Dice Giuliano Amato che «è importante
capire che in ogni uomo c'è il segno di Dio, un antidoto che non
appartiene ad una laicità ignara della religione. Questo mi porta
a constatare che la religione è parte del dialogo pubblico della
società». Ma aggiunge anche che le società del «nostro
tempo sono governabili senza un ruolo forte della religione».
Qualcuno tanto per fare dell'ironia potrebbe dire che Giuliano Amato fa
parte della schiera dei cristiani rinati della sinistra italiana, in buona
compagnia con Fausto Bertinotti e Piero Fassino, oggi alla ricerca del trascendente
dopo una assai lunga giovinezza illuministico-rivoluzionaria. Spunti di
cronaca che introducono il tema del rapporto tra religione e politica, laici
e cattolici, partiti politici e Chiesa. Le (ri)conversioni a sinistra sono
divertenti per la loro rapidità con l'approssimarsi della zona Palazzo
Chigi-Quirinale, ma sono forse meno esilaranti e più interessanti
i rilanci di Rutelli e della Margherita per avere una corsia preferenziale
d'accesso Oltre Tevere, i ripensamenti laicisti in casa diessina e le tentazioni
di aprire una vera e propria “questione vaticana” (Gavino Angius dixit).
La sinistra italiana ha sempre ritenuto il dialogo con la Chiesa suo esclusivo
campo d'azione, un po' perché il comunismo era considerato in fondo
un'eresia del cattolicesimo, un po' perché il Pci aveva un gruppo
di intellettuali che sulla questione cattolica si interrogava per davvero
(vi dice niente Rodano?), un po' perché la destra si occupava della
faccenda in modo curiale: la Dc mediava le posizioni Stato-Chiesa, incassava
i voti, scambiava favori, manteneva le posizioni, prendeva due o tre abbagli
perdendo qualche battaglia (aborto e divorzio) e soprattutto si premurava
di non perdere il monopolio dell'unità dei cattolici.
Era un mondo che, diviso in due blocchi, difendeva lo status quo, si appoggiava
al Muro di Berlino, l'Islam era un mondo remoto fatto di califfi, deserti,
avventure esotiche e pozzi di petrolio gestiti dalle “sette sorelle”, il
materialismo avanzava ma il comunismo era la minaccia e la Chiesa non sembrava
ancora destinata a ingaggiare una lotta mortale con il secolarismo per non
diventare una forza minoritaria. Quel mondo sparisce nel 1989 con il crollo
del Muro e da quel momento il gioco si spariglia, l'ordine diventa disordine
mondiale, il turbocapitalismo si espande, l'Unione Sovietica si disgrega,
la Cortina di ferro si arrugginisce fino a sbriciolarsi, l'America si trova
nello scomodo ruolo di unica forza egemone e di Globocop, entrano in campo
forze nuove, nuove ondate migratorie, il mondo diventa multipolare, l'Islam
partorisce il mostro del terrorismo e la jihad, la Cina e le tigri asiatiche
inventano il mix di illibertà politica e capitalismo dirigista, la
società italiana conosce una rivoluzione giudiziaria, la Dc sparisce
e la Chiesa si trova nel pieno della guerra di civiltà e dell'avanzare
in pochi anni di un relativismo che punta all'annichilimento delle idee
forti. È in questo scenario globale che oggi la Chiesa e la politica
si confrontano.
L'Italia è uno dei teatri più interessanti e agguerriti, perché
cuore del Papato è paese ancora resistente al secolarismo. «Qui
in Italia – disse Papa Benedetto XVI durante l'assemblea dei vescovi nel
maggio scorso – l'egemonia non è affatto totale e incontrastata».
È in questo scenario locale che la Chiesa e la politica si scontrano
e incontrano. Chiusa la fase dell'unità dei cattolici, il centrosinistra
ha pensato che tutti i voti cattolici fossero in libera uscita, ma il risultato
del referendum sulla procreazione ha fatto suonare il gong. Qualcosa in
questi anni è cambiato. E a combattere la battaglia sul campo della
Chiesa sono rimasti in pochi: Francesco Rutelli, Marcello Pera e Pier Ferdinando
Casini. Giocando una scommessa contro l'establishment politico-culturale,
i tic degli intellettuali radical chic e la miopia dei partiti, i tre hanno
vinto. E riaperto il tema del rapporto tra laici e cattolici, Chiesa e partiti.
Soprattutto nel campo del centrodestra, dove sta venendo alla luce un movimento
d'opinione che la Casa delle Libertà finora ha sottovalutato, ma
con cui presto dovrà fare i conti, soprattutto se vuole seriamente
approdare alla costituzione di un partito unitario dei conservatori.
