Ma l'Italia attende ancora il liberalismo
di Raimondo Cubeddu
Ideazione di novembre-dicembre 2005

Il riferimento al fusionismo, ovvero alla possibilità di un incontro fecondo e non più conflittuale tra la tradizione conservatrice, il libertarianism e il liberalismo classico, che Frank Meyer lanciò sul mercato delle idee degli Stati Uniti negli anni Sessanta, costituisce per Joseph Bottum soltanto il punto di partenza. Infatti, se in quegli anni si trattava del tentativo di unificare le famiglie politiche che si erano opposte e che si opponevano alle degenerazioni del welfare state e all'eredità politica e culturale del New Deal, ora il problema è diverso e forse anche un po' più complicato. Soprattutto per il fatto che la soluzione che egli propone non è facilmente ed immediatamente esportabile.
L'interrogativo teorico e politico, che in qualche modo è la conseguenza della vittoria che, sempre nel mercato delle idee, hanno conseguito le varie famiglie del conservatism, consiste oggi nel chiedersi se dal movimento che punta risolutamente all'abolizione dell'aborto e da quello che sostiene la promozione della democrazia, sia ricavabile una sintesi teorica che possa fungere da valore fondamentale per consolidare e rilanciare quel «sentimento di una missione nazionale rinato dalla vigorosa reazione agli attentati dell'11 settembre». In altre parole, la questione è se tutto ciò può «contribuire a unire le forze per fermare il massacro di milioni di bambini non nati ogni anno», e se «l'energia della battaglia per la vita – la causa etica fondamentale del nostro tempo – potrebbe far rinascere la fede nel grande esperimento americano».

Si tratta indubbiamente di una questione di fondamentale importanza che interessa tutti per una serie di motivi. Alcuni interni alle dinamiche e alle contrapposizioni che vigono nell'ambito del movimento conservatore americano (che, come Bottum mette in evidenza, è tanto variegato da indurlo ad affermare che «in America sono più numerose le categorie dei conservatori che i conservatori stessi». Altri relativi alla crescente consapevolezza delle profonde diversità che su temi specifici si stanno delineando anche all'interno di famiglie politiche, e che si aggiungono alle diverse e non sempre facilmente componibili fonti filosofiche e culturali delle varie anime della galassia conservatrice. Altri, infine, sono connessi al fatto che il conservatorismo, per molti versi, è cosa diversa sia dal liberalismo classico (quello, ad esempio, di Hayek, Mises, Buchanan), sia dal libertarianism (quello, ad esempio, di Rothbard o di Rand).
A noi italiani, infine, interessa chiederci se la soluzione prospettata da Bottum possa avere una rilevanza per tentare di unificare quelle varie tradizioni politiche che condividono l'avversione per le politiche economiche, culturali, sociali della sinistra e che, pur respingendone senza infingimenti la politica estera, il “giustificazionismo” del terrorismo di matrice islamista, e la sottovalutazione delle degenerazioni del multiculturalismo, stentano a trovare un solido punto di incontro e a proiettarlo nel futuro. Tutto ciò fa sì che la gestione politica di tante diversità non sia sempre facile ed è comunque appesa ad un filo.

