Il padre italiano della sessuologia sociale
di Giulia Galeotti
Ideazione di luglio-agosto 2005

Luigi De Marchi è stato il primo in Italia, negli anni Sessanta, a parlare di sessualità, proponendola come utopia capace di migliorare il mondo e rendere le persone felici. A questa mitizzazione del sesso, a questa serrata campagna ideologica a favore di una pratica ritenuta salutare e necessaria per il benessere individuale e collettivo, ha parallelamente corrisposto in De Marchi un impegno concreto a favore della diffusione della contraccezione e dell'educazione sessuale, soprattutto attraverso l'apertura di consultori che ancora oggi funzionano con successo. La compresenza di questi due aspetti del medesimo progetto riformatore, caratterizza Luigi De Marchi come figura costantemente in bilico tra l'esaltazione della sessualità intesa come chiave per la felicità universale, e la concretezza di un'attività portata avanti con tenacia a favore della libera contraccezione.

Figura complessa quella di De Marchi, come chiaramente emerge – tra l'altro – dalla lettura della sua recente autobiografia (2003). Seppure con toni per tanti versi eccessivi, questo testo, dall'eloquente titolo Il Solista1, è molto interessante per tracciare un quadro esaustivo su un uomo che fu al contempo giornalista pungente e dissacrante, saggista dal tono profetico e autore tuttora prolifico, politologo, psicologo clinico e sociale, divulgatore in Italia del pensiero del “profeta incompreso” Wilhelm Reich e della sua teoria dell'orgasmo, nonché importante esponente di tante battaglie per i diritti civili (De Marchi sarà infatti tra gli artefici della vittoriosa campagna che renderà legale la contraccezione in Italia nei primi anni Settanta).

Il nome di De Marchi viene, per lo più, associato all'Aied (Associazione Italiana per l'Educazione Demografica) che ha condotto in Italia una pluriennale battaglia a livello educativo e legislativo per il controllo delle nascite. De Marchi ne fu il fondatore il 10 ottobre 1953, insieme ad un gruppo di giornalisti, scienziati e intellettuali di diversa estrazione politica, accomunati tutti dall'ambizioso progetto di introdurre in Italia una nuova cultura della natalità.

Gli scopi dell'Aied, che ancora oggi svolge un'azione importante e capillare sul territorio, furono da subito esplicitati con grande chiarezza. Essi sono riassumibili nella volontà di diffondere una procreazione libera e responsabile, stimolare la consapevolezza sociale in materia di sessualità, incoraggiare la risoluzione dei problemi demografici, combattere ogni discriminazione tra uomo e donna nonché ogni forma di violenza sessuale (fornendo in entrambi i casi assistenza e tutela, anche legale, alle vittime), impegnarsi per una nuova cultura della maternità e della nascita, esercitare un'azione di stimolo e di controllo sulle strutture pubbliche in tema di contraccezione, aborto, prevenzione e informazione sessuale. Due anni dopo, nell'aprile 1955, in via Rasella a Roma veniva aperto il primo consultorio italiano di assistenza contraccettiva. Iniziava così una diffusione lenta, ma tenace, di questi centri che, a fine anni Sessanta, erano presenti anche a Milano, Bologna, Firenze, Vibo Valentia e Bergamo.

Tra gli importanti risultati a cui il serrato impegno di De Marchi e dell'Aied hanno contribuito, va certamente posta la vittoriosa campagna per l'abrogazione dell'art. 553 del codice penale Rocco «incitamento a pratiche contro la procreazione», collocato nel tristemente celebre titolo X, Delitti contro la integrità e la sanità della stirpe. In base a questa norma, «chiunque pubblicamente incita a pratiche contro la procreazione o fa propaganda a favore di esse, è punito con la reclusione fino a un anno o con una multa fino a lire 4.000. Tali pene si applicano congiuntamente se il fatto è commesso a scopo di lucro». La trafila onde giungere alla libertà contraccettiva nel nostro paese fu lunga ed accidentata, e solo dopo numerose battaglie (tra cui anche processi a carico di alcuni dirigenti dell'Aied, il solo De Marchi fu chiamato per ben sei volte a presentarsi davanti alla giustizia), nel marzo 1971 si ebbe la storica sentenza della Corte Costituzionale (la n. 49 del 10.3.1971). Con essa finalmente si abrogava la disciplina di matrice fascista «diretta all'incremento della popolazione, considerato come fattore di potenza».

