Oggi la rivoluzione sessuale, quella liberazione da ogni restrizione e tabù
predicata da autorevoli intellettuali del Novecento, sembra trionfante,
almeno nei paesi occidentali: non c'è periodico femminile – ma anche
quelli, ormai numerosi, dedicati al look maschile – che non preveda una
rubrica tenuta da un sessuologo, dove le questioni più scabrose vengono
poste senza alcun imbarazzo. In molti casi l'oroscopo – almeno per quanto
riguarda la parte sentimentale ed erotica – prevede una specificazione anche
per gli omosessuali. Ma tanta disinvoltura vuol davvero dire che tutti abbiamo
ormai raggiunto quella che frettolosamente viene chiamata “realizzazione
sessuale”?
In Piattaforma – lo spietato romanzo dello scrittore francese Michel Houellebecq
che affronta il problema del turismo sessuale – si denuncia esattamente
il contrario. Houellebecq vede le ragioni del continuo aumento del turismo
sessuale proprio nella profonda insoddisfazione che gli occidentali traggono
dalla loro vita sessuale, non più inibita da divieti e complessi,
certo, ma impoverita di eros e di capacità di vero abbandono: «appena
hanno un minimo di età e di esperienza, gli uomini preferiscono evitare
l'amore; trovano molto più semplice andare a puttane. Ovviamente
non mi riferisco alle puttane occidentali, con quelle non vale proprio la
pena, sono degli autentici relitti umani; ma non tutti possono permettersi
di andare a puttane in giro per il mondo, anche perché non ne avrebbero
il tempo, costretti come sono a massacrarsi di lavoro. Quindi finisce che
la maggior parte di loro non fa niente; e alcuni, invece, ogni tanto si
concedono un po' di turismo sessuale» .
La denuncia di Houellebecq suggerisce di guardare meglio, di verificare
gli effetti che la rivoluzione sessuale ha avuto nelle società occidentali,
cominciando a interrogare il passato recente, per vedere quando, come e
attraverso quali “maestri” la rivoluzione sessuale si è affermata.
Perché, nonostante i ricordi ancora vivi nella memoria di molti –
i giovani “figli dei fiori” che sfilano scandendo le magiche parole «fate
l'amore, non fate la guerra» – la rivoluzione sessuale non è
stata il frutto di una ribellione di massa, né una vittoria del movimento
sessantottino: al contrario, è stata inventata e predicata da un
gruppo di intellettuali europei e statunitensi, formati dal positivismo
e spesso influenzati dalla psicanalisi.
La rivoluzione sessuale, infatti, affonda le sue radici nella secolarizzazione,
che ha permesso un affrancamento dalla morale sessuale religiosa, nel crescente
interesse verso il corpo, inaugurato dalla scienza positivista, nelle informazioni
sui comportamenti di popoli più liberi, che provenivano dagli antropologi,
insieme con la scoperta di una forza ignota presente nella psiche umana,
rivelata da Sigmund Freud. Alcuni intellettuali del Novecento, mettendo
insieme questi fattori, hanno predicato come necessaria per il raggiungimento
della felicità umana la liberazione del comportamento sessuale, e
con successo.
Le radici più lontane di questo movimento stanno nel positivismo
di fine Ottocento, come dimostra il primo “sessuologo” italiano, Paolo Mantegazza,
che con il suo fortunatissimo manuale L'igiene dell'amore è stato
senza dubbio il primo a parlare di sesso in modo esplicito e – per i tempi
– libero, sia pure sotto la copertura del discorso medico. Nel suo libro
la libertà sessuale non è difesa apertamente, ma suggerita
dal favore con cui guarda alla contraccezione e dalla cura con cui spiega
come evitare e curare le malattie veneree. Ma i primi a denunciare come
negativa per gli esseri umani ogni forma di repressione sessuale sono stati
intellettuali europei come Havelock Ellis e Wilhelm Reich, sostenuti sul
piano pratico dalla propaganda per il controllo delle nascite avviata da
Margaret Sanger.
