La linea d'ombra del partito unitario
di Mario Sechi
Ideazione di settembre-ottobre 2005

Quando gli amici di Ideazione mi hanno chiesto di tenere questo diario di bordo sulla rotta del partito unitario e sulla missione della Casa delle Libertà, non ero così ottimista sul materiale a disposizione: avevo il sospetto di dovermi occupare di qualcosa di poco attraente, senza sorprese, molto barboso. I fatti mi hanno smentito. Nel giro di poche settimane ho potuto ancora una volta apprezzare le insospettabili doti della politica italiana. La speranza del partito unitario del centrodestra, infatti, è trasfigurata in un ben più mistico e incorporeo soggetto, il “dipartito unitario”.

Sono bastati i due mesi caldi, luglio e agosto, per sciogliere la punta dell'iceberg politico che stava emergendo, passare dallo slancio ideale al lancio di oggetti contundenti tra alleati. Mentre scriviamo il luna park mediatico-politico è in piena attività. Mentre scriviamo, Marco Follini, segretario dell'Udc, pronuncia (con il suo inconfondibile eloquio in stile Quark) la seguente frase: «Sicuramente Berlusconi ha attraversato questi dieci anni imprimendo la propria impronta alla politica ed anche polarizzandola: questa però è la fase transitoria, poi la politica riprende il suo corso, le sue regole». Puro distillato neocentrista che conviene analizzare, quasi fossimo in un laboratorio di linguaggio strutturalista.

Dieci anni, una fase transitoria. Il segretario dell'Udc giudica i dieci anni di Berlusconi come un lampo nella stagione politica italiana. Si tratta di un'affermazione singolare per un paio di buone ragioni che andiamo a elencare: la Repubblica italiana è nata nel 1945, cioè sessant'anni fa. La stagione berlusconiana dunque è durata almeno un sesto della nostra storia. Non ci sembra poco. Secondo fattore non del tutto trascurabile: Berlusconi è l'unico premier della storia italiana che apre e chiude una legislatura restando in carica. Terzo punto: dieci anni di ciclo politico sono un tempo che lascia il segno, basti pensare al periodo di Margaret Thatcher con i conservatori inglesi (primo ministro dal 1979 al 1990), all'avvento di Tony Blair (premier dal 1997, unico laburista ad aver ottenuto tre mandati). Berlusconi, nonostante la teoria folliniana si sforzi di dimostrare il contrario, entra di diritto tra i politici che hanno lasciato il segno nella storia.

La politica riprende il suo corso, le sue regole. È l'ultima parte della frase di Follini ed è anche quella che meglio di tutte rende il climax del momento politico che stiamo attraversando. Il segretario Udc usa la parola “corso”, quasi a descrivere lo snodarsi di un fiume lento e possente che riesce a macinare tutti i detriti, le carcasse rose dal tempo e poi, una volta arrivato al mare, ne deposita i resti nel fondo degli abissi. Gioacchino Belli direbbe che in fondo parliamo sempre della stessa cosa:
«L'ommini de sto monno sò ll'istesso / Che vvaghi de caffè nner mascinino: / C'uno prima, uno doppo, e un antro appresso, / Tutti cuanti però vvanno a un distino» (Gioacchino Belli, Er caffettiere Filosofo).

E dunque il fiume carsico del neocentrismo non è altro che il macinino e Berlusconi uno dei tanti chicchi di caffè che se ne va “appresso”, ma se fosse soltanto il normale corso della storia non saremmo di fronte a uno scenario dove vengono rievocate fantomatiche “regole” della politica.

Qui sta il punto: a quali regole si riferisce Follini? Nella visione dell'Udc (e non solo) il Cavaliere è stato una risposta obbligatoria del blocco sociale moderato alla crisi di sistema innescata da Tangentopoli. Un prodotto dunque della crisi degli anni Novanta il cui ciclo di vita oggi sta giungendo a conclusione. Si tratta di una visione troppo riduttiva del fenomeno Berlusconi. Sulla questione del contenuto della politica di Forza Italia, sulle sue premesse e sulle sue conclusioni, torneremo tra poco, ciò che invece occorre chiarire subito è che “le regole” a cui fa riferimento Follini si possono riassumere in una frase: ritorno al proporzionale. Il cambiamento della legge elettorale per il partito centrista è la chiave per aprire le porte del sistema. Il leader Udc è un abile tattico e nega che il proposito sia quello di far saltare il bipolarismo o di preparare la strada al grande centro, egli indica quella via perché pensa che solo il sistema proporzionale fotografi in maniera perfetta il carattere politico degli italiani, possa bilanciare le aspirazioni dei partiti e dare la possibilità alle coalizioni di stare insieme, contandosi. È una visione del problema, ma omette di dire che il proporzionale mal si concilia con lo spirito di coalizione e con una politica moderna che in tutti i paesi evoluti preferisce dare sempre più lo scettro al leader e meno ai partiti. Proporzionale non è solo follinianamente moderazione e equilibrio, ma anche “mani libere”, veti incrociati, neocorporativismo, briglie sciolte per le oligarchie irresponsabili. La lista dei difetti di quell'antico sistema potrebbe continuare e sfociare nel mare del debito pubblico, ma è chiaro che la legge elettorale è uno strumento nelle mani dell'uomo e come tale può essere usata e piegata a molti scopi. Lo strumento non è il sistema, ma il progetto politico sì e lo schema dell'Udc e dei vagheggiatori del neocentrismo sarebbe la pietra tombale dei dieci anni in cui il “transitorio” ha cambiato il costume politico dell'Italia.

