A la guerre comme à la guerre
di Pierluigi Mennitti


Polo svegliati. Il centrosinistra ha schierato sul terreno della campagna elettorale l'artiglieria pesante. Una strategia di attacco sofisticata, comprensibile solo agli addetti ai lavori. Gli elettori, invece, restano ignari, affollano le librerie per acquistare il "libro scandalo" di Travaglio (ristampato in 200mila copie in fretta e furia) e gonfiano gli indici d'ascolto delle trasmissioni di Santoro e Luttazzi, che fino a poco tempo fa registravano numeri di gran lunga inferiori. Non è più il tempo di minimizzare, a meno di non volersi ritrovare tra un paio di settimane di fronte a scenari imprevisti (Berlusconi si ricorda cosa è accaduto con il Milan?).

Greenberg ha studiato la Casa delle libertà. Ha capito che Berlusconi è il punto di forza della coalizione e che - da leader carismatico qual è - attira la fiducia massima dei suoi elettori e l'antipatia massima dei suoi avversari. Berlusconi, dunque, non la Lega o An è il bersaglio da colpire. Disarcionato lui, l'intero castello delle libertà è destinato a scompaginarsi, a ritirarsi impaurito e frastornato. Basta dunque con le grida contro il pericolo razzista incarnato da Bossi o quello fascista rappresentato da Fini. Questi fantasmi (razzismo e fascismo) non spaventano nessuno e, soprattutto, i loro presunti rappresentanti non sono il cardine dell'alleanza. Attaccare Berlusconi, frontalmente, con tutti i mezzi leali e sleali (ma preferibilmente con i secondi) è il motto di una strategia elettorale che ha subito un salto di qualità. L'antiberlusconismo è l'unico collante dell'Ulivo e, se non contrastato adeguatamente, può riassorbire le frange deluse della sinistra drenando la tendenza all'astensionismo: reclutare disertori e riservisti nella guerra al grande nemico, questo è l'obiettivo di Greenberg.

E' una strategia che denota paura e insicurezza, una sorta di ultima spiaggia disperata di fronte all'incedere sicuro della Casa delle libertà. Ma non va sottovalutata, perché sposta il piano del confronto dal dibattito alla rissa. "E' ora di presentare il programma", disse Rutelli due settimane fa: ma poi il programma lo ha presentato Luttazzi, spalleggiato da Freccero e Zaccaria, coadiuvato da Santoro, un gruppo di potere che gioca una partita del tutto personale e della quale Rutelli è solo un casuale beneficiario. La balcanizzazione del potere politico avvenuta nell'era dell'Ulivo produce anche tali storture.

Deve il Polo cadere nel tranello della rissa? Evidentemente no. Ma non può neppure astenersi dal rivendicare con orgoglio le credenziali maturate in cinque anni di opposizione che lo pongono oggi come credibile forza di governo. Bisogna rispondere colpo su colpo, ribadendo che quella che si propone alla guida del paese non è un'accozzaglia di mafiosi, fascisti e razzisti ma una coalizione che ha saputo fare opposizione nell'interesse del paese e ha mantenuto l'Italia nelle alleanze internazionali nei momenti difficili. Bisogna ribadire che il suo leader non è l'oscuro grande fratello di trame segrete ma l'uomo che ha saputo rafforzare un nuovo partito di centro, raccordandolo alla grande famiglia del partito popolare europeo diventandone egli stesso uno dei principali esponenti. Bisogna sottolineare che la Casa delle libertà non è un'accolita di improvvisati ma un'aggregazione che governa città e regioni, dalla Lombardia alla Puglia, dal Veneto al Lazio, da Milano a Bologna, con risultati di gran lunga superiori a quelli della tanto decantata "stagione dei sindaci progressisti" che oggi affoga nell'immondezzaio a cielo aperto della Campania. La campagna di Greenberg ricalca inopinatamente strade già battute nel '94. Sono tornati in campo gli spettri di quell'anno, i Santoro, i Montanelli, i di Pietro, i Dario Fo e le Franca Rame. Non è detto che riescano a far meglio di quanto fecero sette anni fa. Ma il Polo si preoccupi di non dargli un'altra chance. Il 13 maggio è ancora tanto lontano.

27 marzo 2001

pmennitti@hotmail.com

 

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