Intanto, nei primi anni Sessanta, si era avuto l'incontro tra De Marchi e Pannella, destinato ad svilupparsi in una pluriennale collaborazione, che però – nonostante le forti pressioni del segretario radicale – non sfocerà mai nell'adesione del nostro al Partito radicale. Tra gli eventi di quegli anni ricordati con particolare pathos da De Marchi, vi fu il primo affollatissimo convegno sui temi della sessualità che, nel 1964, il Partito radicale tenne al Teatro Parioli di Roma. Ricalcando il titolo di un libro di De Marchi, l'incontro si intitolò Repressione sessuale e oppressione sociale. Era la prima occasione ufficiale in cui venivano apertamente dibattute questioni legate alla sessualità e, in particolare, si affermava l'esistenza di una precisa e stretta correlazione tra oppressione politica e morale sessuofobica. L'altro momento di uscita in pubblico, che scandalizzò notevolmente l'opinione del paese, avvenne il lunedì dell'Angelo del 1969 quando, insieme con Marco Pannella, Marcella Facchin e pochi altri radicali, De Marchi stese davanti a S. Pietro, in mezzo ad una piazza affollata, striscioni su cui era scritto «Sì alla pillola! No alla bomba demografica e all'aborto di massa!».

L'educazione sessuale attraverso il fotoromanzo
In quell'autentica guerra d'opinione, Luigi De Marchi diede prova di avere una grande capacità di intervento nel diffondere le proprie posizioni in materia di contraccezione fino al punto di ricorrere, a fine 1974, ad un metodo estremamente moderno: tre fotoromanzi, interpretati da attori famosi dell'epoca (Paola Pitagora, Paola Gassman, Ugo Pagliai e Mario Valdemarin), vennero distribuiti gratuitamente in edicola a Novara, Arezzo e Salerno. Le diverse vicende inneggiavano tutte al controllo delle nascite, e in particolare all'uso della pillola definita, da una delle protagoniste, “il segreto della nuova felicità”. Secondo l'idea fondante di tutto il pensiero di De Marchi, la contraccezione veniva proposta non solo come rimedio a problemi individuali e di coppia ma, più in generale, come mezzo per migliorare il mondo. «Noi non vogliamo ripetere l'errore delle generazioni passate, che ci hanno lasciato questo mondo sovraffollato, pieno di guerre e di fame» precisa un giovane emancipato di un altro fotoromanzo. Come più tardi spiegherà lo stesso De Marchi, avvalendosi di questi fotoromanzi, egli intendeva «presentare la contraccezione o come una valida difesa contro qualche evento temuto, o come un valido strumento per la realizzazione di un desiderio profondo»2.

L'idea piacque molto ad una fondazione americana attiva nella lotta contro la presunta esplosione demografica del mondo occidentale, la quale finanziò il progetto. Il primo fotoromanzo, intitolato Il Segreto, raccontava il dramma di una coppia giunta sull'orlo della separazione perché la donna, nel terrore di rimanere incinta, non riusciva a raggiungere l'orgasmo, mentre l'uomo era stanco della “altalena malinconica” (così la definirà De Marchi) tra coito interrotto e preservativo. In cotanta disperazione, la pillola consentiva finalmente l'unione appassionata dei due, spalancando le porte ad una felicità senza più ostacoli.

Nel secondo fotoromanzo, Noi giovani, invece, la contrapposizione era tra due ex compagne di studi: disperata, imbruttita, stanca e sfiorita nel corpo e nell'animo nonostante la giovane età, colei che, costretta a sposarsi perché incinta, era già al terzo figlio («Maurizio mi ha messo nei guai… E il peggio è che queste povere creature non le volevamo»), mentre l'amica, che viveva una relazione appagante grazie alla contraccezione, era presentata come l'icona della giovinezza e della felicità. Il terzo fotoromanzo infine, dall'eloquente titolo La trappola, descriveva la condizione di sfruttamento di un operaio che non può ribellarsi alle prepotenze del padrone perché schiacciato dal peso di una famiglia numerosa. «Non cadere anche tu nella trappola» ammonisce costui il lettore, «non fare più d'un figlio o due! Preti e padroni ci vogliono pieni di figli, e fitti come formiche per meglio dominarci e sfruttarci!»

Questi fotoromanzi rappresentano efficacemente il pensiero teorico di De Marchi, fautore di una rivoluzione sessuale a tutto campo, combattente a favore di una vita sessuale priva dei cappi e dei moralismi imposti dalla religione e dalla politica, cappi e moralismi che condannano, a suo avviso, i singoli ed il mondo alla disperazione e alla fame. È l'altro lato dell'opera di De Marchi, esaltato e incontenibile ideologo di una libera sessualità.

