













































































 Il centrodestra prossimo venturo
 
    Il centrodestra prossimo venturo Chi desideri 
      ancora oggi, dopo il risultato elettorale, porre il problema del post-berlusconismo, 
      corre il pericolo di ritrovarsi a parlare da solo. Sfidando il rischio del 
      monologo, tuttavia, è proprio del post-berlusconismo che intendo 
      (continuare a) parlare su queste pagine. Perché rimango persuaso 
      che non sul lungo, ma sul medio se non sul breve periodo, quella dell’emancipazione 
      dello schieramento di centrodestra da Berlusconi rimanga una questione di 
      importanza vitale per gli elettori moderati, e per il paese nel suo complesso.
 
      Chi desideri 
      ancora oggi, dopo il risultato elettorale, porre il problema del post-berlusconismo, 
      corre il pericolo di ritrovarsi a parlare da solo. Sfidando il rischio del 
      monologo, tuttavia, è proprio del post-berlusconismo che intendo 
      (continuare a) parlare su queste pagine. Perché rimango persuaso 
      che non sul lungo, ma sul medio se non sul breve periodo, quella dell’emancipazione 
      dello schieramento di centrodestra da Berlusconi rimanga una questione di 
      importanza vitale per gli elettori moderati, e per il paese nel suo complesso.
      Per esser chiari: i risultati elettorali li ho visti così come li 
      hanno visti tutti. Ho notato l’errore marchiano commesso dalle istituzioni 
      demoscopiche, recidive nel sottostimare quella parte dell’opinione 
      pubblica berlusconiana che per timore o per orgoglio vuol restare catacombale. 
      Ritengo che il risultato del centrodestra, straordinario se paragonato alle 
      previsioni, sia in larga misura dovuto alla tenacia, alla sensibilità 
      populistica e alle capacità comunicative di Berlusconi. Più 
      in generale, mi pare sempre più evidente come il Cavaliere sia l’unico 
      fuoriclasse vero di un ceto politico nel quale per il resto si muovono, 
      nella migliore delle ipotesi, dei bravi professionisti. Non ho dubbi in 
      conclusione che il 10 aprile del 2006 Berlusconi sia apparso ancora una 
      volta il fulcro imprescindibile dello schieramento moderato e dell’intero 
      sistema politico italiano.
      
       Queste 
      constatazioni, d’altra parte, non possono neppure oscurare tre altre 
      considerazioni, che puntano per certi versi in direzione del tutto opposta. 
      La prima, che il berlusconismo, e anche Berlusconi, si sono effettivamente 
      logorati in dodici anni di battaglie politiche e cinque di governo. La seconda, 
      per molti versi conseguente alla prima: il centrodestra ha di certo ottenuto 
      un risultato notevole considerate le premesse, ma non ha vinto; e tanto 
      meno di pareggio in extremis dobbiamo parlare, e tanto più di vittoria 
      mancata, quanto più riconosciamo che disastro fosse lo schieramento 
      concorrente: rissoso, radicale, autolesionista, guidato da un leader logorato, 
      catastrofico nella comunicazione. Molti fra gli elettori della Casa delle 
      Libertà, insomma, non hanno votato tanto per il Cavaliere, quanto 
      contro Prodi. La terza considerazione, e la più importante, è 
      che Berlusconi e il berlusconismo dovranno prima o poi uscire di scena – 
      e tanto prima il centrodestra comincia a preparare la successione, tanto 
      meno traumatica quella successione sarà.
 
      Queste 
      constatazioni, d’altra parte, non possono neppure oscurare tre altre 
      considerazioni, che puntano per certi versi in direzione del tutto opposta. 
      La prima, che il berlusconismo, e anche Berlusconi, si sono effettivamente 
      logorati in dodici anni di battaglie politiche e cinque di governo. La seconda, 
      per molti versi conseguente alla prima: il centrodestra ha di certo ottenuto 
      un risultato notevole considerate le premesse, ma non ha vinto; e tanto 
      meno di pareggio in extremis dobbiamo parlare, e tanto più di vittoria 
      mancata, quanto più riconosciamo che disastro fosse lo schieramento 
      concorrente: rissoso, radicale, autolesionista, guidato da un leader logorato, 
      catastrofico nella comunicazione. Molti fra gli elettori della Casa delle 
      Libertà, insomma, non hanno votato tanto per il Cavaliere, quanto 
      contro Prodi. La terza considerazione, e la più importante, è 
      che Berlusconi e il berlusconismo dovranno prima o poi uscire di scena – 
      e tanto prima il centrodestra comincia a preparare la successione, tanto 
      meno traumatica quella successione sarà.
      Nei discorsi sulla grande coalizione del dopo voto si è ragionato 
      spesso di un doppio e simmetrico “passo indietro” di Prodi da 
      un lato, di Berlusconi dall’altro. Ma in realtà la situazione 
      nella quale si trovano i due leader è tutt’altro che simmetrica: 
      Prodi è sovrapposto al centrosinistra, mentre del centrodestra Berlusconi 
      è l’asse portante. E in questi dodici anni, nella Casa delle 
      Libertà ha svolto un’opera di supplenza a tutto campo, rimediando 
      al deficit del moderatismo italiano sul terreno della classe politica, della 
      cultura, delle risorse economiche e mediatiche, della visibilità, 
      della comunicazione. Istituzionalizzare il centrodestra proiettandolo al 
      di là della parabola di Berlusconi e del berlusconismo è dunque 
      un’operazione complessa. Non ci si è pensato negli anni dell’opposizione, 
      e neppure in quelli del governo. Anche perché per le sue caratteristiche 
      personali e politiche il Cavaliere è assai poco adatto a gestire 
      un processo di “normalizzazione”, tanto più quando quel 
      processo deve servire ad amministrare la sua eredità, e rischia dunque 
      di affrettarne la fine.
      
