L'India dei colletti bianchi e la Cina dei colletti blu
di Marco Vicenzino
Ideazione di maggio-giugno 2006

Negli ultimi tempi l’India ha ospitato i più importanti capi di Stato e corporazioni multinazionali, così come delegazioni di alto livello dei settori pubblico e privato. Questo indubbiamente costituisce un riconoscimento del ruolo emergente dell’India come importante attore politico ed economico nelle relazioni globali. E la nuova partnership con gli Stati Uniti è stata suggellata dalla storica visita del primo ministro indiano Singh a Washington. Per il presidente Bush, che gode di un alto tasso di popolarità tra gli indiani, lo scambio di visite ufficiali di quattro giorni con l’India ha significato un ulteriore consolidamento del rapporto in tempi di crescenti difficoltà in politica interna.
L’India, dopo la Cina, è la seconda nazione più popolosa del mondo e ospita la seconda e numericamente più vasta popolazione musulmana (che costituisce approssimativamente una minoranza del 12 per cento rispetto a una popolazione totale indiana di più di un miliardo di persone); ha dimezzato la povertà a partire dall’indipendenza dalla Gran Bretagna nel 1974 ed è previsto che la sua crescita economica annuale oscillerà tra il 7 e il 10 per cento nel futuro immediato. Tenendo conto delle sue vaste dimensioni e della sua molteplice complessità in quanto democrazia più popolosa del mondo, la stabilità relativa dell’India e la sua vibrante società rimangono un successo monumentale. La sua popolazione è per l’80 per cento hindu, anche se il presidente è musulmano, il primo ministro sikh e il capo della coalizione di governo è di origine italiana. Tuttavia, il fanatismo non è scomparso e la possibilità di attacchi sporadici e del riemergere della violenza si nasconde dietro l’angolo, come dimostrano i massacri di Gujarat all’inizio del 2002 che hanno fatto circa duemila vittime, donne e bambini inclusi, come parte di un circolo vizioso di rappresaglie estremiste.

Nel Ventunesimo secolo, con lo spostamento del centro di gravità geopolitico verso l’Asia, l’India si trova in una posizione geograficamente strategica: nel cuore dell’Asia del Sud, nel punto d’incontro tra l’economicamente esplosivo Estremo Oriente e le regioni ricche di energia del Medio Oriente e delle Repubbliche del Centro Asia. Sebbene l’emergere dell’India sia inevitabile, esso fa comunque parte di un riadattamento alla realtà attraverso il quale l’Asia sta riscattando il suo storico e naturale posto nell’economia globale, dopo quasi due secoli di dominio occidentale. Di conseguenza, l’India sta perseguendo una politica di pragmatismo strategico, sfruttando con abilità il suo status di potenza emergente per intraprendere relazioni di necessità e convenienza, in base ai suoi bisogni e interessi primari (soprattutto nel settore energetico), che avranno un impatto significativo sul suo sviluppo immediato o di lungo periodo. E con vicini che possiedono armi atomiche, Cina e Pakistan compresi, la politica di pragmatismo indiana diventa ancor più decisiva.
Gli ampi punti in comune tra Stati Uniti e India includono forme democratiche di governo, la lingua, un valore condiviso di imprenditorialità e fiducia nel futuro, il problema del terrorismo e della diffusione delle armi di distruzione di massa e la volontà di espandere la propria potenza fuori dai propri confini. Tuttavia, c’è una tendenza da parte di Washington a sopravvalutare il valore della “carta indiana”, specialmente se viene intesa come un tentativo di contenere il potere e l’influenza crescente della Cina in Asia e oltre. La realtà è che l’India si trova ancora a uno stadio iniziale della sua crescita e il coinvolgimento in un gioco di equilibri di potere non gioverebbe ai suoi interessi. Sebbene siano in pochi a discutere il potenziale dell’India per uno status di grande potenza, il percorso per raggiungerlo è lungo e segnato da enormi, ma non insormontabili, sfide. Gli Stati Uniti, considerando la nascente partnership con l’India e l’essenziale ruolo del Pakistan nella “guerra al terrorismo” in Afghanistan e oltre, hanno tentato di trovare un giusto equilibrio nelle relazioni con questi membri de facto del club nucleare, con particolare riguardo alla questione del Kashmir. Sfruttando astutamente questo problema, il supporto dei jihadisti per i militanti kashmiri separatisti è visto come un altro importante fronte nella loro “battaglia globale per l’Islam”. L’enfasi storica posta dall’India per una soluzione bilaterale del conflitto e la sua tradizionale riluttanza e suscettibilità a ogni coinvolgimento, reale o percepito come tale, di terze parti, in primo luogo degli Stati Uniti, ha fatto dell’intermediazione “dietro le quinte” un importante aspetto della relazione a tre. Negli ultimi anni l’India e il Pakistan hanno fatto importanti passi simbolici e progressi nel ridurre una retorica di ostilità e scontro. Tuttavia, questo sviluppo non ha avuto effetti nell’affrontare le questioni sostanziali del conflitto.

