Scuola, spazio al merito
di Mario Mauro
Ideazione di novembre-dicembre 2006

Poter rispondere alle esigenze della società e del mondo del lavoro ad essa collegato è da sempre l’obiettivo principe della scuola. Ma oggi qualcosa è cambiato. La società si è fatta particolarmente complessa e all’esigenza di alta formazione culturale si affianca la necessità di stabilire quanto prima un contatto con il mondo del lavoro, con la pratica. La nuova situazione di mobilità, poi, richiede una maggiore duttilità e un continuo apprendimento da parte sia di chi si sta formando sia di chi è già in possesso di un lavoro. L’intuitività e la creatività del singolo non sono mai state così importanti, ma al contempo si deve prestare maggior attenzione alla sfera scientifica e tecnica, spesso trascurata soprattutto in Italia.

Come dicevamo il quadro risulta piuttosto complesso. Si può quindi ben capire di fronte a quali nuove ed urgenti sfide si trovi la scuola di oggi. Ed allora, cosa fare? Che strada indicare e quali mezzi offrire ai ragazzi?  Partiamo dal presupposto che una scuola per essere una “buona” scuola deve garantire una formazione, o meglio ancora, una educazione adeguata. Ma adeguata a chi? A che cosa? Sicuramente alle richieste del mondo del lavoro in cui ci si dovrà immettere, ma anche, e forse soprattutto, alle peculiarità di ogni singolo individuo. Solo valorizzando le doti specifiche di ogni persona se ne potrà ottenere il massimo e, di conseguenza, il massimo vantaggio per tutta la società. Per  creare una scuola che risponda alle esigenze di tante diversità, si deve innanzitutto rendere varia la stessa offerta formativa. In questo modo le famiglie, motore primo della formazione di un individuo, potranno decidere l’indirizzo migliore da far seguire ai propri figli. Il primo passo perciò dovrebbe essere quello di riconoscere alla scuola la sua libertà. In Italia però, permane una visione statalista della scuola, questa libertà viene negata e si relega l’istituzione scolastica a ruolo di ufficio pubblico fagocitato dalle mille procedure burocratiche e depauperato nella qualità da una quasi assenza del criterio meritocratico, mentre agli insegnanti viene data la veste di semplici funzionari statali anziché, come dovrebbe essere, di veri professionisti dell’educazione. Ad oggi addirittura l’unico vero cambiamento promosso dal ministro Fioroni è stato tornare a definirsi ministro della “pubblica” istruzione: mai come in questo caso pubblico sta per statale.

La scuola privata viene percepita negativamente, come se fosse in competizione con la scuola pubblica e non si vede che fornendo adeguati strumenti economici, si verrebbe a creare una “parità” nella possibilità di accesso a scuola pubblica e privata. Fornendo delle sovvenzioni destinate alle famiglie e non alle scuole, si avrebbe una sorta di “buono-scuola” che, laddove è già stato introdotto, ha avuto il positivo effetto di favorire lo sviluppo della concorrenza tra gli istituti, creando un mercato dell’istruzione privata che favorisce la qualità complessiva del sistema formativo e ha posto tutte le famiglie, indipendentemente dalle condizioni sociali, in una situazione di parità. Flessibilità di salari in base a criteri meritocratici, libertà agli insegnanti di scegliere i programmi di studio ed autonomia organizzativa dei singoli istituti sono solo alcuni dei provvedimenti necessari al miglioramento dell’educazione scolare. Ma non basta. Occorre proprio ricollocare la scuola al centro degli interessi della comunità, restituirle in qualche modo quel prestigio sociale che da tanto tempo sembra aver perduto e, per farlo, ci si deve basare sui principi del federalismo e della sussidiarietà.

Libertà e sussidiarietà in luogo della centralizzazione e rispetto delle procedure; principio della qualità vera e dell’efficacia educativa in luogo del conformismo culturale; tutela dei diritti della persona e della famiglia in luogo dello statalismo ad oltranza. Bisogna rompere, insomma, il monopolio statale del sistema, affidando allo Stato centrale esclusivamente la funzione strategica della politica scolastica nazionale. Allo Stato, secondo la Costituzione stessa è attribuito, infatti,  un ruolo di legislatore “generale”. Il compito di dettare una legislazione particolare e di porla in atto potrebbe, invece, essere affidata a regioni e province. Coinvolgendo questi due enti nella gestione del sistema scolastico, attuando cioè un vero federalismo educativo, si possono ottenere risposte qualitativamente migliori ai bisogni dei cittadini giovani e meno giovani. La devoluzione alle regioni in materia di istruzione consentirà, inoltre, ad ogni regione di scegliere il proprio metodo di finanziamento delle scuole statali e non statali.

Insomma, come sottolineato anche dal Cardinale Scola, Patriarca di Venezia, in un discorso tenuto in occasione della festa del Redentore lo scorso 16 luglio 2006, bisogna insistere sulla politica di liberalizzazione, capendo quanto sia profonda l’esigenza di adeguare il sistema educativo alle richieste di una società complessa ed articolata in cui il diritto all’istruzione deve essere garantito attraverso una libertà di scelta strettamente connessa, a sua volta, al principio dell’autonomia scolastica. La scuola ha un bisogno vitale di ricevere una forte spinta innovativa, dal momento che è proprio sul percorso formativo che si vuole e si deve agire per ridare competitività ed impulso all’economia dello Stato italiano.

Anche l’Unione Europea si è mostrata estremamente attenta e sensibile allo sviluppo del settore educativo: si pensi infatti alla strategia di Lisbona e alla sua recente revisione a medio termine dove si scommette proprio sulla formazione, e su quella tecnico-imprenditoriale in particolare. Si auspica che lo Stato, insieme all’Unione, offra forti finanziamenti che permettano un miglioramento di competenze e qualifiche accessibile a tutti. Investire molto di più sul capitale umano: questa è la filosofia della strategia di Lisbona. Spazio perciò alla promozione di ricerche e studi sul contributo che il capitale umano può apportare al settore del lavoro. L’Europa si sta scoprendo vecchia e provvista di mezzi troppo obsoleti per risanare e rilanciare la propria economia. Deve, se vuole riproporsi agli occhi del mondo come “grande economia della conoscenza”, cercare nuovi e più adeguati strumenti. Ecco perché, in quest’ottica, è fondamentale investire nella ricerca e nel valore dei singoli individui. Accrescere, quindi, il valore stesso del proprio capitale umano diventa necessità prioritaria, anche a fronte delle altre realtà competitive esterne all’Unione Europea, come Cina e Stati Uniti, che sono già pronte a raccogliere i frutti di ogni opportunità non colta dallo stanco colosso europeo. Autonomia scolastica, libere scelte delle famiglie e aumento delle risorse a disposizione per l’investimento nel capitale umano come possibili soluzioni per uscire da una situazione stagnante come quella che sta vivendo l’economia italiana: questi sembrano essere gli ingredienti più importanti per una riforma seria, profonda e duratura della scuola italiana.

 

(Relazione introduttiva all’Assemblea nazionale del dipartimento Scuola di Forza Italia che si è tenuta il 6 ottobre presso la sala conferenze Palazzo Marini a Roma).

 

Mario Mauro, vicepresidente del Parlamento europeo, responsabile nazionale del dipartimento Scuola e Università di Forza Italia.

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