       Tuttavia, 
      ripeto, il centrodestra non può fare a meno di pensare alla propria 
      “normalizzazione”, proprio perché, se dovesse condurre 
      in maniera sbagliata la transizione al post-berlusconismo, correrà 
      il rischio di perdere tutto il lavoro fatto fino ad allora e dovrà 
      ricominciare da capo. E non solo. La migliore via di uscita dal berlusconismo 
      continua ad essere – a maggior ragione considerati i risultati elettorali 
      – quella gestita dallo stesso Berlusconi. La migliore, proprio perché 
      è quella che garantisce la transizione meno dolorosa, e salvaguarda 
      il più di quanto è stato fatto finora. La soluzione ottimale 
      sarebbe dunque se il caimano si decidesse infine a trasformarsi in castoro, 
      e a passare alla storia non soltanto come lo straordinario leader di una 
      guerra di movimento, sempre pronto nell’assalto a baionetta, ma pure 
      come l’edificatore di casematte politiche e culturali capaci di vivere 
      e fruttificare anche senza di lui. Finora il Caimano ha insistito nel voler 
      restare caimano, e non c’è dubbio che i risultati elettorali 
      gli abbiano in larga misura dato ragione. Quali sono allora le prospettive 
      di istituzionalizzazione del centrodestra, nelle attuali circostanze politiche? 
      Come appare, ad oggi, il percorso di una transición pactada (ossia 
      gestita da Berlusconi) verso il post-berlusconismo?
 
      Tuttavia, 
      ripeto, il centrodestra non può fare a meno di pensare alla propria 
      “normalizzazione”, proprio perché, se dovesse condurre 
      in maniera sbagliata la transizione al post-berlusconismo, correrà 
      il rischio di perdere tutto il lavoro fatto fino ad allora e dovrà 
      ricominciare da capo. E non solo. La migliore via di uscita dal berlusconismo 
      continua ad essere – a maggior ragione considerati i risultati elettorali 
      – quella gestita dallo stesso Berlusconi. La migliore, proprio perché 
      è quella che garantisce la transizione meno dolorosa, e salvaguarda 
      il più di quanto è stato fatto finora. La soluzione ottimale 
      sarebbe dunque se il caimano si decidesse infine a trasformarsi in castoro, 
      e a passare alla storia non soltanto come lo straordinario leader di una 
      guerra di movimento, sempre pronto nell’assalto a baionetta, ma pure 
      come l’edificatore di casematte politiche e culturali capaci di vivere 
      e fruttificare anche senza di lui. Finora il Caimano ha insistito nel voler 
      restare caimano, e non c’è dubbio che i risultati elettorali 
      gli abbiano in larga misura dato ragione. Quali sono allora le prospettive 
      di istituzionalizzazione del centrodestra, nelle attuali circostanze politiche? 
      Come appare, ad oggi, il percorso di una transición pactada (ossia 
      gestita da Berlusconi) verso il post-berlusconismo?
      Una vittoria netta del centrodestra, tale da consentirgli di mettere le 
      mani sul Quirinale, avrebbe certamente rappresentato la condizione migliore 
      per un passaggio morbido al post-berlusconismo. Per quanto diversi fossero 
      le circostanze nazionali, l’epoca storica e gli uomini, la Francia 
      della fine degli anni Sessanta mostra con chiarezza come il dualismo fra 
      presidenza della Repubblica e presidenza del Consiglio abbia consentito 
      alla Quinta Repubblica e al centrodestra francesi il distacco, doloroso 
      certo ma non disastroso, dal carisma gollista. Al logoramento di De Gaulle 
      corrisponde infatti in quegli anni il rafforzamento della figura del premier 
      Georges Pompidou, che, in concorrenza ma anche in continuità col 
      Generale, riesce infine a raccoglierne l’eredità.
      Viceversa, se la Casa delle Libertà fosse stata sonoramente sconfitta, 
      con ogni probabilità Berlusconi sarebbe uscito di scena in maniera 
      traumatica. Questo avrebbe accelerato la transizione al post-berlusconismo, 
      che si sarebbe però anche svolta nelle peggiori condizioni possibili 
      – proprio perché né negli ultimi dodici né negli 
      ultimi cinque anni è stata minimamente preparata. Si sarebbe corso 
      il rischio della dissoluzione, o quanto meno del marcato ridimensionamento, 
      di Forza Italia. E Dio solo sa, in queste condizioni, che cosa sarebbe avvenuto 
      del centrodestra – e, di conseguenza, del centrosinistra.
      