La sessualità come questione sociale e politica
Sia chiaro: di questo ruolo di pioniere della sessualità in Italia, De Marchi fu pienamente consapevole, anzi, fu egli stesso ad investirsene. Era infatti assolutamente convinto di aver avviato nel paese “una riflessione teorica e culturale” attraverso “alcune opere pionieristiche”, tra cui Sesso e civiltà (1960), Sociologia del sesso (1963), Repressione sessuale e oppressione sociale (1964). Con esse, De Marchi afferma di aver gettato le basi della “sessuologia sociale”, attraverso “una critica e una denuncia, davvero rivoluzionarie per quegli anni, dell'etica e del costume sessuale tradizionale”, che produssero un vero “impatto traumatico”3. E a mo' di esempio, ricorda un racconto apparso nel 1960 su Il Mondo di Mario Pannunzio, in cui la protagonista femminile, donna acculturata e indipendente, per difendersi dalle accuse di eccessiva ritrosia mosse da un corteggiatore intraprendente, risponde maliziosamente: «Badi che l'ho letto anch'io il De Marchi».

Come molti altri “grandi incompresi” della storia, De Marchi arriva a vantarsi delle reazioni negative suscitate dalle sue posizioni in tutti gli schieramenti ideologici. Ne Il Borghese («Allora arroccato su posizioni di provocatorio oltranzismo fascista») comparve un servizio dall'eloquente titolo di “Arriva in Italia il libero amore”, che metteva in guardia nei confronti della “tremenda minaccia” delle iniziative demarchiane, denunciandone in particolare il lato di sovversione morale.

Dall'altro versante politico, Vie nuove, il settimanale del Pci, dedicò alla questione due articoli. Nel primo, la lotta di De Marchi per la diffusione dei contraccettivi veniva descritta come una minaccia ben più insidiosa di quella dei fautori della guerra atomica preventiva contro l'Unione Sovietica (attraverso essi infatti, «i fautori del controllo delle nascite mirano ad un sterminio silenzioso della masse rivoluzionarie»), mentre nell'altro si indicava De Marchi come un «novello Nerone» che «incita i giovani all'orgia per cantare beffardo sulle rovine della città»4.

De Marchi, sull'onda di Reich, fu il primo a collegare, già nei primi anni Cinquanta, sessualità e politica, diritti sessuali e diritti civili, lungo un'impostazione che anticiperà di oltre un decennio quel concetto cruciale del femminismo secondo cui il personale è politico. Nell'alveo della sessualità, infatti, il nostro profeta riconduceva tutti gli aspetti del quotidiano, inteso però non tanto come quotidiano personale, quanto piuttosto come quotidiano pubblico. Tematiche come l'erotismo, la pornografia, la pillola, l'aborto, la droga, il divorzio, la liberazione della donna, l'omosessualità e così via, non interesserebbero solo la sfera intima, ma coinvolgerebbero, in realtà, molto più direttamente di quanto non sia a prima vista ravvisabile, anche la sfera sociale e politica.

La pillola scoperta da Pincus, ad esempio, veniva da lui considerata molto di più di un semplice contraccettivo, perché riguardava il tema pubblico dell'andamento demografico con le sue complesse implicazioni per la comunità di appartenenza. Tra queste, De Marchi indicava problemi come l'inquinamento ambientale, connesso non solo all'industrializzazione ma anche alla densità della popolazione e ai “concentramenti urbani”; e ancora, la disoccupazione, sostanziata nella «eccedenza di mano d'opera in un paese dove i posti di lavoro sono limitati»; l'emigrazione «forzosa verso paesi con più possibilità di lavoro e […] a più basso incremento demografico»; la discriminazione femminile nel mondo del lavoro, dovuta alla sottoproduttività per la maternità delle donne sposate che hanno diritto a 6 mesi di “ferie” pagate.

Riguardo a questo ultimo punto, De Marchi si riferisce chiaramente alle leggi introdotte negli anni Cinquanta e Sessanta in materia di congedi di maternità, rivelando molto più di quanto espressamente egli stesso non dica: posto che la norma ovviamente non parlava di ferie, la scelta terminologica di De Marchi rivela quella mentalità diffusa secondo cui il periodo di sospensione del lavoro in presenza di una nascita è un lusso concesso al femminile gratis et amore Dei.

L'incubo della sovrappopolazione
Il rimprovero che De Marchi andava rivolgendo alla classe dirigente italiana era dunque quello di non aver mai affrontato il nodo demografico, determinando una situazione esplosiva. «Si dovrebbe addirittura arrivare a fare un monumento all'abortista, ché se non fosse esistito questo individuo, che ha procurato la bazzecola di un milione di aborti annui, negli ultimi 40 anni avremmo avuto 40 milioni di persone in più, ed oggi saremmo una nazione di circa 100 milioni di persone, come il Giappone, con un livello di vita di tipo indiano o giù di lì, e con una situazione sociale, educativa, talmente caotica da non poter tenere più unito il paese». Secondo una visione all'epoca alquanto diffusa, De Marchi qui cataloga l'aborto come uno dei possibili rimedi contraccettivi disponibili.

