Lodo Schifani. Se la regola è per tutti non è
anticostituzionale
di Vittorio Mathieu
Parecchi Soloni sono necessari per giudicare se una legge ordinaria
confligga o no con la Costituzione. Eppure, nonostante la loro
indiscutibile competenza, non sempre si trovano d’accordo. Non lo sono
stati, ad esempio, sul cosiddetto lodo Maccanico o Schifani. Il difetto
deve stare nel modo di porre il problema e conviene indagarlo.
L’articolo della Costituzione con cui è più probabile che una legge
entri in conflitto è il numero. 3, che recita: “Tutti i cittadini hanno
pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione
di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di
condizioni personali e sociali”.
Prendiamo allora la legge sulla coscrizione obbligatoria, che vigeva al
tempo in cui la Costituzione fu approvata. Essa obbligava i maschi a
prestare servizio militare e impediva alle femmine di fare altrettanto:
dunque applicava una discriminazione fondata palesemente sul sesso. Per
decenni, tuttavia, la legge rimase in vigore e nessuno sollevò un dubbio
sulla sua costituzionalità, attraverso un giudice ordinario , sebbene la
legge creasse un fardello molto pesante sulle spalle dei maschi che non
fruissero di speciali esenzioni. Si dice: le norme costituzionali
possono ammettere eccezioni, purché previste dalla Costituzione stessa.
Che una legge ammetta eccezioni è ovvio, purché confermino la regola.
Che si tratti o no di una legge costituzionale è indifferente. Se pero’
l’eccezione non confermasse la regola sarebbe contraddittoria con essa:
ed è noto che da una contraddizione si può trarre legittimamente
qualsiasi conclusione. Ciò renderebbe la legislazione impossibile. Anche
la Costituzione, se contenesse una contraddizione, si presterebbe a
qualsiasi uso, e perciò non esisterebbe.
Non si vede insomma, perché una legge, costituzionale o ordinaria che
sia, non dovrebbe concedere una immunità a chi si trovi in particolari
condizioni (come infatti avviene per il presidente della Repubblica,
salvo che per alcuni reati, o per i membri del Parlamento per alcuni
provvedimenti). Una partoriente ad esempio non va tenuta in carcere,
anche se ogni altra circostanza renderebbe ciò obbligatorio. L’articolo
3 va letto, dunque, per quel che vuol dire. Esso vieta quella che si
chiamava la “accezione delle persone”, cioè il trattare Tizio
diversamente da Caio perché, poniamo, uno è di famiglia nobile e l’altro
no. La differenza di trattamento deve avere una ragione intrinseca alla
norma. Una legge che stabilisse l’immunità per il capo del governo
quando sia di sinistra e non quando sia di destra (o quando sia biondo e
non quando sia bruno, ecc) sarebbe effettivamente anticostituzionale.
Anzi sarebbe illecita anche in assenza di qualsiasi costituzione
scritta. Ma che la legge stabilisca cose diverse per i padri e per i
figli, che vieti l’accesso a certe carriere a chi non è laureato, e
simili, non ha nulla a che vedere con l’eguaglianza sancita
dall’articolo 3, perché quelle differenze riguardano la fattispecie, non
chi si trovi in questa o in quella condizione.
Se si legge altrimenti l’articolo 3, si troverà sempre che la legge
discrimina. Allora, come i ragazzini che si sentono defraudati quando
perdono gridano “Non vale”, ci troveremmo tutti, di fronte a qualcosa
che non ci piace, a gridare di continuo, con Gavino Angius, “è
incostituzionale”.
16 gennaio 2004
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