Follini invoca il ritorno della politica e delle sue regole in quel di Telese, a casa di Clemente Mastella, durante la festa dell'Udeur. Si tratta di un luogo, un topos, che ha il suo indubbio significato simbolico: due ex compagni di piazza del Gesù, che si ritrovano oggi su sponde opposte ma domani, in nome del vecchio spirito scudocrociato, potrebbero esser pronti a congiungersi nuovamente in seconde nozze. Per ora hanno cominciato a flirtare. Mastella ha fatto la prima avance lanciando “il patto di Telese” (qualcuno l'ha battezzato “il patto della cozza”, in alternativa a quelli epici della crostata e della sardina) e solleticando la fantasia di molti con l'idea della creazione di una forza centrista che valga il 10 per cento dell'elettorato. L'intelligente leader dell'Udeur probabilmente si è spinto un po' in là e forse invece di cominciare il flirt con una mano sulla coscia avrebbe dovuto accontentarsi di fare semplice “piedino”. Mastella ha voluto consumare in fretta e così sono arrivati i “no” di Follini e dello stesso Rutelli, ma non si tratta di un fuoco di sbarramento preventivo, è solo e soltanto una raffica sparata in aria per far vedere ai rispettivi alleati nei Poli che non esistono progetti alternativi rispetto alle coalizioni attuali. Ovviamente tutti quelli che non hanno le fette di prosciutto sugli occhi pensano il contrario. Se perfino la segreteria dei Ds arriva a dichiarare che il progetto di grande centro è una sottospecie di “Spectre” che incombe sulla politica italiana, allora qualcosa nel retrobottega della politica italiana si sta agitando. Dice Vannino Chiti, coordinatore del Botteghino: «I cittadini sentono come una conquista irrinunciabile il fatto che da oltre dieci anni ci sia in Italia il bipolarismo. Votando non si scelgono solo i rappresentanti in Parlamento, ma anche le maggioranze di governo che, quando vengono meno, portano dritti alle urne. L'opinione pubblica è più avanzata di alcuni settori del ceto politico e la gran parte dei cittadini non è disponibile a tornare a un partito, appunto del grande centro, che dopo le elezioni, a seconda dei risultati, decide di fare le alleanze a destra o a sinistra. Come Ds vogliamo migliorare il bipolarismo italiano e non tornare indietro».

Tornare indietro. In fondo è tutto qui il problema, un ritorno al futuro che non offre niente di nuovo alla politica italiana. La sortita del professor Mario Monti sul grande centro è stata rispedita al mittente dai partiti maggiori (Ds e Forza Italia) proprio per queste ragioni: priva di originalità e per soprammercato elaborata da un esponente di quella élite che storicamente in Italia non si è mai confrontata con il consenso e le urne.

La riemersione della Balena Bianca e di svariati e variopinti capitani Achab è tema ricorrente nel dibattito politico degli ultimi dieci anni, ma proprio il transeunte Berlusconi ne aveva – e finora ne ha – impedito il colpo di pinna finale con la nascita di Forza Italia e l'intuizione prima del Polo e poi della Casa delle Libertà. Quando Berlusconi dice che la vera “discontinuità” è stata la sua discesa in campo, non attenta né alla logica né alla storia, si tratta di un incontestabile dato di fatto.