Ovviamente, pur non nutrendo fede alcuna nella possibilità di esportare un esperimento italiano, la questione non può lasciarci indifferenti. Se non altro per il fatto che anche noi iniziamo a chiederci se l'insistenza sulla nostra fallibilità sia effettivamente così distante dal relativismo, e l'aver smesso di «credere nella possibilità di essere nel giusto», non siano altro che atteggiamenti filosofici, morali e culturali che potrebbero, e neanche tanto alla lunga, paralizzare ogni progettualità politica diversa dal risolvere – e non sempre ci si riesce – i problemi contingenti.
In altre parole, e per non farla troppo lunga, la questione posta da Bottum è se esiste, o se può essere trovata, un'idea forte che possa accomunare le varie componenti di quel movimento politico che è certamente e fortemente unito dal rigetto delle ideologie liberal (sia nella versione democratica, sia in quella socialdemocratica) e “cattolica dossettiana”, ma che rischia di trasformarsi in un fenomeno politico fragile e momentaneo proprio per il fatto che quell'idea forte non riesce a trovarla.
Di conseguenza l'analisi di Bottum appare condivisibile soltanto quando mette in luce come la convivenza tra le varie anime del conservatorismo americano non sia né facile né solida, e come la sintesi sviluppatasi sull'eredità di pensatori come Hayek, Mises, Kirk e Oakeshott abbia forse fatto il suo tempo perché non si cimenta con le due questioni: l'aborto e l'esportazione della democrazia. Temi che si sono imposti sull'agenda politica e filosofica del secolo appena iniziato, ma la cui soluzione, come assai sovente capita quando si tratta di discutere di soluzioni, non è facile né scontata. Il problema, in questo caso, non è costituito tanto dalle riserve che possono sorgere sull'opportunità o necessità di lottare per la diffusione di modelli di convivenza civile e di istituzioni politiche che pongano al loro centro la questione del rispetto dei diritti umani (perché sarebbe ben curioso credere che per quei diritti, se sono universali, non si debba combattere), o dalla condanna dell'aborto (in quanto soppressione di una vita umana). È costituito piuttosto dal fatto che quel nucleo individuato da Bottum può andar bene in un paese come l'America nel quale le varie anime del conservatorismo condividono un alto tasso di liberalismo, mentre non sarebbe sufficiente in altri paesi, come il nostro, in cui l'avversione all'ideologia liberal, socialdemocratica e dossettiana si fonda su ragioni di fondo sovente diverse da una condivisione dei princìpi liberali.

Detto diversamente, da noi, un movimento politico che si presentasse in una competizione elettorale caratterizzandosi per una rigida posizione anti-abortista e per una politica estera incentrata sull'esportazione dei diritti umani (e lasciamo in disparte la questione relativa ai modi con cui esportarli), sarebbe molto probabilmente perdente. Col che non si intende assolutamente dire che da noi, per far politica, non bisogna occuparsi di aborto o di diritti umani, e neanche che quei temi bisogna relegarli alla coscienza individuale, ma semplicemente che una nuova sintesi che può essere proposta nel mercato americano delle idee politiche, non sarebbe per noi una sintesi per il fatto che le questioni aperte tra le varie componenti dell'aggregazione politica che in Italia si oppone alla sinistra, non coincidono con quelle aperte tra le varie componenti del conservatorismo americano.
Basti soltanto pensare alle diversità che intercorrono riguardo all'intendere la funzione e gli spazi del mercato, alle questioni ambientalistiche, alle questioni riguardanti la ricerca, la scuola, l'università, la sanità, il sistema pensionistico e di welfare, alla gestione delle novità che quotidianamente ci vengono dal mondo della scienza e che, si pensi alle polemiche sulla procreazione assistita, pongono problemi nuovi e sovente inaspettati i quali, a loro volta, generano, come si è potuto constatare, risentimenti ed ulteriori divisioni.

Il centrodestra italiano, in cui convivono laici e credenti, interventisti e liberisti, conservatori, tradizionalisti, liberali di vario tipo e riformisti, si troverebbe ulteriormente diviso se fosse chiamato a pronunciarsi sul porre al centro del proprio programma politico e del proprio progetto culturale due questioni come quelle dell'aborto e dell'esportazione della democrazia. Si tratta indubbiamente di una previsione facile, e forse anche eccessivamente fatalistica, che non rigetta affatto, né contesta, l'affermazione che la posizione pro-life occupa un posto centrale nella teoria politica e nella filosofia morale contemporanea, ma che semplicemente, e purtroppo, si rende conto che porla politicamente al centro significherebbe distruggere un equilibrio fragile e, contemporaneamente, rendere ancor più difficile una futura ricomposizione.
Da noi, e per quanto possa apparire paradossale (ma il risultato del referendum sulla procreazione assistita induce a pensarla in questo modo) su un tema come quello dell'aborto sarebbe forse più facile trovare un accordo bipartisan, e una maggioranza trasversale, piuttosto che un'unità all'interno dei raggruppamenti che compongono il nostro attuale schieramento politico. E tuttavia, quasi certamente, quest'accordo non darebbe vita a nessun nuovo schieramento politico per il fatto che le divergenze sulle questioni testé elencate all'interno dello schieramento di centrodestra, diverrebbero ancor più marcate.
In definitiva, anziché essere il nucleo di un nuovo fusionismo, la questione dell'aborto, di cui nessuno nega la fondamentale importanza, rischia di configurarsi come un ulteriore motivo di divisione.

