Il grande gioco europeo
di Marco Ferrante
Ideazione di luglio-agosto 2006

Già da alcuni anni, il sistema bancario italiano è sostanzialmente semicommissariato da grandi player finanziari europei. All’inizio del 2005 i francesi del Crédit Agricole erano azionisti di riferimento della seconda banca italiana, Intesa; la banca spagnola Santander era azionista di riferimento della terza banca italiana, San Paolo Imi; l’altro gigante spagnolo Bbva era azionista di riferimento della sesta banca nazionale, Bnl; Abn Amro, la grande banca olandese, protagonista influente degli equilibri finanziari continentali – per esempio è cugina del gruppo editoriale Pearson (FT ed Economist) per il tramite del principale azionista di entrambi, un grande fondo d’investimento americano – era contemporaneamente primo azionista delle banche numero 4 e numero 9 della classifica nazionale, rispettivamente Capitalia e Antonveneta. A completare il quadro, la presenza nel capitale del primo istituto, Unicredit, di una certa dose di azionisti tedeschi.
Perché questa condizione, questo stato civile, divenisse oggetto di attualità politica è stato necessario che nella questione bancaria si introducesse alla luce del sole un elemento di scontro di potere. All’inizio del 2005, infatti, Abn Amro e Bbva hanno manifestato l’interesse di irrobustire la loro presenza sul mercato italiano. A marzo lanciavano due offerte per il controllo di Antonveneta e Bnl. Siccome tali operazioni sarebbero risultate non compatibili con il disegno di riassetto del sistema bancario italiano immaginato e perseguito da Antonio Fazio, discusso governatore della Banca d’Italia, lo stesso governatore organizzò una resistenza all’assalto cosiddetto straniero servendosi di una eterogenea alleanza di finanzieri (abbastanza) disinvolti e di nuovi protagonisti del sistema economico, sostenuti da una rete di relazioni che giocava di sponda con pezzi del sistema politico. Una guerra totale, di tutti contro tutti, in cui gli elementi scatenanti furono: il tentativo dei ds, primo partito della coalizione di centrosinistra, di sottrarre la Bnl all’influenza della Margherita e di collocarla in un’orbita amica, attraverso l’intervento dell’istituto assicurativo controllato dalle coop, Unipol; la creazione di un polo finanziario nordestino al servizio del sistema d’impresa lombardoveneta e non indifferente al disegno di rafforzamento del centrodestrismo nordico.
Conclusione della storia, tutti i soggetti politici, le forze editoriali, i gruppi economici i cui interessi erano coinvolti in questo scontro (a cui si aggiungeva in un secondo tempo la battaglia per il controllo del Corriere della Sera) si sono buttati nella mischia cercando di vestire il pur legittimo scontro di potere in atto con argomenti che lo nobilitassero. Lì abbiamo cominciato a discutere in Italia della questione del nazionalismo economico contrapposta al vento dell’integrazione globale; ma abbiamo osservato anche che le ragioni del mercato e della concorrenza utilizzate in Italia a scopo mimetico – e arrivate come al solito con il ritardo fisiologico causato dalla fine troppo recente del duopolio antimercato comunista e (in parte) democristiano – sembravano già superate nel resto d’Europa, dove gli interessi nazionali cominciavano a premere e a condizionare negativamente il futuro dell’Unione: bocciata la Costituzione in Francia, stravolta la direttiva Bolkestein a Strasburgo, proposta ancora in Francia una legge anti-opa per difendere i settori strategici francesi da interessi esteri, scoppiata in Polonia una battaglia per contenere l’irruzione su quel mercato di una grande banca italia, Unicredit.
In questo clima, soprattutto sulla questione bancaria nasce da noi un dibattito generale, a tratti non privo di passione sincera, di cui la tavola rotonda che qui segue promossa da Ideazione e dall’Istituto Thomas More è una parte interessante, a cominciare da uno dei temi che troverete centrali: l’ipotesi che la dimensione territoriale, il rapporto reale tra banche e comunità, sia l’unica misura possibile per far quadrare con ragionevolezza il conflitto tra globalizzazione e interessi locali.

Marco Ferrante, caporedattore economico de Il Foglio.

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