L'intellighenzia del sesso
di Lucetta Scaraffia
Ideazione di luglio-agosto 2005

Oggi la rivoluzione sessuale, quella liberazione da ogni restrizione e tabù predicata da autorevoli intellettuali del Novecento, sembra trionfante, almeno nei paesi occidentali: non c'è periodico femminile – ma anche quelli, ormai numerosi, dedicati al look maschile – che non preveda una rubrica tenuta da un sessuologo, dove le questioni più scabrose vengono poste senza alcun imbarazzo. In molti casi l'oroscopo – almeno per quanto riguarda la parte sentimentale ed erotica – prevede una specificazione anche per gli omosessuali. Ma tanta disinvoltura vuol davvero dire che tutti abbiamo ormai raggiunto quella che frettolosamente viene chiamata “realizzazione sessuale”?

In Piattaforma – lo spietato romanzo dello scrittore francese Michel Houellebecq che affronta il problema del turismo sessuale – si denuncia esattamente il contrario. Houellebecq vede le ragioni del continuo aumento del turismo sessuale proprio nella profonda insoddisfazione che gli occidentali traggono dalla loro vita sessuale, non più inibita da divieti e complessi, certo, ma impoverita di eros e di capacità di vero abbandono: «appena hanno un minimo di età e di esperienza, gli uomini preferiscono evitare l'amore; trovano molto più semplice andare a puttane. Ovviamente non mi riferisco alle puttane occidentali, con quelle non vale proprio la pena, sono degli autentici relitti umani; ma non tutti possono permettersi di andare a puttane in giro per il mondo, anche perché non ne avrebbero il tempo, costretti come sono a massacrarsi di lavoro. Quindi finisce che la maggior parte di loro non fa niente; e alcuni, invece, ogni tanto si concedono un po' di turismo sessuale» .

La denuncia di Houellebecq suggerisce di guardare meglio, di verificare gli effetti che la rivoluzione sessuale ha avuto nelle società occidentali, cominciando a interrogare il passato recente, per vedere quando, come e attraverso quali “maestri” la rivoluzione sessuale si è affermata. Perché, nonostante i ricordi ancora vivi nella memoria di molti – i giovani “figli dei fiori” che sfilano scandendo le magiche parole «fate l'amore, non fate la guerra» – la rivoluzione sessuale non è stata il frutto di una ribellione di massa, né una vittoria del movimento sessantottino: al contrario, è stata inventata e predicata da un gruppo di intellettuali europei e statunitensi, formati dal positivismo e spesso influenzati dalla psicanalisi.

La rivoluzione sessuale, infatti, affonda le sue radici nella secolarizzazione, che ha permesso un affrancamento dalla morale sessuale religiosa, nel crescente interesse verso il corpo, inaugurato dalla scienza positivista, nelle informazioni sui comportamenti di popoli più liberi, che provenivano dagli antropologi, insieme con la scoperta di una forza ignota presente nella psiche umana, rivelata da Sigmund Freud. Alcuni intellettuali del Novecento, mettendo insieme questi fattori, hanno predicato come necessaria per il raggiungimento della felicità umana la liberazione del comportamento sessuale, e con successo.

Le radici più lontane di questo movimento stanno nel positivismo di fine Ottocento, come dimostra il primo “sessuologo” italiano, Paolo Mantegazza, che con il suo fortunatissimo manuale L'igiene dell'amore è stato senza dubbio il primo a parlare di sesso in modo esplicito e – per i tempi – libero, sia pure sotto la copertura del discorso medico. Nel suo libro la libertà sessuale non è difesa apertamente, ma suggerita dal favore con cui guarda alla contraccezione e dalla cura con cui spiega come evitare e curare le malattie veneree. Ma i primi a denunciare come negativa per gli esseri umani ogni forma di repressione sessuale sono stati intellettuali europei come Havelock Ellis e Wilhelm Reich, sostenuti sul piano pratico dalla propaganda per il controllo delle nascite avviata da Margaret Sanger.

Henry Havelock Ellis (1859-1939) – brillante scrittore dalle notevoli capacità divulgative, diventato celebre, soprattutto nel mondo anglosassone, per i sette volumi dedicati alla Psicologia del sesso – era un medico, più superficiale e divulgatore di Freud (spesso citato a sostegno delle sue tesi), il quale accompagnava le sue ipotesi psicologiche con lunghe descrizioni anatomiche. Egli proponeva una sorta di via intermedia fra la psicanalisi e la medicina positivista laica, favorevole all'educazione sessuale e incline a un certo realismo nel parlare di sesso. Pur cercando di non attaccare frontalmente le Chiese, Havelock Ellis sosteneva che una educazione sessuale franca e scientifica costituiva la base per una felice vita matrimoniale e rivelava quanto nella realtà fossero frequenti comportamenti ritenuti aberranti, come il ricorso alle prostitute da parte degli uomini sposati e la pratica della masturbazione anche in età infantile. Nel capitolo finale dedicato alla castità, dopo un formale omaggio alla castità spirituale, egli ripeteva e rafforzava le opinioni dei medici positivisti che vedevano nella pratica della castità un pericolo per la salute di donne e uomini, e di conseguenza proponevano di considerare legittimi i rapporti prematrimoniali e l'adulterio. Il materiale di cui si serviva per documentare le sue tesi – senza eccessiva preoccupazione di seguire un metodo scientifico, a differenza di molti suoi successori – era di vario tipo, dalla letteratura ai colloqui personali e alle fonti antropologiche. Proprio nei primi decenni del Novecento, infatti, si cominciavano a diffondere le descrizioni sul comportamento dei “selvaggi” da parte di osservatori occidentali, che comprendevano anche racconti – spesso con accenti scandalizzati – dei liberi comportamenti sessuali delle popolazioni dei paesi esotici. La libertà sessuale dei “selvaggi” veniva così contrapposta da Havelock Ellis alle restrizioni vigenti nelle società di matrice giudaico-cristiana, in questo modo implicitamente accusate di imporre un modo di vita innaturale, e quindi dannoso all'organismo umano.