L'incubo ricorrente in tutta l'opera di De Marchi è infatti quello della sovrappopolazione. Del resto, come egli nota nei primi anni Sessanta, se anche “le persone più illuminate”, a prescindere dal loro orientamento politico, vanno lentamente prendendo coscienza della gravità del problema, tutto rischia di essere ormai inutile. «Ora che si sono perduti 50 anni, ora che l'esplosione prima lenta va precipitando a ritmo accelerato, ora che l'umanità aumenta di 55 milioni di bocche all'anno e la produzione agraria non riesce più a tener dietro all'aumento demografico, anche i tardivi ripensamenti rischiano […] di non riuscire più a fermare la valanga». Si tratta di una visione apocalittica che De Marchi ha recentemente riproposto a spiegazione della diffusione del fanatismo islamico. Se infatti «nel 2001 è sopravvenuta una crisi epocale – il risveglio […] degli integralismi religiosi»5 – ciò a suo avviso è dovuto all'esplosione demografica e alla susseguente catastrofe economica che ha investito tali società. Sono singolari le spiegazioni che De Marchi propone a fondamento di questa pluriennale visione catastrofica. In primis (e ci ritorneremo) egli punta il dito contro la morale sessuale repressiva e retriva che impedisce di parlare di sesso, e quindi di avere una effettiva conoscenza del medesimo, rendendo così impossibile ogni alternativa al binomio rapporto sessuale/rapporto procreativo. Colpisce soprattutto, però, la seconda spiegazione avanzata da De Marchi: responsabile di questa prolificazione senza argini sarebbe stata (e continua ad essere nel mondo islamico) «l'esportazione improvvisa della medicina moderna in ogni angolo del globo, che ha fatto crollare in pochi lustri la mortalità senza che a questo crollo abbia fatto riscontro un minimo o comunque proporzionato calo della natalità»6

Secoli di sessuofobia figli del cristianesimo
Ma la medicina moderna è solo la seconda causa del disastroso fenomeno della sovrappopolazione, o meglio è la conseguenza di una morale sessuale repressiva che avrebbe attraversato la storia dell'umanità. Il rapporto causale inscindibile tra sessuofobia ed incremento demografico costituirebbe infatti, secondo lui, un elemento perenne, che, indisturbato, avrebbe segnato secoli e civiltà. Una sempre presente psicosi nei confronti del sesso avrebbe attraversato i secoli con oscillazioni (“fasi acute, sub-acute e latenti”) che raggiungeranno il picco con il puritanesimo dell'Ottocento. «Mentre in tutta l'Europa crollavano i miti secolari, mentre le classi intellettuali prima e quelle lavoratrici poi erano riscosse e trascinate dai nuovi ideali rivoluzionari di liberazione sociale, il costume sessuale si irrigidiva […]. E non si creda che il processo di restaurazione sessuofobica coinvolgesse solo gli ambienti reazionari tradizionali. Gli stessi apostoli delle varie rivoluzioni (nazionali o sociali, borghesi o proletarie, stataliste od anarchiche che fossero) ne furono quasi sempre contaminati»7. Esattamente lo stesso avverrebbe oggi nelle società islamiche, in cui «l'esplosione demografica ha alla sua radice i tabù sessuali delle varie religioni […], ossia, ancora una volta, precisi fattori psicologici che hanno vietato la diffusione dei principi e dei metodi denatalisti»8. Dietro l'incultura contraccettiva vi sarebbe dunque, secondo De Marchi, la radicata e diffusa visione (grave e deleteria nelle sue implicazioni e conseguenze) che nei secoli ha ostracizzato la sessualità, accettandola solo «nell'ambito di una concezione nevrotica e auto-punitiva»9. Tutto l'Occidente europeo, nonché «tutti i paesi che questo assorbì nella sua area culturale, ivi compresi quelli ora sovietizzati»10, sarebbe così sessuofobico, animato da una moralità repressiva. Tale situazione però, continua De Marchi, ha un genitore storicamente individuato: il cristianesimo, inteso «sia come messaggio dei suoi fondatori, sia soprattutto come interpretazione che del messaggio originario diedero le gerarchie ecclesiastiche e politiche dei paesi cristianizzati»11. La Chiesa Cattolica in particolare costituisce un bersaglio sempre caro a De Marchi, che la colpisce non solo nella sua dimensione storica ma anche in quella attuale. Alle dichiarazioni degli anni Sessanta, infatti, faranno eco, a fine anni Ottanta, affermazioni del tipo: «gravissime le responsabilità che il pontefice [Giovanni Paolo II] (al pari e più dei suoi predecessori) ha avuto e continua ad avere nel dilagare della fame nel mondo, nella morte per fame di milioni di bambini, nella disperata povertà di milioni di famiglie, nella distruzione della natura da parte delle popolazioni assurdamente crescenti del Terzo Mondo o assurdamente dense dei paesi industrializzati. Tutte tragedie che affondano le loro radici nel caparbio rifiuto, tipico di questo papa (come di tutti i dogmatici del mondo) di riconoscere la necessità di ridurre la natalità»12. Così ancora, con accuse tanto spinte da risultare assurde, il nostro ribadirà nel 2003 che «il caparbio rifiuto vaticano della contraccezione ha prodotto una tragedia planetaria al cui confronto l'olocausto nazista è una quisquilia: centinaia di milioni di bambini morti per fame, milioni di donne morte d'aborto clandestino, milioni di giovani morti in guerre intestine o internazionali per la conquista delle risorse o delle terre contese, catastrofi ambientali e migrazioni disperate di massa che minacciano di travolgere la stessa civiltà europea»13. A onor del vero però, De Marchi sottolinea l'esistenza di qualche eccezione all'interno della cattolicità, tra i pochi “esponenti cattolici illuminati” indicherà, ad esempio – e non si capisce il motivo – Papa Luciani14.

