Negli
ultimi tempi l’India ha ospitato i più importanti capi di Stato
e corporazioni multinazionali, così come delegazioni di alto livello
dei settori pubblico e privato. Questo indubbiamente costituisce un riconoscimento
del ruolo emergente dell’India come importante attore politico ed
economico nelle relazioni globali. E la nuova partnership con gli Stati
Uniti è stata suggellata dalla storica visita del primo ministro
indiano Singh a Washington. Per il presidente Bush, che gode di un alto
tasso di popolarità tra gli indiani, lo scambio di visite ufficiali
di quattro giorni con l’India ha significato un ulteriore consolidamento
del rapporto in tempi di crescenti difficoltà in politica interna.
L’India, dopo la Cina, è la seconda nazione più popolosa
del mondo e ospita la seconda e numericamente più vasta popolazione
musulmana (che costituisce approssimativamente una minoranza del 12 per
cento rispetto a una popolazione totale indiana di più di un miliardo
di persone); ha dimezzato la povertà a partire dall’indipendenza
dalla Gran Bretagna nel 1974 ed è previsto che la sua crescita economica
annuale oscillerà tra il 7 e il 10 per cento nel futuro immediato.
Tenendo conto delle sue vaste dimensioni e della sua molteplice complessità
in quanto democrazia più popolosa del mondo, la stabilità
relativa dell’India e la sua vibrante società rimangono un
successo monumentale. La sua popolazione è per l’80 per cento
hindu, anche se il presidente è musulmano, il primo ministro sikh
e il capo della coalizione di governo è di origine italiana. Tuttavia,
il fanatismo non è scomparso e la possibilità di attacchi
sporadici e del riemergere della violenza si nasconde dietro l’angolo,
come dimostrano i massacri di Gujarat all’inizio del 2002 che hanno
fatto circa duemila vittime, donne e bambini inclusi, come parte di un circolo
vizioso di rappresaglie estremiste.
Nel Ventunesimo secolo,
con lo spostamento del centro di gravità geopolitico verso l’Asia,
l’India si trova in una posizione geograficamente strategica: nel
cuore dell’Asia del Sud, nel punto d’incontro tra l’economicamente
esplosivo Estremo Oriente e le regioni ricche di energia del Medio Oriente
e delle Repubbliche del Centro Asia. Sebbene l’emergere dell’India
sia inevitabile, esso fa comunque parte di un riadattamento alla realtà
attraverso il quale l’Asia sta riscattando il suo storico e naturale
posto nell’economia globale, dopo quasi due secoli di dominio occidentale.
Di conseguenza, l’India sta perseguendo una politica di pragmatismo
strategico, sfruttando con abilità il suo status di potenza emergente
per intraprendere relazioni di necessità e convenienza, in base ai
suoi bisogni e interessi primari (soprattutto nel settore energetico), che
avranno un impatto significativo sul suo sviluppo immediato o di lungo periodo.
E con vicini che possiedono armi atomiche, Cina e Pakistan compresi, la
politica di pragmatismo indiana diventa ancor più decisiva.
Gli ampi punti in comune tra Stati Uniti e India includono forme democratiche
di governo, la lingua, un valore condiviso di imprenditorialità e
fiducia nel futuro, il problema del terrorismo e della diffusione delle
armi di distruzione di massa e la volontà di espandere la propria
potenza fuori dai propri confini. Tuttavia, c’è una tendenza
da parte di Washington a sopravvalutare il valore della “carta indiana”,
specialmente se viene intesa come un tentativo di contenere il potere e
l’influenza crescente della Cina in Asia e oltre. La realtà
è che l’India si trova ancora a uno stadio iniziale della sua
crescita e il coinvolgimento in un gioco di equilibri di potere non gioverebbe
ai suoi interessi. Sebbene siano in pochi a discutere il potenziale dell’India
per uno status di grande potenza, il percorso per raggiungerlo è
lungo e segnato da enormi, ma non insormontabili, sfide. Gli Stati Uniti,
considerando la nascente partnership con l’India e l’essenziale
ruolo del Pakistan nella “guerra al terrorismo” in Afghanistan
e oltre, hanno tentato di trovare un giusto equilibrio nelle relazioni con
questi membri de facto del club nucleare, con particolare riguardo alla
questione del Kashmir. Sfruttando astutamente questo problema, il supporto
dei jihadisti per i militanti kashmiri separatisti è visto come un
altro importante fronte nella loro “battaglia globale per l’Islam”.
L’enfasi storica posta dall’India per una soluzione bilaterale
del conflitto e la sua tradizionale riluttanza e suscettibilità a
ogni coinvolgimento, reale o percepito come tale, di terze parti, in primo
luogo degli Stati Uniti, ha fatto dell’intermediazione “dietro
le quinte” un importante aspetto della relazione a tre. Negli ultimi
anni l’India e il Pakistan hanno fatto importanti passi simbolici
e progressi nel ridurre una retorica di ostilità e scontro. Tuttavia,
questo sviluppo non ha avuto effetti nell’affrontare le questioni
sostanziali del conflitto.