Havelock Ellis fu strenuo sostenitore della paladina del controllo delle nascite – la statunitense Margaret Sanger (1879-1966), che aveva conosciuto in Inghilterra nel 1914 – tanto da scrivere l'introduzione alla sua prima opera, La donna e la nuova razza. Come la Sanger, anche lo scrittore inglese affiancava alla propaganda per la liberalizzazione del comportamento sessuale, non solo quella per la diffusione dei metodi anticoncezionali (che ne costituivano lo strumento primario), ma anche la propaganda – di matrice evoluzionista – per la selezione eugenetica.

Se, sul versante medico, la proposta di una liberalizzazione dei costumi sessuali si accompagnava alla propaganda concreta per il controllo delle nascite, esclusivamente teorica era invece la battaglia avanzata da alcuni studiosi formatisi intorno a Freud, come Wilhelm Reich (1897-1957), e poi, sulle sue orme, Eric Fromm ed Herbert Marcuse.
Reich, staccatosi da Freud, era divenuto il profeta di una specie di religione che intrecciava psicanalisi e marxismo, centrata sull'affermazione che svilupparsi, vivere, esprimersi, amare compiutamente fosse impossibile per qualunque essere umano a cui fosse stata bloccata la funzione orgasmica e l'evoluzione verso il “primato dei genitali”. Tutte le sue opere principali, a cominciare da La funzione dell'orgasmo, pubblicata nel 1927, sono fondate sull'idea che chi non sfoga nell'orgasmo l'energia sessuale è destinato a nevrosi e a deformazioni della personalità. Nella sua opera più celebre, Psicologia di massa del fascismo (1933), questa motivazione psicologica viene utilizzata per spiegare l'affermazione dei regimi autoritari. È Reich il primo a utilizzare l'espressione “rivoluzione sessuale”, che conoscerà tanto successo negli anni Sessanta.

La rivoluzione sessuale e quella politica erano dunque strettamente collegate nella ideologia del tempo, come riaffermarono pochi anni dopo Eric Fromm ed Herbert Marcuse, sia pure senza riferirsi a Reich, le cui opinioni, nel giro di qualche anno, diventarono così estreme e suscitarono tale sconcerto al punto che, negli Stati Uniti dove si era rifugiato, si ricorse al suo internamento psichiatrico. Fromm, nel celebre libro Paura della libertà (prima edizione, 1942), aveva sostenuto la stessa tesi: cioè che se l'energia espansiva della vita era coartata nella sua espressione – la pratica sessuale – essa dava origine al carattere sado-masochista e autoritario. Ma la fortuna maggiore toccò al saggio Eros e civiltà di Marcuse, uscito nel 1955, dove il filosofo sosteneva che non ci può essere rivoluzione sociale senza rivoluzione sessuale, e che la liberazione sessuale era la base della felicità umana.

Ma se è nota la fortuna di questi autori – negli anni Sessanta anche in Italia – chi ha dato la spinta decisiva alla rivoluzione sessuale è stato il biologo statunitense Alfred Kinsey (1896-1956), le cui date di nascita e di morte coincidono quasi perfettamente con quelle di Reich. Kinsey molto probabilmente non ha mai letto questi libri, ma ha dedicato la seconda parte della sua vita a raccogliere una documentazione, che voleva rigorosamente scientifica, sulla vita sessuale dell'“animale umano”, un oggetto che egli si proponeva di osservare con la stessa freddezza e distacco con cui, come entomologo, osservava e classificava gli insetti. Il suo impegno totale alla causa, la sua fiducia utopica che la fine della repressione del desiderio sessuale avrebbe realizzato una società pacifica e armoniosa, ne hanno fatto un profeta-scienziato di grande impatto sociale. Come ogni vero guru, costringeva i suoi collaboratori a praticare anche nella vita, oltre che nello studio, la sua “religione”. Lo racconta con gelido distacco il recente romanzo Doctor sex di Coraghessan Boyle, nel quale la voce narrante è quella del suo primo collaboratore nella ricerca. Alla prepotenza della personalità dominante di Kinsey, che si vuole impadronire di ogni aspetto della sua vita per realizzare il “progetto”, il protagonista riesce a sfuggire solo con l'alcool, mentre un argine è innalzato dalla giovane moglie, che a poco a poco riesce a mettere in crisi il sistema ideologico imposto da Kinsey. È interessante che la giovane, ormai madre, cercherà un appoggio al drammatico vuoto che sperimenta durante l'assidua e obbligatoria frequentazione del gruppo Kinsey ritornando, lei cattolica, a frequentare la chiesa e chiedendo al marito di accompagnarla. Mentre lui, però, sembra scivolare nell'alcolismo senza osare ribellarsi, lei si rivela capace di percorrere una strada propria, lontana da quella del gruppo, anche prima della prematura morte del “dottore del sesso”.