Risorse e carte da giocare
Detto tutto questo, rimango ragionevolmente persuaso che alla fine del berlusconismo il centrodestra riuscirà a sopravvivere. Se non altro perché con ogni probabilità sopravviverà il bipolarismo. Le ipotesi, o meglio i timori, che si torni alla Prima Repubblica e alla sua grande alleanza centrista, insomma, mi paiono in larga misura destituiti di fondamento. Il presupposto primo del governo dal centro è che vi siano dei robusti partiti antisistema, tali da ridurre in misura significativa – a destra, a sinistra, o su entrambi i versanti – l'area delle forze legittimate a governare. Detto altrimenti: una Dc presuppone un Pci (e un Msi). In assenza di questi non potrà esservi neppure quella, e il sistema politico dovrà assumere una qualche forma di assetto bipolare. E se l'Italia rimarrà bipolare, allora continuerà ad esservi un centrodestra che, garantita la sua “necessità” politica, sul piano culturale non potrà essere delegittimato oltre un certo limite. Anche perché lo schieramento moderato non manca del tutto di risorse, né di carte da giocare. Le sue risorse maggiori consistono in primo luogo nel fatto che, come ho già accennato, il progressismo rimane con ogni probabilità minoritario nell'opinione pubblica italiana; e in secondo luogo in un clima storico complessivo di certo non sfavorevole al moderatismo liberale. Da molti punti di vista siamo ancora in pieno riflusso dall'ondata radicale degli anni Sessanta e Settanta, anche se, come vediamo di continuo, non è certo un riflusso che porti alla stabilità elettorale, né al predominio stabile degli schieramenti di centrodestra. Liberalizzazione delle economie, conservazione di alcuni punti di ancoraggio alla tradizione, difesa dell'Occidente sono esigenze non passeggere, e tali da costituire un terreno di coltura fertile per un progetto politico moderato. Nella difesa di queste esigenze – ecco le carte da giocare – il centrodestra italiano può incontrarsi con l'attuale amministrazione americana, e con una parte consistente, oggi istituzionalmente preminente, della Chiesa cattolica. Casa Bianca e Vaticano, com'è noto, sono per una consolidata tradizione i principali punti d'ancoraggio esterni delle forze moderate italiane, e con essi quelle forze dovranno fare i conti sempre e comunque. Nell'attuale situazione di transizione, e di una transizione condotta da posizioni di debolezza, far tornare quei conti è diventato assolutamente cruciale. Sia chiaro: non voglio affatto dire che i rapporti fra il polo di centrodestra da un lato, gli Stati Uniti e la Chiesa dall'altro, possano essere rapporti non problematici, né tanto meno di subordinazione assoluta o anche relativa. E sarebbe poi un errore gravissimo ritenere che quei rapporti possano sostituirsi a un ingrato lavoro di approfondimento intellettuale, di riflessione sul paese, di aggregazione di interessi. Né l'America né il Vaticano rappresentano la panacea di tutti i mali politici, tanto meno la panacea elettorale, malgrado l'indubbia prova di forza che la Chiesa ha dato nei recenti referendum sulla fecondazione assistita, e la cui portata non va tuttavia esagerata. D'altra parte, non c'è alcun dubbio che oltreoceano e oltretevere uno schieramento moderato postberlusconista possa trovare degli interlocutori politici e culturali di notevole consistenza che non può in alcun modo permettersi di ignorare, e sui quali, se saprà interloquirci con intelligenza, può appoggiarsi per sopravvivere e consolidarsi.