Henry Havelock Ellis (1859-1939) – brillante scrittore dalle notevoli capacità
divulgative, diventato celebre, soprattutto nel mondo anglosassone, per
i sette volumi dedicati alla Psicologia del sesso – era un medico, più
superficiale e divulgatore di Freud (spesso citato a sostegno delle sue
tesi), il quale accompagnava le sue ipotesi psicologiche con lunghe descrizioni
anatomiche. Egli proponeva una sorta di via intermedia fra la psicanalisi
e la medicina positivista laica, favorevole all'educazione sessuale e incline
a un certo realismo nel parlare di sesso. Pur cercando di non attaccare
frontalmente le Chiese, Havelock Ellis sosteneva che una educazione sessuale
franca e scientifica costituiva la base per una felice vita matrimoniale
e rivelava quanto nella realtà fossero frequenti comportamenti ritenuti
aberranti, come il ricorso alle prostitute da parte degli uomini sposati
e la pratica della masturbazione anche in età infantile. Nel capitolo
finale dedicato alla castità, dopo un formale omaggio alla castità
spirituale, egli ripeteva e rafforzava le opinioni dei medici positivisti
che vedevano nella pratica della castità un pericolo per la salute
di donne e uomini, e di conseguenza proponevano di considerare legittimi
i rapporti prematrimoniali e l'adulterio. Il materiale di cui si serviva
per documentare le sue tesi – senza eccessiva preoccupazione di seguire
un metodo scientifico, a differenza di molti suoi successori – era di vario
tipo, dalla letteratura ai colloqui personali e alle fonti antropologiche.
Proprio nei primi decenni del Novecento, infatti, si cominciavano a diffondere
le descrizioni sul comportamento dei “selvaggi” da parte di osservatori
occidentali, che comprendevano anche racconti – spesso con accenti scandalizzati
– dei liberi comportamenti sessuali delle popolazioni dei paesi esotici.
La libertà sessuale dei “selvaggi” veniva così contrapposta
da Havelock Ellis alle restrizioni vigenti nelle società di matrice
giudaico-cristiana, in questo modo implicitamente accusate di imporre un
modo di vita innaturale, e quindi dannoso all'organismo umano.
Havelock Ellis fu strenuo sostenitore della paladina del controllo delle
nascite – la statunitense Margaret Sanger (1879-1966), che aveva conosciuto
in Inghilterra nel 1914 – tanto da scrivere l'introduzione alla sua prima
opera, La donna e la nuova razza. Come la Sanger, anche lo scrittore inglese
affiancava alla propaganda per la liberalizzazione del comportamento sessuale,
non solo quella per la diffusione dei metodi anticoncezionali (che ne costituivano
lo strumento primario), ma anche la propaganda – di matrice evoluzionista
– per la selezione eugenetica.
Se, sul versante medico, la proposta di una liberalizzazione dei costumi
sessuali si accompagnava alla propaganda concreta per il controllo delle
nascite, esclusivamente teorica era invece la battaglia avanzata da alcuni
studiosi formatisi intorno a Freud, come Wilhelm Reich (1897-1957), e poi,
sulle sue orme, Eric Fromm ed Herbert Marcuse.
Reich, staccatosi da Freud, era divenuto il profeta di una specie di religione
che intrecciava psicanalisi e marxismo, centrata sull'affermazione che svilupparsi,
vivere, esprimersi, amare compiutamente fosse impossibile per qualunque
essere umano a cui fosse stata bloccata la funzione orgasmica e l'evoluzione
verso il “primato dei genitali”. Tutte le sue opere principali, a cominciare
da La funzione dell'orgasmo, pubblicata nel 1927, sono fondate sull'idea
che chi non sfoga nell'orgasmo l'energia sessuale è destinato a nevrosi
e a deformazioni della personalità. Nella sua opera più celebre,
Psicologia di massa del fascismo (1933), questa motivazione psicologica
viene utilizzata per spiegare l'affermazione dei regimi autoritari. È
Reich il primo a utilizzare l'espressione “rivoluzione sessuale”, che conoscerà
tanto successo negli anni Sessanta.