Kinsey, come si è accennato, non è il primo studioso a proporre una liberalizzazione sessuale, ma è il primo a farlo senza ostentare alcuna ideologia politica, né simpatie per l'eugenetica o per il miglioramento della razza. La sua formazione di zoologo lo porta ad analizzare un solo tema – quello del comportamento sessuale – nella sua accezione più seriale e descrittiva, lontano da sconfinamenti sul terreno della psicologia o tanto meno dell'analisi sociale. Proprio perché l'interesse di Kinsey è esclusivamente incentrato sulla sessualità umana, analizzata con freddezza analitica, il suo lavoro è stato al tempo stesso così dirompente dal punto di vista morale, ma anche, per un altro verso, meno imbarazzante negli anni del dopoguerra, quando da una parte ogni riferimento all'eugenetica poteva richiamare le pratiche naziste, e dall'altra ogni dichiarazione di fede comunista suscitava i sospetti della società americana.

Il suo studio sul comportamento sessuale dell'uomo è stato tradotto abbastanza presto in Italia – nel 1955, mentre l'edizione inglese è del 1949 – e pubblicato con una lunga introduzione di Cesare Musatti. Lo studio è diviso in tre parti: la prima dedicata al metodo di analisi seguito (dodicimila colloqui personali e anonimi, strutturati secondo un modello prestabilito), la seconda ai fattori che influiscono sull'attività sessuale, la terza alle fonti dell'atto sessuale. Quest'ultima è senza dubbio la più sconcertante, perché fra le domande prevede ogni tipo di trasgressione, fino al rapporto con gli animali. Particolarmente alta risulterebbe, dalle analisi di Kinsey, la percentuale di omosessuali: il 22,9 per cento degli intervistati avrebbe avuto anche esperienze omosessuali, e il 6,2 per cento solo esperienze omosessuali.

Musatti, noto in Italia come uno dei primi e più celebri psicanalisti freudiani, riconosce l'importanza scientifica e culturale dello studio, perché prova che «non esiste uno schema fisso della normalità sessuale: e la fenomenologia sessuale, entro un ambito che non vi è motivo per qualificare abnorme, è estremamente varia, e sfuma nella anormalità vera e propria, o nelle sue diverse forme, per gradi insensibili». Il rapporto di Kinsey si rivela quindi un ottimo ausilio per la psicanalisi, legittimando la confessione di desideri e pratiche trasgressive per la morale corrente.

Da Kinsey, che si presenta come il prototipo dello scienziato asettico e neutro, deriva una serie di inchieste sul comportamento sessuale, come quelle celebri di Master e Johnson e di Hite, che hanno svolto un ruolo importante nel fornire materiale alla critica della morale tradizionale negli anni Sessanta. Ma la sua influenza non si limita all'ambito scientifico: quella che viene proposta come evidenza scientifica fornisce la base della nuova morale permissiva, che in quegli stessi anni un altro americano, Hugh Hefner – come Kinsey educato in una famiglia rigidamente puritana – diffonde nel mercato dei periodici con l'invenzione di un mensile di grande successo, Playboy. Fin dal primo numero, uscito nel 1953, che mostrava in copertina una Marilyn Monroe poco vestita, e alternava al suo interno fotografie di bellissime donne nude – le famose “conigliette” – con articoli di una certa pretesa intellettuale. Anche per Hefner lo scopo era quello di diffondere la libertà sessuale: «la mia rivista offre una visione onirica del mondo, lontana dalla sfera matrimoniale e sicuramente più incentrata sulla vita dei single e dei giovani», e Playboy era definito «il simbolo del razionalismo e dell'umanismo». La testata, diffusa in moltissimi paesi, vende ancora bene, anche se le sue promesse di felicità legate alla liberazione sessuale – le stesse di Kinsey e Reich, seppure espresse più grossolanamente – non si sono realizzate, neppure nel ristretto campo delle relazioni sessuali, come denuncia crudamente Houellebecq.

Nessuno, fra gli intellettuali di oggi, sembra però avere il coraggio di fare i conti con quella che è stata una delle più fortunate – e dirompenti – utopie della modernità.

 

Lucetta Scaraffia, professore associato di Storia contemporanea all'Università di Roma La Sapienza.

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