Sotto molti aspetti il conservatorismo compassionevole significa mettere
nella pratica moderna la concezione dei cristiani dell'antica Roma. Quando
una persona impoverita arrivava da loro, le davano tre giorni per riposare;
poi, se era sana, si aspettavano che si mettesse a lavorare. Questo dovrebbe
essere oggi il nostro atteggiamento sia per il bene dell'individuo che per
quello della società: aiuto a breve termine per chi ne ha bisogno,
e una sfida a lungo termine.
Nel Diciannovesimo secolo gli americani hanno messo in pratica questa antica
concezione cristiana e lo stanno rifacendo oggi, nel Ventunesimo secolo.
I nostri predecessori del Diciannovesimo secolo, ritenevano che il povero
non fosse in fondo alla scala ma a metà: poteva salire e lasciare
la povertà o scendere nel pauperismo e nella dipendenza. Oggi stiamo
di nuovo imparando che elargire sussidi troppo facilmente può fare
del male a coloro che pensiamo di aiutare. Stiamo vedendo anche che fornendo
sussidi a chi è in grado di lavorare, sprechiamo tempo e soldi che
potrebbero andare a chi ha disperatamente bisogno di aiuto.
Recentemente gli americani stanno anche imparando a distinguere fra i diversi
gruppi di bisognosi. Suggerirei tre categorie principali, anche se i confini
non sono del tutto netti.
Della prima categoria
fanno parte coloro che sono poveri per la misteriosa opera della provvidenza
divina, come le vedove, gli orfani, i malati e gli invalidi. La Bibbia sottolinea
la necessità di aiutare costoro.
Nella seconda categoria ci sono coloro che sono poveri perché non
si sforzano di migliorare. Il libro dei Proverbi è molto critico
verso i pigri e noi dovremmo spingerli a lavorare. Alcuni potrebbero trasformarsi
nel figliol prodigo, che vede le conseguenze della sua irresponsabilità
e torna a casa.
La terza categoria comprende quelli che sono poveri a causa di ingiustizie,
e questa è una cosa a volte di difficile definizione. Non è
ingiusto essere ricchi grazie al proprio duro lavoro o a quello dei propri
genitori: è nostro dovere lasciare eredità ai nostri figli.
Non so quali siano le ingiustizie in Italia, ma in America è ingiusto
che alcune scuole pubbliche nelle aree povere non facciano il proprio dovere
– e così i loro laureati non sono in grado di competere per buoni
posti di lavoro in un'economia avanzata. Di fronte all'ingiustizia i conservatori
compassionevoli chiedono cambiamenti strutturali. Negli Stati Uniti le scuole
cristiane e altre scuole a pagamento sono migliori di quelle statali, ma
alcuni genitori non possono permettersi di pagarle e i loro figli non hanno
alternativa a una scuola cattiva. Negli Stati Uniti i conservatori compassionevoli
chiedono al governo di dare un buono-scuola ai genitori poveri, in modo
che possano scegliere fra le scuole della loro zona, invece di essere obbligati
a optare per una sola.
Né la giustizia biblica né il conservatorismo compassionevole
sono a favore di una redistribuzione dei redditi astratta, o di gettare
soldi a caso, perché se una persona che lavora duro è obbligata
a mantenerne una che potrebbe lavorare ma non lo fa, è un'ingiustizia.
Allo stesso tempo, però, dovremmo ricordare che «mentre noi
peccavamo, Cristo è morto per noi». Secondo la mia concezione
della cristianità, saremmo tutti destinati a morire nel peccato e
dipendiamo completamente da una grazia immeritata, quindi preghiamo Gesù
al fine di riceverla. Per questo, a volte dovremmo anche offrire aiuto immeritato
– però in modo da fare del bene e non del male.
Un grande problema della beneficenza in America è che a volte emula
senza volerlo modelli buddisti. È un'affermazione che potrebbe sorprendere
alcuni lettori, quindi la spiegherò. Insegno religione ai giornalisti
all'università del Texas e l'anno scorso avevo in classe un monaco
buddista che disse della carità: «La causa del dukkha [che
vuol dire sofferenza] è il tanha [desiderare ardentemente] e per
liberarci del dukkha dobbiamo sradicare l'attaccamento. Per fare beneficenza
dobbiamo rinunciare al nostro attaccamento a particolari possessi. Solo
allora possiamo donare. Lo scopo del donare in questo caso è la rinuncia
all'attaccamento».
Lo ripeto: «Lo scopo del donare qui è la rinuncia all'attaccamento”.
L'obiettivo fondamentale della beneficenza buddista è quello di aiutare
chi dona, e quello che accade a chi riceve non è molto importante.
Onestamente, gran parte della beneficenza negli Stati Uniti (e anche in
Italia?) non persegue forse lo stesso scopo, quello di far sentire meglio
e più virtuoso chi dà, senza chiedersi se stiamo aiutando
o facendo del male a chi riceve?
La Bibbia enfatizza un aspetto diverso. La carità non significa far
sentire chi dà orgoglioso di aver rinunciato all'attaccamento. Significa
aiutare chi riceve a mantenere o a sviluppare un comportamento responsabile.