La rivoluzione sessuale e quella politica erano dunque strettamente collegate
nella ideologia del tempo, come riaffermarono pochi anni dopo Eric Fromm
ed Herbert Marcuse, sia pure senza riferirsi a Reich, le cui opinioni, nel
giro di qualche anno, diventarono così estreme e suscitarono tale
sconcerto al punto che, negli Stati Uniti dove si era rifugiato, si ricorse
al suo internamento psichiatrico. Fromm, nel celebre libro Paura della libertà
(prima edizione, 1942), aveva sostenuto la stessa tesi: cioè che
se l'energia espansiva della vita era coartata nella sua espressione – la
pratica sessuale – essa dava origine al carattere sado-masochista e autoritario.
Ma la fortuna maggiore toccò al saggio Eros e civiltà di Marcuse,
uscito nel 1955, dove il filosofo sosteneva che non ci può essere
rivoluzione sociale senza rivoluzione sessuale, e che la liberazione sessuale
era la base della felicità umana.
Ma se è nota la fortuna di questi autori – negli anni Sessanta anche
in Italia – chi ha dato la spinta decisiva alla rivoluzione sessuale è
stato il biologo statunitense Alfred Kinsey (1896-1956), le cui date di
nascita e di morte coincidono quasi perfettamente con quelle di Reich. Kinsey
molto probabilmente non ha mai letto questi libri, ma ha dedicato la seconda
parte della sua vita a raccogliere una documentazione, che voleva rigorosamente
scientifica, sulla vita sessuale dell'“animale umano”, un oggetto che egli
si proponeva di osservare con la stessa freddezza e distacco con cui, come
entomologo, osservava e classificava gli insetti. Il suo impegno totale
alla causa, la sua fiducia utopica che la fine della repressione del desiderio
sessuale avrebbe realizzato una società pacifica e armoniosa, ne
hanno fatto un profeta-scienziato di grande impatto sociale. Come ogni vero
guru, costringeva i suoi collaboratori a praticare anche nella vita, oltre
che nello studio, la sua “religione”. Lo racconta con gelido distacco il
recente romanzo Doctor sex di Coraghessan Boyle, nel quale la voce narrante
è quella del suo primo collaboratore nella ricerca. Alla prepotenza
della personalità dominante di Kinsey, che si vuole impadronire di
ogni aspetto della sua vita per realizzare il “progetto”, il protagonista
riesce a sfuggire solo con l'alcool, mentre un argine è innalzato
dalla giovane moglie, che a poco a poco riesce a mettere in crisi il sistema
ideologico imposto da Kinsey. È interessante che la giovane, ormai
madre, cercherà un appoggio al drammatico vuoto che sperimenta durante
l'assidua e obbligatoria frequentazione del gruppo Kinsey ritornando, lei
cattolica, a frequentare la chiesa e chiedendo al marito di accompagnarla.
Mentre lui, però, sembra scivolare nell'alcolismo senza osare ribellarsi,
lei si rivela capace di percorrere una strada propria, lontana da quella
del gruppo, anche prima della prematura morte del “dottore del sesso”.
Kinsey, come si è accennato, non è il primo studioso a proporre
una liberalizzazione sessuale, ma è il primo a farlo senza ostentare
alcuna ideologia politica, né simpatie per l'eugenetica o per il
miglioramento della razza. La sua formazione di zoologo lo porta ad analizzare
un solo tema – quello del comportamento sessuale – nella sua accezione più
seriale e descrittiva, lontano da sconfinamenti sul terreno della psicologia
o tanto meno dell'analisi sociale. Proprio perché l'interesse di
Kinsey è esclusivamente incentrato sulla sessualità umana,
analizzata con freddezza analitica, il suo lavoro è stato al tempo
stesso così dirompente dal punto di vista morale, ma anche, per un
altro verso, meno imbarazzante negli anni del dopoguerra, quando da una
parte ogni riferimento all'eugenetica poteva richiamare le pratiche naziste,
e dall'altra ogni dichiarazione di fede comunista suscitava i sospetti della
società americana.