Dopo il referendum, l'altro colpo di cannone è arrivato da una lettera
di Papa Benedetto XVI al seminario di Norcia organizzato dalla Fondazione
Magna Carta e dalla Fondazione per la sussidiarietà. Una lettera
dove il Papa occupandosi di laicità e libertà scrive che «la
riflessione che si farà al riguardo tenga conto della dignità
dell'uomo e dei suoi diritti fondamentali, che rappresentano valori previi
a qualsiasi giurisdizione statale. Questi diritti fondamentali non vengono
creati dal legislatore, ma sono inscritti nella natura stessa della persona
umana, e sono pertanto rinviabili ultimamente al Creatore. Se, quindi, appare
legittima e proficua una sana laicità dello Stato, in virtù
della quale le realtà temporali si reggono secondo norme loro proprie,
alle quali appartengono anche quelle istanze etiche che trovano il loro
fondamento nell'essenza stessa dell'uomo. Tra queste istanze, primaria rilevanza
ha sicuramente quel “senso religioso” in cui si esprime l'apertura dell'essere
umano alla Trascendenza. Anche a questa fondamentale dimensione dell'animo
umano uno Stato sanamente laico dovrà logicamente riconoscere spazio
nella sua legislazione. Si tratta, in realtà, di una “laicità
positiva”, che garantisca ad ogni cittadino il diritto di vivere la propria
fede religiosa con autentica libertà anche in ambito pubblico. Per
un rinnovamento culturale e spirituale dell'Italia e del Continente europeo
occorrerà lavorare affinché la laicità non venga interpretata
come ostilità alla religione, ma, al contrario, come impegno a garantire
a tutti, singoli e gruppi, nel rispetto delle esigenze del bene comune,
la possibilità di vivere e manifestare le proprie convinzioni religiose».
La lettera autografa del Pontefice è un documento di straordinaria
importanza che certifica la volontà della Santa Sede di continuare
a intervenire nel dibattito politico italiano per ribadire il magistero
della Chiesa nella società e non solo entro le mura vaticane. Tranne
alcune lodevoli eccezioni, questo documento non ha raccolto l'attenzione
nel mondo politico e culturale dell'area del centrodestra, convinto che
la querelle sull'Ici e gli immobili vaticani fosse più importante
(e dunque temporale) mentre la lettera del Papa sulla laicità fosse
un gioco filosofico (e dunque spirituale). Il significato della lettera
del Pontefice non è sfuggito, per esempio, a un vaticanista attento
come Marco Politi, che su Repubblica scrive: «Papa Ratzinger si sta
addentrando nella giungla politica italiana. Può darsi sia solo una
sortita. O forse no. Certo è che mandando il suo beneaugurante pensiero
a Marcello Pera e al suo progetto dichiaratamente ispirato alla visione
dei neoconservatori americani (in cui la politica di governo è direttamente
impostata dai postulati di una fede) il Pontefice tedesco ha scavalcato
il Tevere e si è immesso nelle vicende nostrane». Il giornale
diretto da Ezio Mauro legge la lettera del Papa come una sorta di “discesa”
in campo e “scelta di campo”. Politi fa notare che nell'attuale opposizione
il dialogo con la Chiesa «è un terreno che il mondo laico del
centrosinistra sembra avere completamente abbandonato». Non sappiamo
quanti tra i politici della CdL abbiano colto questi segnali, certo è
che nessuno tra i leader del centrodestra è intervenuto nel dibattito
politico aperto dalla lettera di Ratzinger. Si dirà che bisogna tenere
distinti il fatto religioso da quello politico. Ci sentiamo di dire che
è proprio questo l'errore: pensare a una Chiesa che si occupa delle
anime solo nel chiuso recinto delle basiliche, in un confine che in duemila
anni di storia non è mai esistito. La Chiesa cattolica è sempre
stata un global player e la sua diplomazia si dispiega sui due emisferi.
Il suo ruolo nelle rivoluzioni democratiche degli anni Ottanta è
stato fondamentale. Un libro poco citato e poco letto di Samuel Huntington
(autore dello Scontro delle Civiltà, libro invece citatissimo e altrettanto
poco letto) intitolato La Terza Ondata, offre al lettore una panoramica
dell'azione della Chiesa nella costruzione delle democrazie e del libero
mercato. Il centrodestra dovrebbe riflettere su questo aspetto: il liberalismo
è stato separato dalla sua originaria radice cattolica, e oggi è
in crisi proprio dal punto di vista morale, sembra essere assente una missione
suprema. Qualcuno dirà che fu la Democrazia cristiana ad assicurare
in Italia un equilibrio tra mercato e Stato, valori della Chiesa e missione
dell'impresa. In questo senso, è interessante leggere questa valutazione
storica proposta da Giorgio Vittadini: «Dal punto di vista politico,
la Democrazia cristiana, che ha enormi meriti per ciò che è
riuscita a fare per lo sviluppo della vita democratica del paese, è
implosa a poco a poco scivolando nella sola preoccupazione di una gestione
del potere e imboccando la via dello statalismo, perdendo così coscienza
della sua diversità culturale». Addirittura è arrivata
ad accettare un regime consociativo in cui «nella concreta vita parlamentare
si realizzava una strategia di compromesso», mentre «nel presupposto
che la società civile del dopoguerra fosse impreparata, venne colonizzata
politicamente e si favorì una concezione “paternalistica” dei diritti
sociali. Nella vita concreta della nuova Repubblica italiana i soggetti
attivi del pluralismo sociale vennero identificati e sostanzialmente esauriti
nei partiti e nei sindacati, destinando le altre formazioni sociali ad un
ruolo marginale e secondario».