Libertà sessuale, specchio della democrazia di una società
Il vero problema secondo De Marchi – in questo seguace acritico di Reich – è che la repressione sessuale produce profondi e devastanti effetti sulla psiche umana. Essa non provoca tanto reazioni aggressive violente ed immediate («anche se ciò non di rado può accadere, come nel caso della delinquenza minorile, del tutto sconosciuta nelle società sessualmente libere»), quanto piuttosto «perverte in senso sadico (cioè distruttivo e sopraffattorio) e masochista (cioè auto-punitivo) tutti gli impulsi sessuali, e con essi tutta la sfera emotiva dell'individuo. La repressione sessuale diventa perciò lo strumento essenziale per la formazione di personalità sado-masochistiche a livello sessuale, e autoritario-gregaristiche al livello sociale e politico. Questo spiega perché tutti i regimi autoritari (siano essi fascisti, clericali o stalinisti) nonostante le differenze ideologiche abissali […], trovino proprio nell'etica e nell'educazione sessuofobica l'unico vistoso contenuto ideologico comune»15.

La riprova dell'importante ruolo che l'esaltazione della sessualità come pratica salutare e necessaria gioca in De Marchi è che questa diviene il parametro alla luce del quale egli valuta società, pensatori ed opere. Così alla base delle critiche che rivolge, tra gli altri, al celeberrimo testo di Engles, L'origine della famiglia, la vera opposizione è all'idealizzazione della monogamia che colà si trova. De Marchi critica in particolare il pregiudizio evoluzionista secondo cui la civiltà “progredirebbe” verso una sempre maggiore perfezione morale e sociale, con la monogamia che rappresenterebbe una forma “superiore” di unione tra i sessi16. Lungo la stessa ottica viceversa, il nostro esalta Bachofen che «con le sue ricerche e le sue scoperte di filologia, mitologia e ritualità antica» ha dimostrato «per la prima volta il rapporto intimo e profondo intercorrente tra la libertà sessuale della donna ed ogni altra libertà personale e politica», il che – tradotto – significa che sul piano politico non era sfuggito a Bachofen «il rapporto tra libertà sessuale e democrazia»17.

Si tratta di acquisizioni non immediate, ma viceversa risultanti da una seria e approfondita analisi del reale che De Marchi afferma di svolgere. Così, se in quest'ottica egli loda gli sforzi dei primi pionieri della riforma sessuale (come Ellen Key, Helene Stöcker, Edward Carpenter e Havelock Ellis) il cui principale merito è stato quello «di aver intuito l'importanza drammatica dei problemi sessuali nella vita individuale e sociale», ne individua però il limite nel non aver colto «i vari fattori (o almeno qualcuno dei vari fattori) economici, psicologici, religiosi e politici che confluivano nella questione sessuale»18.

Reich, il vero guru della rivoluzione sessuale
Chi invece ha saputo centrare appieno il problema, avendo prontamente e coraggiosamente compreso «l'urgente e drammatica esigenza» d'integrare sul piano teorico e pratico psicologia e politica, rivoluzione sessuale e rivoluzione sociale, è stato il più brillante allievo di Freud, l'austriaco Wilhelm Reich (1897-1957).

Facciamo così la conoscenza di colui che De Marchi presenta come il vero guru della rivoluzione sessuale, come il rivoluzionario geniale ed incompreso dell'umanità, come il profeta. Il tono sognante con cui De Marchi parla di Reich ricorda quello che il medico Pino Donizetti utilizzerà per descrivere il suo incontro con Gregory Pincus, il padre della pillola, nel suo volume La rivoluzione della pillola del 1967. Tanto De Marchi quanto Donizetti intendono illuminare il lettore su personalità carismatiche, sorta di semidei che hanno tentato di cambiare in meglio le persone e le società con il loro impegno e la loro passione, senza però ricevere il giusto riconoscimento che sarebbe loro spettato.

De Marchi fece conoscere Reich in Italia sin dal 1961, quando presentò un'antologia di scritti reichiani dal titolo significativo di Teoria dell'Orgasmo. Secondo De Marchi il grande merito di Reich, «uno dei pensatori più originali e coraggiosi»19, «l'ingegno più rivoluzionario del nostro tempo»20, fu proprio quello di aver compreso che «rivoluzione sessuale e rivoluzione economica devono essere due direttrici simultanee e coordinate d'un moto politico autenticamente rinnovatore»21.

Attraverso fondamentali opere come Materialismo dialettico e psicanalisi (1929), La sessualità nella lotta sociale (1930), Psicologia di massa del fascismo (1932), L'irruzione della moralità sessuale (1934), La funzione dell'orgasmo (1927), La rivoluzione sessuale (1945), lo studioso austriaco ribadì costantemente la necessità di integrare la rivoluzione sociale con la rivoluzione sessuale. A suo avviso, infatti, tanto il capitalismo quanto il comunismo avrebbero adottato una criminale strategia politica volta ad incentivare e praticare la repressione sessuale onde orientare l'energia sessuale, che Reich definisce orgonica (da orgasmo), a proprio beneficio, non permettendole di espandersi liberamente, con grave danno per il singolo individuo e l'intera società.

