente, non accetteranno mai di essere parificati sic et simpliciter agli altri. La pace perpetua, l’ordine internazionale descritto da Kant, è l’obiettivo più alto che possa darsi la politica. Ma perché l’utopia diventi prima progetto politico e poi realtà occorre passare per le tappe intermedie di un percorso complesso. Il presidente Ciampi in una recente intervista ha delineato la più ragionevole delle strategie: “Per governare la globalizzazione - ha detto - occorre un’Europa federale che sappia parlare con una voce sola sulla scena mondiale”.

Per realizzare l’utopia del governo mondiale occorre dunque transitare per delle aggregazioni federali intermedie. E già oggi l’Unione Europea fa moltissimo a beneficio dei paesi più arretrati, ad esempio assicurando la stabilità dei prezzi dei prodotti agricoli nei paesi Acp (Africa, Caraibi, Pacifico), oppure con gli aiuti ai paesi poveri che, superando il tradizionale (e neocolonialista) approccio unilaterale, sono subordinati a clausole evolutive sui diritti umani e la democrazia e sono asimmetrici, ovvero a prevalente vantaggio dei paesi in via di sviluppo. Si tratta di questioni complicate e, in quanto tali, indigeste ai più. Il compito degli intellettuali alla testa dei movimenti dovrebbe essere quello di renderle comprensibili al grande pubblico ed esercitare pressione sui governi per accelerare la costruzione di istituzioni internazionali efficienti e democratiche. Invece si preferisce la demagogia dei poveri sfruttati e delle multinazionali sfruttatrici. Il sospetto è che gli egualitari illiberali, nemici del capitalismo e della società aperta, sconfitti su scala nazionale, stiano cercando la rivincita su scala globale.

6 luglio 2001

salvatore.vescina@libero.it


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