Certamente, e con una certa inquietudine, possiamo chiederci perché, e rispondere dicendo che si tratta dell'esito di quella separazione tra morale e politica che per alcuni altro non sarebbe che un'espressione politica di un relativismo filosofico ed etico che alla fin fine nega la difesa di un valore universale come quello della vita. Eppure, anche di fronte a questa replica, si potrebbe ribattere – peccando forse ed ancora una volta di relativismo – che la politica è quell'attività in cui talora il perseguimento di un bene, anche se conosciuto come tale, può essere posticipato per tenere in vita una coalizione dalla cui disgregazione quel fine subirebbe una posticipazione ancora più remota. O ancora, e molto più semplicemente, che la politica (che non è certamente un'attività etica) è, anche nella sua versione più nobile, l'arte del possibile, e che non vi è male peggiore di quello che consegue da un caos generato dalla mancanza di sensibilità di quell'opinione pubblica che nei regimi democratici è irresponsabile e cinica detentrice della sovranità. E tuttavia, per quante critiche possano essere rivolte alla politica, nessuno pensa di poter mettere in discussione il sistema decisionale democratico. Anche perché nessuno ha in mente come sostituirlo.
Tutte questioni che inducono non soltanto a ripensare alla relazione tra morale, salvaguardia dei diritti umani e politica, ma anche alle effettive capacità della politica di garantire i diritti nei regimi democratici e, infine, a chiederci se essere prudenti di fronte al male e all'opinione pubblica sia soltanto un modo elegante per non definirci pavidi. Quale che sia la risposta – come ben sa chi ha in qualche misura attinto all'insegnamento di quei maestri del pensiero liberale e conservatore prima citati – un esercizio imprudente della politica non è mai foriero di buone conseguenze. Ciò che tuttavia è cosa diversa dal mostrarsi pavidi nel cogliere le circostanze quando queste si verificano.

Piaccia o meno, e comunque paradossalmente, si ha la sensazione che sia più facile importare i diritti umani e le forme istituzionali della democrazia americana di quanto lo sia importare il conservatorismo o il neoconservatorismo americano. Il che induce anche a ripensare, e si tratta di un'ulteriore modalità di conservatorismo, alla filosofia politica classica quando insegnava (come ci ricorda anche un conservatore come Leo Strauss) che non esiste un miglior regime in assoluto ma che in ogni epoca e in ogni luogo gli uomini sono chiamati a chiedersi quel che possa essere, lì ed allora, il miglior regime politico, sapendo che la sua realizzazione è desiderabile quanto improbabile per il fatto che gli uomini sono naturalmente diversi e che tale diversità implica l'esercizio della prudenza nel difficile tentativo di accelerare il processo verso quel regime che si ritiene migliore. Il tentativo di far coincidere ordine, diritto e libertà, che può essere visto come il progetto filosofico-politico del conservatorismo vecchio e nuovo, impone quindi prudenza nella sua realizzazione, considerazione dei tempi e delle circostanze (anche di quelle maggiormente infelici), perseveranza e consapevolezza del fatto che un modello può essere più facilmente imitato che importato.



Raimondo Cubeddu, docente di Filosofia politica all'Università di Pisa e all'IMT Alti Studi di Lucca.

(c) Ideazione.com (2006)
Home Page
Rivista | In edicola | Arretrati | Editoriali | Feuilleton | La biblioteca di Babele | Ideazione Daily
Emporion | Ultimo numero | Arretrati
Fondazione | Home Page | Osservatorio sul Mezzogiorno | Osservatorio sull'Energia | Convegni | Libri
Network | Italiano | Internazionale
Redazione | Chi siamo | Contatti | Abbonamenti| L'archivio di Ideazione.com 2001-2006