       La situazione effettivamente uscita dalle elezioni, intermedia fra le due 
      precedenti, non consente di risolvere la questione in maniera indolore, 
      ma non ne impone neppure una soluzione traumatica. Il problema del post-berlusconismo, 
      insomma, è congelato e rimandato, e il modo nel quale si porrà 
      dipenderà molto dall’evolversi della situazione politica generale 
      nei prossimi due o tre anni. Sarebbe tuttavia un errore grave sprecare anche 
      questa occasione, e ritrovarsi magari davanti all’ipotesi dell’uscita 
      di scena del Cavaliere nelle condizioni in cui ci si è trovati un 
      anno fa, all’indomani delle elezioni regionali.
 
      La situazione effettivamente uscita dalle elezioni, intermedia fra le due 
      precedenti, non consente di risolvere la questione in maniera indolore, 
      ma non ne impone neppure una soluzione traumatica. Il problema del post-berlusconismo, 
      insomma, è congelato e rimandato, e il modo nel quale si porrà 
      dipenderà molto dall’evolversi della situazione politica generale 
      nei prossimi due o tre anni. Sarebbe tuttavia un errore grave sprecare anche 
      questa occasione, e ritrovarsi magari davanti all’ipotesi dell’uscita 
      di scena del Cavaliere nelle condizioni in cui ci si è trovati un 
      anno fa, all’indomani delle elezioni regionali.
      Rispetto a come i prossimi passaggi politici condizioneranno gli assetti 
      interni alla Casa delle Libertà, e quindi la transizione al post-berlusconismo, 
      infine, mi pare che sia necessario tenere conto soprattutto di due variabili: 
      il Quirinale e Palazzo Chigi. Al momento in cui scriviamo le ipotesi sono 
      ancora tutte aperte. Per quanto detto sopra, non è del tutto indifferente 
      se alla presidenza della Repubblica dovesse essere rieletto Ciampi con una 
      sorta di “mandato a termine”, oppure un presidente che duri 
      per l’intero settennato. Ad oggi inoltre, salvo sorprese, appare assai 
      probabile che si vada a un governo Prodi di centrosinistra. Quanto forte 
      sarà quel gabinetto, considerate le divisioni interne allo schieramento 
      progressista e il minimo margine di maggioranza al Senato, e quanto riuscirà 
      a durare, non è facile prevederlo con certezza. È tuttavia 
      lecito ipotizzare che non si tratterà di un esecutivo troppo robusto 
      né troppo longevo. Il che riporta in campo la prospettiva, fra uno 
      o magari due anni, di un governo di grande coalizione che avvicini la legislatura 
      al suo termine naturale.
      In linea di massima, malgrado Berlusconi e molti esponenti di primo piano 
      del centrodestra si siano pronunciati a favore di un’ampia convergenza 
      politica fra moderati e progressisti, mi pare piuttosto chiaro che alla 
      Casa delle Libertà tutto convenga, tranne la Grosse Koalition. Perché 
      delle due l’una: o il governo Prodi funziona e dura, e allora la grande 
      coalizione è del tutto fuori gioco; oppure non funziona e non dura, 
      e allora al centrodestra converrà che si torni ad elezioni, così 
      che esso possa lucrare sul logoramento amministrativo dei suoi avversari. 
      È uno dei paradossi della politica di questi tempi, che la grande 
      coalizione oggi proposta dal centrodestra convenga in realtà di più 
      al centrosinistra; e che la riforma costituzionale promossa dalla Casa delle 
      Libertà e destinata ad esser combattuta dall’Unione al referendum, 
      finisca in fondo, se approvata, per rafforzare il governo Prodi.
      
  
        Giovanni Orsina, docente di Storia contemporanea all’Università 
      Luiss - Guido Carli di Roma, direttore scientifico della Fondazione Luigi 
      Einaudi.
 
      Giovanni Orsina, docente di Storia contemporanea all’Università 
      Luiss - Guido Carli di Roma, direttore scientifico della Fondazione Luigi 
      Einaudi. 
      
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