Partiti e sindacati, un tempo architrave della vita sociale italiana, oggi
sembrano essere ai margini del paese reale. I primi chiusi da tempo nel
Palazzo, i secondi intenti a difendere antiche posizioni e rendite, pronti
a sostenere le politiche dei diritti, ma inadeguati a sostenere le sfide
lanciate dal mercato globale. Questa inadeguatezza si potrebbe estendere
anche all'impresa italiana, ma usciremmo dal seminato. Restiamo dunque nel
campo arato (e un po' incolto) della politica e del centrodestra, e vediamo
se il sistema di coltivazione della CdL è conciliabile con la potatura
che Ratzinger sta svolgendo nella “vigna del Signore”.
Di contadini conservatori intenti a dare una sistematina all'agro Chiesa-politica
non se ne vedono molti in giro. Marcello Pera, of course, su un livello
francamente inarrivabile per tutti; Pier Ferdinando Casini per cultura e
tradizione post-democristiana; Roberto Formigoni, la cui impronta ciellina
è fonte di attenzione verso i movimenti ecclesiali; Letizia Moratti,
che il 13 ottobre scorso ha firmato l'accordo con la Cei per l'insegnamento
della religione nei licei (scelta fatta dall'87 per cento degli studenti),
inserendo negli organici tremila insegnanti precari e evitando l'esclusione
dai programmi di un tema che – se fosse passata la visione laicista – avrebbe
fatto mancare all'educazione dei ragazzi «significati e simboli religiosi,
escludendo i quali sarebbe incomprensibile gran parte del nostro patrimonio
letterario, artistico e filosofico».
Sono però soltanto dei timidi segnali. Il problema
del rapporto tra politica e religione in Italia, dopo l'eclisse della Dc,
era fino a poco tempo fa quello di intercettare i consensi in libera uscita,
oggi, senza stare a fare giri di parole, è quello della creazione
di una nuova formazione che sappia farsi interprete del nuovo rapporto tra
laici e cattolici. Vale la pena di ricordare le parole pronunciate dal Papa
Giovanni Paolo II il 23 novembre 1995 durante il convegno ecclesiale di
Palermo: «La Chiesa non deve e non intende coinvolgersi con alcuna
scelta di schieramento politico o di partito, come del resto non esprime
preferenze per l'una o per l'altra soluzione istituzionale o costituzionale,
che sia rispettosa dell'autentica democrazia. Ma ciò nulla ha a che
fare con una “diaspora” culturale dei cattolici, con un loro ritenere ogni
idea o visione del mondo compatibile con la fede, o anche con una loro facile
adesione a forze politiche e sociali che si oppongano o non prestino sufficiente
attenzione, ai principi della dottrina sociale della Chiesa sulla persona
e sul rispetto della vita umana, sulla famiglia, sulla libertà scolastica,
la solidarietà, la promozione della giustizia e della pace».
Queste parole sono state rievocate dal cardinale Camillo Ruini il 7 ottobre
del 2004, durante la 44a settimana sociale dei cattolici. Siamo portati
a credere che non sia un caso, la Chiesa ha visione assai più lunga
e strategica di quanto possa la politica. Sono trascorsi dieci anni da quando
Karol Wojtyla pronunciò quelle parole, il mondo è cambiato
con rapidità impressionante, le sfide contemporanee sono molteplici,
l'Occidente e i suoi valori sono sotto attacco. Dalla finestra del Palazzo
Apostolico oggi per l'Angelus si affaccia un altro Papa, Joseph Ratzinger,
Benedetto XVI, ispirato a quel Benedetto da Norcia che volle ricristianizzare
l'Europa, oggi senza radici. Nel centrodestra si chiacchiera di partito
unitario, ma se fosse arrivato il momento, proprio per i laici, di riaccendere
il motore dell'unità politica dei cattolici?
Mario Sechi, giornalista, vicedirettore de il Giornale,
si occupa prevalentemente di politica interna e attività parlamentare.
(c)
Ideazione.com (2006)
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