Il suo studio sul comportamento sessuale dell'uomo è stato tradotto
abbastanza presto in Italia – nel 1955, mentre l'edizione inglese è
del 1949 – e pubblicato con una lunga introduzione di Cesare Musatti. Lo
studio è diviso in tre parti: la prima dedicata al metodo di analisi
seguito (dodicimila colloqui personali e anonimi, strutturati secondo un
modello prestabilito), la seconda ai fattori che influiscono sull'attività
sessuale, la terza alle fonti dell'atto sessuale. Quest'ultima è
senza dubbio la più sconcertante, perché fra le domande prevede
ogni tipo di trasgressione, fino al rapporto con gli animali. Particolarmente
alta risulterebbe, dalle analisi di Kinsey, la percentuale di omosessuali:
il 22,9 per cento degli intervistati avrebbe avuto anche esperienze omosessuali,
e il 6,2 per cento solo esperienze omosessuali.
Musatti, noto in Italia come uno dei primi e più celebri psicanalisti
freudiani, riconosce l'importanza scientifica e culturale dello studio,
perché prova che «non esiste uno schema fisso della normalità
sessuale: e la fenomenologia sessuale, entro un ambito che non vi è
motivo per qualificare abnorme, è estremamente varia, e sfuma nella
anormalità vera e propria, o nelle sue diverse forme, per gradi insensibili».
Il rapporto di Kinsey si rivela quindi un ottimo ausilio per la psicanalisi,
legittimando la confessione di desideri e pratiche trasgressive per la morale
corrente.
Da Kinsey, che si presenta come il prototipo dello scienziato asettico e
neutro, deriva una serie di inchieste sul comportamento sessuale, come quelle
celebri di Master e Johnson e di Hite, che hanno svolto un ruolo importante
nel fornire materiale alla critica della morale tradizionale negli anni
Sessanta. Ma la sua influenza non si limita all'ambito scientifico: quella
che viene proposta come evidenza scientifica fornisce la base della nuova
morale permissiva, che in quegli stessi anni un altro americano, Hugh Hefner
– come Kinsey educato in una famiglia rigidamente puritana – diffonde nel
mercato dei periodici con l'invenzione di un mensile di grande successo,
Playboy. Fin dal primo numero, uscito nel 1953, che mostrava in copertina
una Marilyn Monroe poco vestita, e alternava al suo interno fotografie di
bellissime donne nude – le famose “conigliette” – con articoli di una certa
pretesa intellettuale. Anche per Hefner lo scopo era quello di diffondere
la libertà sessuale: «la mia rivista offre una visione onirica
del mondo, lontana dalla sfera matrimoniale e sicuramente più incentrata
sulla vita dei single e dei giovani», e Playboy era definito «il
simbolo del razionalismo e dell'umanismo». La testata, diffusa in
moltissimi paesi, vende ancora bene, anche se le sue promesse di felicità
legate alla liberazione sessuale – le stesse di Kinsey e Reich, seppure
espresse più grossolanamente – non si sono realizzate, neppure nel
ristretto campo delle relazioni sessuali, come denuncia crudamente Houellebecq.
Nessuno, fra gli intellettuali di oggi, sembra però avere il coraggio di fare i conti con quella che è stata una delle più fortunate – e dirompenti – utopie della modernità.
Lucetta Scaraffia, professore associato di Storia
contemporanea all'Università di Roma La Sapienza.
(c)
Ideazione.com (2006)
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