Il tempo, naturalmente, scorre per tutti e la politica è dinamica, mai stagnante come vorrebbero i difensori a oltranza dello status quo o, peggio, i nostalgici del passato. È altrettanto chiaro che quella casa comune subisse i malanni del tempo e una semplice ritinteggiatura non basta a coprirne le crepe evidenti. Il motto andreottiano del potere che logora chi non ce l'ha andava bene in tempi in cui la globalizzazione non procedeva a passo di carica, l'Islam era lontano, l'Asia un paese remoto e l'America un gigante buono, la Russia un Orso sempre pronto a dare la zampata. Il mondo è cambiato e corre con la velocità dei bit, dei mercati sempre aperti. Andreotti viveva in un mondo dove l'Italia poteva allegramente accumulare debito pubblico e far affidamento sullo stellone. Il mondo è cambiato e quel passato è archiviato. Oggi il potere logora chi ce l'ha e non a caso tutti i governi europei uscenti hanno scontato dei problemi nelle urne.

La Casa delle Libertà era nata sulla spinta di una modernizzazione che voleva importare in Italia – con dieci anni di ritardo – il reaganismo e il thatcherismo. Alcune cose sono state fatte e il paese – strillino pure i cultori della letteratura del declino – è certamente migliore rispetto a dieci anni fa. Però anche quella iniziale spinta propulsiva si è esaurita e oggi il centrodestra avrebbe bisogno di un nuovo programma politico, di una nuova cornice ideologico-culturale, di un nuovo contenitore.

Guardando il presente, ma cercando di interpretare le forze che conducono al futuro, un gruppo ristretto di persone aveva pensato al partito unitario del centrodestra. Un'operazione politica nuova. Un cantiere aperto che avrebbe dato una stanza di compensazione reale alle liti, mitigato le spinte centrifughe verso il neocentrismo, riacceso l'entusiasmo dei militanti, di quei milioni di italiani che hanno creduto e votato la CdL negli ultimi dieci anni. Persone che non sono affatto “transitorie”, ma cittadini che esprimono il blocco sociale moderato, la parte più dinamica dell'Italia.

Questo diario di bordo registra oggi un passo indietro su quel progetto. E chi l'ha fatto sembra non sapere che alle sue spalle c'è il baratro. Berlusconi forse ha peccato di prudenza, giocando al tavolo verde con l'Udc ha visto troppi bluff; Pier Ferdinando Casini ha usato l'idea per aprire una battaglia sulla premiership dimenticando che in politica conta anche la leadership e in futuro conterà ancor di più; Gianfranco Fini prima l'ha guardato con diffidenza e oggi forse ha cambiato idea; la Lega ha giustamente rivendicato la sua identità e ne è rimasta fuori ben sapendo che non doveva né poteva per ragioni storico-culturali farne parte.

Gli alleati hanno pensato troppo a uno scenario “senza Berlusconi”, si sono improvvisamente follinizzati e questo è stato un colossale errore. Quello scenario, infatti, porta dritti non solo alla sconfitta politica, ma anche e soprattutto alla sconfitta culturale del centrodestra. Il problema non è più quello di vincere o perdere le elezioni. È qualcosa di molto più vasto e inquietante. Il neocentrismo e le ultime mosse dell'Udc conducono il centrodestra italiano verso un isolamento senza rimedio. Lo insegna la storia dei conservatori inglesi e quella dei democratici americani. Sono da dieci anni in perenne ricerca d'autore non perché non hanno trovato il leader giusto, ma perché non sono stati capaci di interpretare la modernità.

Il presidente Casini e il presidente Pera durante il convegno di fine luglio alla Fondazione Magna Carta avevano offerto una lettura del mondo contemporaneo affascinante, moderna, agganciata all'Europa e all'America, in difesa dell'identità, in attacco per promuovere i valori dell'Occidente nel mondo. Cosa è successo nel frattempo? È arrivata la richiesta di “discontinuità”. Vocabolo da Prima Repubblica. Al posto di Casini la danza ha ricominciato a condurla Follini che abilmente, sottilmente, da gran giocatore di scacchi qual è ha reintrodotto l'unico tema che gli sta a cuore: la fine della “monarchia” di Berlusconi.

Così, in poco meno di due mesi il partito unitario che poteva partire a vele spiegate, oggi sembra incagliato in una secca, senza speranza. La CdL somiglia molto alla nave descritta da Joseph Conrad in Linea d'ombra: costretta all'immobilità dalla bonaccia, l'intero equipaggio in delirio, vittima della febbre gialla.
Il comandante della nave qui non è il capitano Kent, ma Silvio Berlusconi, vedremo presto se sarà capace, dopo dieci anni di navigazione, di riprendere il vento e anche lui passare la linea d'ombra.



Mario Sechi, giornalista, vicedirettore de Il Giornale, si occupa prevalentemente di politica interna e attività parlamentare.

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