La partnership Usa-India, non ampiamente collaudata, sta per entrare nel campo minato del Congresso in un anno elettorale decisivo, e con la possibilità di una sconfitta repubblicana. Le crescenti tendenze protezioniste del Congresso riguardo al problema dell’outsourcing, e in special modo il rischio, reale o meno, della perdita di posti di lavoro americani a vantaggio dell’India nel settore dei servizi, potrebbero rivelarsi un problema cruciale. Inoltre, l’Autorità per la Promozione del Commercio voluta dal presidente potrebbe non essere rinnovata a metà del 2006. E ancora, l’approvazione legislativa dell’accordo sul nucleare di Bush con l’India è ben lontano dall’essere garantito, soprattutto a causa delle accuse di usare due metri diversi, viste le posizioni degli Stati Uniti e dell’Unione Europea sul nascente programma nucleare iraniano. Senza l’approvazione del Congresso dell’accordo nucleare usa-India, non è chiaro se il sostegno indiano alla posizione degli usa rimarrà indiscusso. Per di più, il progetto di una pipeline dall’Iran all’India attraverso il Pakistan rimane un impedimento tra le due parti. La visione che gli Stati Uniti hanno dell’Iran, uno Stato canaglia sponsor del terrorismo e della proliferazione nucleare, contrasta con quella dell’India che vede l’Iran come una importante fonte di energia funzionale alla sua ricerca di crescita e sviluppo.
Mentre la Cina iniziò il suo processo di liberalizzazione economica nel 1979 sotto Deng Xiaoping, l’India ha cominciato la sua apertura nel 1991 per necessità e in reazione a difficoltà finanziarie. La crescita astronomica della Cina degli ultimi venticinque anni ha avuto un impatto sulla psiche indiana, rendendo il desiderio di “raggiungere” la Cina quasi un’ossessione nazionale. Inoltre, le note dispute territoriali lungo i confini himalayani esistono ancora. Anche se negli ultimi anni è emerso un tacito accordo per accantonare temporaneamente il problema, la clamorosa sconfitta indiana da parte dei cinesi nei primi anni Sessanta e la mancanza di confini certi irrita ancora la coscienza indiana.
La Cina ha anche dimostrato maggior successo nella competizione per le risorse energetiche. Un memorandum d’intesa firmato recentemente tra Cina e India doveva migliorare la cooperazione in materia energetica, ma in realtà si tratta di un accordo per unire le forze diplomatiche quando si renda necessario dettare condizioni reciprocamente vantaggiose a Stati terzi ritenuti target di investimenti nel settore energetico. Nonostante la spettacolare crescita della Cina dell’ultimo quarto di secolo e i suoi significativi vantaggi economici e materiali sull’India, a quest’ultima rimane un vantaggio politico non facilmente calcolabile nel breve periodo. La riforma economica dell’India si sta realizzando all’interno di una cornice democratica, ovvero, le istituzioni della società civile si sviluppano e rinforzano mentre il cambiamento economico avanza. Considerando le dimensioni, la popolazione e la diversità sociale dell’India, l’esperimento di riforma dimostrerà gradualmente di essere una grande conquista, soprattutto in vista di un emergente consenso tra i partiti politici sul buon governo.

La Cina sta cercando di accrescere il grado di trasparenza e responsabilità a livello locale per ridurre la corruzione, con particolare riguardo ai progetti di sviluppo delle infrastrutture che hanno un impatto sulla vita dei comuni cittadini, e per ridurre le differenze tra le regioni urbane e quelle rurali. Tuttavia, tutto ciò non deriva da una scelta intenzionale di riforma, ma piuttosto dalla paura e dalla minaccia di instabilità e conflittualità interne, che potrebbero sfociare nel disordine civile e nella frammentazione. Le proteste nelle regioni rurali della Cina hanno alimentato oltremodo queste paure. L’enorme popolazione dell’India, vista prima come un ostacolo, è oggi considerata un vantaggio economico per superare la Cina come nazione più popolosa del mondo. La popolazione della Cina diminuirà in seguito ad anni di rigide politiche di controllo della crescita demografica.
Per molti insider del business internazionale, la Cina è il “colletto blu” della catena di montaggio del mondo, mentre l’India è il “colletto bianco” della stessa catena. Tuttavia, la realtà è che ogni paese sta cercando di migliorarsi in tutte le sue potenzialità, ovvero, la Cina sta cercando di potenziare il proprio settore dell’Information Technology (it) e l’India sta concentrando gli sforzi oltre l’it per ottimizzare i settori manifatturieri e agricoli. Tale miglioramento sarà però limitato in assenza di una maggiore deregolamentazione e di investimenti massicci nelle infrastrutture, soprattutto nel sistema dei trasporti. Attualmente la Cina spende nove volte di più dell’India in infrastrutture. In definitiva, rimane il reciproco interesse di Cina e India e della comunità internazionale, affinché entrambi i paesi continuino a sviluppare legami, coltivare relazioni e accrescere la cooperazione assicurando una pacifica crescita economica e la stabilità globale.


(Traduzione dall’inglese di Marta Brachini)

Marco Vicenzino, corrispondente da Washington per Ideazione.

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