La partnership Usa-India,
non ampiamente collaudata, sta per entrare nel campo minato del Congresso
in un anno elettorale decisivo, e con la possibilità di una sconfitta
repubblicana. Le crescenti tendenze protezioniste del Congresso riguardo
al problema dell’outsourcing, e in special modo il rischio, reale
o meno, della perdita di posti di lavoro americani a vantaggio dell’India
nel settore dei servizi, potrebbero rivelarsi un problema cruciale. Inoltre,
l’Autorità per la Promozione del Commercio voluta dal presidente
potrebbe non essere rinnovata a metà del 2006. E ancora, l’approvazione
legislativa dell’accordo sul nucleare di Bush con l’India è
ben lontano dall’essere garantito, soprattutto a causa delle accuse
di usare due metri diversi, viste le posizioni degli Stati Uniti e dell’Unione
Europea sul nascente programma nucleare iraniano. Senza l’approvazione
del Congresso dell’accordo nucleare usa-India, non è chiaro
se il sostegno indiano alla posizione degli usa rimarrà indiscusso.
Per di più, il progetto di una pipeline dall’Iran all’India
attraverso il Pakistan rimane un impedimento tra le due parti. La visione
che gli Stati Uniti hanno dell’Iran, uno Stato canaglia sponsor del
terrorismo e della proliferazione nucleare, contrasta con quella dell’India
che vede l’Iran come una importante fonte di energia funzionale alla
sua ricerca di crescita e sviluppo.
Mentre la Cina iniziò il suo processo di liberalizzazione economica
nel 1979 sotto Deng Xiaoping, l’India ha cominciato la sua apertura
nel 1991 per necessità e in reazione a difficoltà finanziarie.
La crescita astronomica della Cina degli ultimi venticinque anni ha avuto
un impatto sulla psiche indiana, rendendo il desiderio di “raggiungere”
la Cina quasi un’ossessione nazionale. Inoltre, le note dispute territoriali
lungo i confini himalayani esistono ancora. Anche se negli ultimi anni è
emerso un tacito accordo per accantonare temporaneamente il problema, la
clamorosa sconfitta indiana da parte dei cinesi nei primi anni Sessanta
e la mancanza di confini certi irrita ancora la coscienza indiana.
La Cina ha anche dimostrato maggior successo nella competizione per le risorse
energetiche. Un memorandum d’intesa firmato recentemente tra Cina
e India doveva migliorare la cooperazione in materia energetica, ma in realtà
si tratta di un accordo per unire le forze diplomatiche quando si renda
necessario dettare condizioni reciprocamente vantaggiose a Stati terzi ritenuti
target di investimenti nel settore energetico. Nonostante la spettacolare
crescita della Cina dell’ultimo quarto di secolo e i suoi significativi
vantaggi economici e materiali sull’India, a quest’ultima rimane
un vantaggio politico non facilmente calcolabile nel breve periodo. La riforma
economica dell’India si sta realizzando all’interno di una cornice
democratica, ovvero, le istituzioni della società civile si sviluppano
e rinforzano mentre il cambiamento economico avanza. Considerando le dimensioni,
la popolazione e la diversità sociale dell’India, l’esperimento
di riforma dimostrerà gradualmente di essere una grande conquista,
soprattutto in vista di un emergente consenso tra i partiti politici sul
buon governo.
La Cina sta cercando
di accrescere il grado di trasparenza e responsabilità a livello
locale per ridurre la corruzione, con particolare riguardo ai progetti di
sviluppo delle infrastrutture che hanno un impatto sulla vita dei comuni
cittadini, e per ridurre le differenze tra le regioni urbane e quelle rurali.
Tuttavia, tutto ciò non deriva da una scelta intenzionale di riforma,
ma piuttosto dalla paura e dalla minaccia di instabilità e conflittualità
interne, che potrebbero sfociare nel disordine civile e nella frammentazione.
Le proteste nelle regioni rurali della Cina hanno alimentato oltremodo queste
paure. L’enorme popolazione dell’India, vista prima come un
ostacolo, è oggi considerata un vantaggio economico per superare
la Cina come nazione più popolosa del mondo. La popolazione della
Cina diminuirà in seguito ad anni di rigide politiche di controllo
della crescita demografica.
Per molti insider del business internazionale, la Cina è il “colletto
blu” della catena di montaggio del mondo, mentre l’India è
il “colletto bianco” della stessa catena. Tuttavia, la realtà
è che ogni paese sta cercando di migliorarsi in tutte le sue potenzialità,
ovvero, la Cina sta cercando di potenziare il proprio settore dell’Information
Technology (it) e l’India sta concentrando gli sforzi oltre l’it
per ottimizzare i settori manifatturieri e agricoli. Tale miglioramento
sarà però limitato in assenza di una maggiore deregolamentazione
e di investimenti massicci nelle infrastrutture, soprattutto nel sistema
dei trasporti. Attualmente la Cina spende nove volte di più dell’India
in infrastrutture. In definitiva, rimane il reciproco interesse di Cina
e India e della comunità internazionale, affinché entrambi
i paesi continuino a sviluppare legami, coltivare relazioni e accrescere
la cooperazione assicurando una pacifica crescita economica e la stabilità
globale.
(Traduzione dall’inglese di Marta Brachini)
Marco Vicenzino, corrispondente da Washington per Ideazione.
(c)
Ideazione.com (2006)
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