Se Reich fu allievo di Freud, ben presto però, come De Marchi andava continuamente evidenziando, superò di gran lunga il maestro. L'accusa che De Marchi muove a Freud e quindi, specularmente, l'esaltazione che fa di Reich, scorrono lungo una precisa scansione.
Secondo Freud, come noto, la repressione sessuale socialmente organizzata crea un ingorgo di energia sessuale che, continuamente alimentato dagli stimoli sessuali rimasti senza sbocco a causa dei tabù sociali che inibiscono l'attività erotica naturale, costituisce la principale fonte della nevrosi. Analisi accurata sia chiaro, precisa De Marchi, ma ad essa Freud si era fermato senza individuare alcun reale rimedio. Il fatto cioè di aver affermato già nel 1908 che la repressione sessuale fosse la causa fondamentale delle nevrosi contemporanee, non lo aveva però condotto (né aveva condotto i suoi seguaci) ad alcuno sforzo per una decisa riforma sociale22. Ebbene, è esattamente ciò che invece fece Reich: secondo De Marchi infatti, per la prima volta nella storia del pensiero umano qualcuno collegava «una rivolta di tipo sociale e politico ad una fondamentale esigenza biologica degli esseri umani».

Se davvero la causa fondamentale della nevrosi è la repressione sessuale imposta dalla morale e dai costumi, e se davvero non esiste nevrosi scevra da turbe dell'attività sessuale, ecco che non vi sarà mai possibilità di guarigione senza il ripristino di tale attività. Posto che né la tecnica psicoanalitica né ogni altra tecnica psicoterapica riescono a migliorare le condizioni dei pazienti, Reich si sente “costretto” a individuare un'altra via per giungere ad una vera bonifica psicologica, e quindi ad un autentico risanamento dei rapporti umani. Ciò che infatti ritiene necessario è la demolizione della repressione sessuale e delle istituzioni sociali che la perpetuavano, il che sarà possibile solo attraverso la vera liberazione della vita emozionale dell'uomo, che per Reich consiste nell'orgasmo. Sarebbe infatti l'orgasmo la fonte di quella energia in grado di liberare l'umanità e renderla felice.

Sebbene la stima di De Marchi per Reich sia altissima, egli non manca però di avanzare qualche critica all'illustre maestro. È indiscusso il suo innegabile merito di aver sottolineato le componenti psicologiche, economiche e antropologiche della questione sessuale, ma un aspetto importante da lui tralasciato era quello della “componente demografica”23. In Reich «è acutamente avvertibile una scarsa comprensione della componente demografica del processo socio-economico passato e contemporaneo»24, componente che invece in De Marchi ha giocato un ruolo importante.

Negli anni Sessanta, dunque, importante è stato il ruolo teorico svolto da De Marchi come primo profeta italiano della liberazione sessuale, di cui fu il precipuo divulgatore nel nostro paese, intimamente convinto come era che fosse la sessualità, con le sue innegabili pubbliche implicazioni, l'autentica via per la riforma sociale. Giacché infatti «nella esperienza sessuale l'organismo umano (come ogni organismo) ha la sua massima espressione vitale, la sessualità potrà dare la sua impronta (sana o malata, a seconda dei casi) a tutta l'attività vitale dell'organismo e dei gruppi: in campo sociale, culturale, politico»25. Non solo, dunque, è necessario affrontare la battaglia per la riforma sessuale, ma lo si dovrà fare «con la massima serietà, come una cruciale battaglia socio-politica», non dovendo mai dimenticare che «l'obiettivo essenziale resta quello dell'amore libero».

De Marchi parla infatti espressamente della necessità di realizzare la profonda rivoluzione emozionale e di costume necessaria alla realizzazione di quel fondamentale e trascurato diritto inalienabile della persona umana, che è la libertà di amare. Infatti, «senza il libero sviluppo e la libera espressione dell'impulso amoroso», la vita «risulta povera, deprimente, prostrante e sfocia il più delle volte nell'apatia, nel solipsismo, nel qualunquismo, nel teppismo e magari nell'ossessiva ricerca d'una soddisfazione erotica resa sempre più difficile proprio dalle inibizioni […] erette dall'educazione e dal costume sessuofobico»26.

Che sia davvero questa la via per giungere ad un'autentica rigenerazione della società, visto (in quest'ottica) il sostanziale fallimento della rivoluzione sessuale avvenuta ormai trent'anni fa, è quesito che dovrebbe essere nuovamente affrontato.

