Se la cultura di sinistra si riduce all'antiberlusconismo
di Pierluigi Mennitti


Una volta era la rinomata intelligencija di sinistra. Fior di intellettuali che spaccavano il capello in quattro per spiegarsi e spiegarci come andava il mondo e dove andava la classe operaia. Una tradizione di analisi e riflessione sulla quale la sinistra ha costruito la propria egemonia culturale, sopravvissuta per oltre un decennio alla caduta del comunismo e per oltre due alla fine della sua "spinta propulsiva". Analisti, saggisti, giornalisti, poeti, scrittori. Un gotha delle lettere che seminava la cultura marxista nelle scuole, nelle università, nelle fabbriche, nell'opinione pubblica. Poteva piacere o non piacere (e a noi, ça va sans dire, non piaceva). Ma a volte, quando non era troppo strumentale a diktat politici, era utile anche per gli avversari: aiutava a confrontarsi e, nella quasi latitanza di una cultura non comunista, era un punto di riferimento se non altro per misurare distanze e dissensi. Di quella cultura i Ds del tempo, che si chiamavano orgogliosamente e cocciutamente comunisti, erano il "braccio politico". Non vi era passo, progetto, strategia del Pci che non fosse elaborato, valutato, dibattuto in quel gotha delle lettere. Anche la sinistra non comunista, quella socialista, non fu priva di un'agile navicella intellettuale che ne supportò le scelte, ne indicò gli obiettivi. La svolta craxiana nacque e si alimentò nelle pagine di Mondoperaio, diretto da Luciano Pellicani, e si riflesse nelle edizioni Sugarco, allora curate da Massimo Pini.

Fa un po' specie (e un po' tristezza) osservare oggi lo stato della produzione intellettuale della sinistra. Almeno di quella che più direttamente indirizza i propri studi sull'attualità politica e pretende di avere voce in capitolo nelle scelte strategiche della coalizione che si fronteggia al centrodestra. Fate un giro in libreria, in questi giorni di campagna elettorale. I banconi sono sommersi dai libri contro il Cavaliere. Un florilegio di volumi sui quali accanto al nome di Berlusconi campeggiano titoli tipo Gli affari del presidente, Fratello P2, Inchiesta sul signor Tv, Il venditore, Il grande inganno, Il Cavaliere B. La rivista settimanale Diario pubblica un numero speciale sulle presunte nefandezze del candidato polista intitolata "Berlusconeide". Il libro di Travaglio, Il colore dei soldi, è insomma solo il più fortunato di una serie "noir" che racconta le vicende politiche dell'avversario sullo sfondo di intrecci economici, criminali, addirittura mafiosi che spesso poggiano su interpretazioni distorte o su inchieste poco fortunate di pubblici ministeri. Non tutti gli autori hanno avuto la compiacenza di una tribuna televisiva pubblica, ma tutti sembrano usciti dalla scuola di praticantato di Micromega, la rivista giustizialista di Paolo Flores D'Arcais che nell'ultimo numero bacchetta gli ulivisti tiepidi verso Berlusconi (chi si estranea dalla lotta è un gran figlio…).

Dismesse le traduzioni d'Oltremanica sulla terza via, invenduti i saggi sulla new economy progressista dell'era clintoniana, ripudiati gli studi del Mulino tanto in voga ai tempi del pullman di Prodi, il fermento culturale che agita la sinistra italiana del nuovo secolo è tutto qui: demonizzare l'avversario. Non è neppure una novità, visto che la litania dura ormai da otto anni. Nel migliore dei casi sappiamo contro chi si muovono ma non capiamo per che cosa. Non è un caso che la scelta del candidato premier sia caduta su Francesco Rutelli invece che su Giuliano Amato. La sinistra di oggi non appare né riformista, né moderata, né liberal, né continuista. Quell'agglomerato di simboli che si raggruppa dietro l'Ulivo del 2001 non esprime un progetto, non testimonia un'eredità, non dice proprio nulla. Non si conosce neppure, a un mese dal voto, il suo programma elettorale. E tutto questo nel momento in cui progetti e idee dovrebbero essere più evidenti per convincere gli elettori.

Se il voto del 13 maggio confermerà le previsioni di oggi, si potranno pure dare le colpe alle liste elettorali sbagliate, all'illusionismo del Cavaliere, al destino cinico e baro o al rimbecillimento del popolo italiano. Si potrà. Ma la sinistra non sfuggirà a una sua rifondazione. Una Bad-Godesberg alla quale già si stanno preparando quegli uomini oggi poco impegnati sul fronte rutelliano. Quelli, per dirla con le loro stesse parole, che non vengono chiamati alle manifestazioni elettorali e si battono in un collegio uninominale senza la rete di protezione del proporzionale. Resta tuttavia un dubbio atroce: non è che la Bad Godesberg la sinistra l'ha già tentata qualche anno fa e magari si chiamava Hotel Midas? In questo caso il colpo mortale dato dal Pci-Pds al Psi craxiano potrebbe aver seppellito la speranza riformista della sinistra. E allora ci sarebbe da rifondare proprio tutto.

10 aprile 2001

pmennitti@hotmail.com






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