La Bibbia si oppone a qualsiasi misura metta qualcuno nelle condizioni di
vivere in maniera irreligiosa. Notate come persino l'aiuto della Chiesa
alle vedove è attentamente vincolato dall'apostolo Paolo nel capitolo
cinque della prima lettera a Timoteo. «Date il giusto riconoscimento
a quelle vedove che hanno realmente bisogno». Cosa vuol dire avere
realmente bisogno? Secondo Paolo vuol dire non avere famiglia, poiché
«se una vedova ha figli o nipoti, questi dovrebbero prima di tutto
imparare a mettere in pratica la loro religione prendendosi cura della propria
famiglia e ripagando, in questo modo, genitori e nonni, perché questo
piace a Dio».
Se una vedova non ha figli o nipoti, continua Paolo, ha titolo a ricevere
aiuti, ma egli precisa che «una vedova non può essere messa
nella lista delle vedove se non ha superato i sessant'anni, se non è
stata fedele al marito e se non è ben nota per le sue buone azioni
come allevare i figli, dare ospitalità, lavare i piedi dei santi,
aiutare chi ne ha bisogno e dedicarsi a ogni tipo di buona azione».
Questo passaggio colpisce specialmente perché Paolo sta parlando
della classe di persone sofferenti più vicine e più care a
Dio, e tuttavia guardate quante precauzioni prende anche quando raccomanda
l'aiuto alle vedove nell'ambito della Chiesa: primo, la responsabilità
familiare; secondo, l'aiuto a chi è troppo vecchio per sostenersi
da sé; terzo, aiutare chi dimostra un buon carattere. Da questo impariamo
molto sul particolare problema del sostegno alle vedove nella Chiesa, ma
dovremmo anche trarne una conclusione logica: dovremmo essere tanto più
prudenti prima di inserire altri nella lista.
Dare, ma dare con giudizio: questo è l'ammonimento della Bibbia.
Il principio che ispira i nostri programmi dovrebbe essere quello dei fisici:
non fare del male. Non dobbiamo permettere agli alcolisti o ai tossicodipendenti
di perseverare nella loro abitudine. Non dobbiamo permettere a chi fugge
dalla responsabilità di continuare a correre. Questa non è
la giustizia della Bibbia. Questo non è liberare qualcuno dal male
ma consegnarlo al male. Questo non è amare il prossimo come noi stessi,
a meno che non siamo masochisti.
I programmi di beneficenza non dovrebbero respingere le persone. Dovrebbero,
invece, stabilire degli standard e fare in modo che chi non vuole accettarli
si allontani da solo. Se, per esempio, aiutiamo qualcuno a trovare lavoro,
questa persona deve presentarsi in orario e essere ben disposto: altrimenti
sta rifiutando l'aiuto. Nell'America del Diciannovesimo secolo, accanto
ai ricoveri per i senzatetto vi erano delle cataste di legna e veniva richiesto
agli uomini sani di tagliare legna per un'ora. (Di solito i ricoveri avevano
della stanze da cucito per le donne). Chi rifiutava di lavorare, non mangiava;
il famoso ammonimento di Paolo ai Tessalonicesi, prendeva vita.
Chi spaccava legna
o cuciva, riceveva cibo e ricovero e poi veniva aiutato a cercare lavoro.
Dovremmo,
infine, ricordare, la differenza fra combattere la povertà in un
posto come gli Stati Uniti e combatterla in posti disperati come l'Africa.
Chi muore di fame, ha bisogno di cibo, senza dubbio. Chi è ammalato,
ha bisogno di medicine. Chi è nudo, ha bisogno di vestiti. Negli
Stati Uniti queste necessità fondamentali sono già soddisfatte
per tutti, e di solito dobbiamo confrontarci con chi ha bisogno di fare
il passo successivo, dalla povertà all'indipendenza economica.
Ecco perché negli Stati Uniti (e in Italia?) bisogna pregare per
ricevere la grazia divina che cambierà il modo di pensare, permettendo
così agli individui di abbandonare le cattive abitudini. Ecco perché
è importante osservare ogni persona e capire cosa la trattiene. Se
è una mancanza di istruzione ma c'è il desiderio di avere
di più, i conservatori compassionevoli offrono aiuto. Se una donna
è in crisi perché incinta, i conservatori compassionevoli
la aiutano a portare avanti la gravidanza invece di abortire. Se una persona
vuole lavorare, i conservatori compassionevoli la aiutano a trovare lavoro.
Ma se manca il desiderio di migliorarsi, non possono fornirlo i conservatori
compassionevoli, e dare aiuti materiali settimana dopo settimana fa più
male che bene.
La situazione di alcune zone dell'Africa è diversa. Sono appena rientrato
da un viaggio in Sud Africa, Namibia e Zambia. Lì alcuni bisogni
sono disperati e ammiro molto gli americani (e gli italiani) che vanno come
volontari in quei paesi e in altri a fare i dottori, ad aiutare gli orfani
o a insegnare agli agricoltori come avere un raccolto migliore e più
abbondante. Quella è la nuova frontiera del conservatorismo compassionevole,
e c'è grande bisogno che tutti noi ci misuriamo con essa.
Traduzione dall'inglese di Barbara Mennitti.
Marvin Olasky, è senior fellow dell'Acton Institute for Study of
Religion and Liberty, insegna giornalismo all'università del Texas,
dirige il settimanale World. È il teorico del conservatorismo compassionevole.
(c)
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