 

Note
1. Il titolo «vuol significare che quella dominante in Italia è una cultura di coristi, dove quasi tutti cantano in coro le solite due o tre vecchie e noiose canzoni. […] In questa cultura di coristi, in questa corrispondenza d'amorosi sensi tra coristi e direttori d'orchestra, i solisti hanno vita difficile, sia perché i direttori d'orchestra, se ne mostrano chiaramente infastiditi, sia perché i Ragazzi del Coro, appena il Solista tenta un gorgheggio, corrono a ficcargli un tappo di damigianina al collo, a tagliarli i fili del microfono. […] La grande tentazione è la bomba, da mettere sotto il sedere di un qualsiasi direttore d'orchestra: dal Presidente Burocrate con pensioncina miliardaria al Papa Re. Ma poi il Solista si trattiene perché non se ne intende di esplosivi. Così, alla fine, non gli resta che scrivere un libretto come questo, ficcarlo in una bottiglia e gettarlo in mare, sperando che approdi ad una terra favolosa dove i Solisti sono amati» (Luigi De Marchi Il solista, Roma, Edizioni Interculturali, 2003, pp. 27-29).
2. Luigi De Marchi Il solista, cit., p. 129.
3. Luigi De Marchi Il solista, cit., p. 45.
4. Luigi De Marchi Il solista, cit., pp. 46-47.
5. Luigi De Marchi Il solista, cit, p. 13.
6. Luigi De Marchi, Sociologia del sesso, Bari, Editori Laterza, 1963, p.12. «Per quanto riguarda il mondo islamico, il suo equilibrio demografico (come del resto quello di tutto il Terzo Mondo) era da secoli un equilibrio fondato su una mortalità e una natalità ugualmente elevate che si bilanciavano. Esso però è stato sconvolto dall'irruzione della medicina moderna, che ha falciato rapidamente la mortalità, ma si è ben guardata (per l'influenza nefasta dell'integralismo cattolico e islamico) dal ridurre simultaneamente la natalità. […] È stato a questo punto che le scuole coraniche hanno assunto l'attuale, cruciale importanza. Le famiglie islamiche, sempre più numerose e miserabili, hanno trovato infatti nelle scuole craniche altrettante “provvidenziali” strutture disposte ad assicurare vitto e alloggio gratuito ai loro figli in soprannumero. Del resto, qualcosa di molto simile era accaduto per secoli, in Italia e in tanti altri Paesi cattolici, nei seminari ecclesiastici» (Luigi De Marchi, Il solista, cit., pp. 17-18).
7. Luigi De Marchi, Sociologia del sesso, cit., pp. 13-14.
8. Luigi De Marchi, Il solista, cit., p. 19.
9. Luigi De Marchi, Gli Antifecondativi, Torino, Della Valle Editore, 1970, p. 15.
10. Luigi De Marchi, Sociologia del sesso, cit., p. 13.
11. Luigi De Marchi, Sociologia del sesso, cit., p. 11.
12. Luigi De Marchi, Aids un libro bianco, anzi giallo, Milano, SugarCo Edizioni, 1988, p. 97.
13. Luigi De Marchi, Il solista, cit., pp. 71-72.
14. Luigi De Marchi, Il solista, cit., p. 32.
15. Luigi De Marchi, Repressione sessuale e oppressione sociale, Milano, SugarCo, 1965, p. 42.
16. Luigi De Marchi, Sociologia del sesso, cit., p. 55.
17. Luigi De Marchi, Sociologia del sesso, cit., pp. 165-166.
18. Luigi De Marchi, Sociologia del sesso, cit., p. 16.
19. Luigi De Marchi, Wilhelm Reich, Genova, Edizioni Rl, Volontà, 1961, pp. 5.
20. Luigi De Marchi, Wilhelm Reich. Biografia di un'idea, Milano, Sugar Editore, 1970, p. 7.
21. Luigi De Marchi, Sociologia del sesso, cit., p. 51.
22. «Anziché intraprendere la lotta senza quartiere indispensabile per distruggere quel regime patogeno, [la psicanalisi] limitò il suo compito ed i suoi sforzi alla ricerca di una tecnica capace di eliminare i sintomi morbosi più acuti e vistosi di questo o quell'individuo» (Luigi De Marchi, Repressione sessuale e oppressione sociale, cit., pp. 32-33).
23. Luigi De Marchi, Sociologia del sesso, cit., p. 40.
24. Luigi De Marchi, Wilhelm Reich, cit., p. 26.
25. Luigi De Marchi, Repressione sessuale e oppressione sociale, cit., p. 17.
26. Luigi De Marchi, Repressione sessuale e oppressione sociale, cit., p. 45.



Giulia Galeotti, saggista, collabora con la cattedra di Storia contemporanea all'Università di Roma La Sapienza. Ha recentemente pubblicato Storia dell'aborto, il Mulino 2003.

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