Il circo antiglobal fa le prove per Genova

Proteste inutili, inutili mazzate. Ormai lo schema è consolidato: ogni occasione è buona per prendersela contro l'economia di mercato, contro i capitalisti cattivi, contro le multinazionali sanguisughe, contro quell'inafferrabile complotto per lo sfruttamento del mondo definito globalizzazione, contro "il tentativo delle multinazionali di allargare la domanda nel terzo mondo per una nuova colonizzazione economica, stavolta nel nome di Internet e delle nuove tecnologie". Proteste inutili, perché, oltre al vuoto slogan della "globalizzazione di diritti e solidarietà", non vengono avanzate proposte concrete per l'organizzazione del mondo secondo schemi diversi. Il progetto bolognese di Rekombinant, qualche mese fa, sembrava il preludio di una fase di cristallizzazione delle rivendicazioni del movimento, ma non è mai decollato. Inutili mazzate, quelle prese nel tentativo di forzare lo sbarramento di sicurezza: volevano che una delegazione di circa 300 persone fosse ammessa in piazza Plebiscito (2 delegati per ognuna delle circa 150 sigle che hanno aderito alle giornate di mobilitazione), dopo aver rifiutato l'invito di prendere parte, con una delegazione molto più ridotta, ai lavori del forum, con la possibilità di intervenire durante la giornata inaugurale ed esporre il proprio punto di vista. Forse non avrebbero saputo cosa dire, slogan a parte; o magari conviene attaccare, prendere le botte dalla polizia che si difende, e poi lamentarsi per la "repressione".

Tuttavia, la guerriglia urbana inscenata da questi disorientati e disadattati teppisti, durante il Global Action Day di sabato 17 marzo (nome in codice M17) non deve oscurare alcuni spunti interessanti. Niente proposte concrete, molta violenza gratuita, ma anche versatile creatività e abilità nello sfruttare le potenzialità connettive della Rete: la posta elettronica per i contatti preliminari, il faccia-a-faccia per le riunioni deliberative, di nuovo la posta elettronica per i dettagli; il sito web www.noglobal.org come ufficio stampa virtuale, per disseminare informazioni; il sito
www.ocse.it per confondere i navigatori poco attenti (contenuti simili ma significativamente modificati); il netstrike (poco riuscito, peraltro) contro il sito della Fineco. Inoltre, una strategia d'azione altamente diversificata e dall'enorme potenziale comunicativo: peccato che i contenuti trasmessi fossero solo negativi. Pic-nic biologico da McDonald's, con mozzarelle di bufala ed ortaggi portati da casa, scortati da galline e pecore (Clarissa e Clarabella); obiettivi delle telecamere di sicurezza oscurati con spray nero; un'affollatissima conferenza sui pericoli della globalizzazione; i carri allegorici della sfilata del 14: la pannocchia transgenica "nata per uccidere", il gigantesco ragno nero (a simboleggiare l'Oecd) che soffoca il Vesuvio, mucche pazze a volontà; il Pulcinella manganellante simbolo delle proteste; i manifesti per un finto concerto in piazza Plebiscito; le magliette No Global alla cena di gala, indossate sotto l'abito e poi esibite (spogliarello condito da slogan, sempre e solo contro la globalizzazione) da due consiglieri rifondaroli (tali Bellotti e di Mauro, autoctoni) regolarmente invitati. Versatilità, dunque, ma forse anche un briciolo di confusione: cosa c'entrano McDonald's, la mucca pazza, i cibi transgenici con l'e-government? Secondo noi niente, ma è anche vero che noi non crediamo al complotto neocolonialista della globalizzazione. Per chi invece al complotto ci crede, a cosa servirebbe fare distinzioni? Come la confusione nei cortei: comunisti, centri sociali, opera nomadi, cigiellini, pacifisti, anarchici, disoccupati, ambientalisti, cobas, difensori dei prodotti tipici, teppisti, persino esuli curdi. Ognuno per conto suo, con le proprie battaglie e le proprie rivendicazioni, con il proprio stile di lotta (anche cruenta). Uniti solo dal nemico immaginario: la globalizzazione tentacolare.

Un'ultima considerazione. Ciò che differenzia le proteste di Napoli da quelle di Seattle e dei molti seguiti è la fortissima territorializzazione dei gruppi coinvolti, come ha sottolineato il senatore di Rifondazione comunista Russo Spena (che appoggia i picchiatori, ma al contrario di Bossi è un moderato), durante la conferenza antiglobalizzazione del 16. Non più, o non solo, i professionisti della protesta globalizzata, attiva dagli Stati Uniti all'Australia, dalla Costa azzurra alla Svizzera. Al suo posto, invece, un movimento che mette radici, che fagocita le aree di tensione locali: i disoccupati organizzati, gli immigrati clandestini, gli sbandati assortiti vanno ad ingrossare le fila della protesta, manovalanza che gli strateghi del movimento potranno attivare a loro piacimento. Un inedito fenomeno di moltiplicazione della conflittualità, dunque. A luglio, per il G8 di Genova, bisognerà stare molto attenti. (g.man.)

20 marzo 2001

giuse.mancini@libero.it



stampa l'articolo