La
Right Nation italiana esiste. Ed è, potenzialmente, maggioranza strutturale
in Italia. Dopo i tanti numeri immaginari che hanno infettato questa campagna
elettorale – sondaggi taroccati, exit poll psichedelici, proiezioni
che contraddicevano se stesse, conti e riconti – è forse questo
l’unico dato reale emerso dalle ultime elezioni politiche. Inoltre,
si tratta di un risultato ottenuto nelle peggiori condizioni possibili per
il centrodestra italiano: dopo un quinquennio di durissima congiuntura economica
internazionale, con l’establishment finanziario, culturale e mediatico
schierato come un sol’uomo contro il Caimano, con le inchieste ad
orologeria della magistratura, con una buona parte della classe dirigente
del centrodestra impegnata a remare contro (o, nella migliore delle ipotesi,
a non remare affatto) e pezzi della coalizione saliti anzitempo sul carro
del vincitore annunciato.
Eppure, in queste condizioni oggettivamente disperate, con i sondaggi “perbene”
(non quelli commissionati da Forza Italia, insomma) che garantivano all’Unione
un vantaggio abissale ed incolmabile, la Casa delle Libertà è
riuscita a superare il 50 per cento dei voti al Senato ed a sfiorarlo alla
Camera. Un miracolo tattico di Silvio Berlusconi? O piuttosto la conferma
che la Right Nation italiana è intrinsecamente maggioranza in questo
paese e, con qualche accorgimento tecnico minore, sarebbe naturalmente destinata
a governare per i prossimi decenni?
Probabilmente la verità, come spesso accade, si nasconde da qualche
parte tra queste due affermazioni estreme. È vero, infatti, che la
gestione delle ultime settimane della campagna elettorale da parte di Silvio
Berlusconi è stata – tatticamente – perfetta. Ma è
anche vero che ad una prima analisi dei dati e dei flussi elettorali si
nota una tenuta complessiva della coalizione di centrodestra che va ben
al di là di qualsiasi invenzione dell’ultimo minuto.
Prendiamo i numeri della Camera, che sono anche quelli più sfavorevoli
alla CdL. Rispetto alle Politiche 2001, Forza Italia ha perso circa 1 milione
e 800mila voti (passando da quasi 11 milioni a poco più di 9 milioni
di preferenze). Questa emorragia, peraltro molto contenuta rispetto alle
“previsioni” della vigilia e alle consultazioni amministrative
degli ultimi anni, è stata completamente assorbita dagli alleati
della coalizione. L’Udc ne ha recuperati 1 milione e 385mila (più
che raddoppiando la propria cifra elettorale), Alleanza Nazionale è
cresciuta di quasi 250mila voti e la Lega Nord (che al Sud era alleata con
il Movimento per l’Autonomia di Raffaele Lombardo) ha raccolto 283mila
voti in più rispetto al 2001. Insomma, la tanto celebrata transumanza
da destra verso sinistra, su cui gli analisti avevano speso in anticipo
tonnellate d’inchiostro, non c’è stata. Mentre si è
assistito a spostamenti, anche considerevoli ma tutto sommato prevedibili,
all’interno della coalizione. Nel suo complesso,
il centrodestra ha ottenuto quasi 19 milioni di voti: 385mila in più
rispetto alle elezioni precedenti. Ma dove si nascondeva questa enorme massa
di cittadini, che è sembrata sfuggire a lungo ad ogni tentativo di
inquadramento statistico?
La maggioranza che non si
vede
Non esistono parole sufficienti per descrivere l’incredibile débâcle
degli istituti di ricerca che, durante la campagna elettorale, si sono esercitati
nella difficile (e ben pagata) arte della sondaggistica politica. Volendo,
con una buona dose di magnanimità, credere nella buona fede di swg,
ispo, Piepoli, ipsos, ekma e compagnia, il minimo che si possa dire è
che la continua, insistente e univoca pubblicazione di sondaggi che registravano
un distacco enorme a favore del centrosinistra ha fatto perdere alla CdL
almeno mezzo milione di voti. Colpa di quel bandwagon effect che gli studiosi
conoscono da prima che nascesse la scienza della politica in senso stretto.
Ancora più imbarazzanti degli exit poll che già circolavano
nella notte di domenica 9 aprile o delle proiezioni che si autosmentivano
nel giro di qualche minuto, poi, sono stati gli astrusi tentativi dei sondaggisti
di spiegare questo flop così clamoroso.
In uno studio pubblicato da swg nei giorni successivi al voto, vengono identificate
tre cause principali della “sistematica sovrastima del centrosinistra”:
segmenti di popolazione poco raggiungibili; aumento imprevisto dei voti
validi; reticenza a rispondere alle domande dei sondaggisti. Ma procediamo
a ritroso.
La “reticenza a rispondere” sarebbe la “tendenza a non
dichiarare correttamente il proprio orientamento al voto”. Per swg
si tratta di «un fattore che ha determinato la sottostima di Forza
Italia (a favore di Alleanza Nazionale) e quella dell’udc [...] una
condizione, più forte nell’elettorato moderato, che determina
la difficoltà a rivelare il proprio orientamento perché difforme
dal clima di opinione o meglio da quella che si ritiene essere la tendenza
elettorale prevalente o quella maggiormente e socialmente accettata in un
dato momento». La scoperta dell’acqua calda, insomma, visto
che la necessità di ponderare i dati raccolti tra l’elettorato
moderato è nota almeno dal 1992, anno in cui i sondaggisti britannici
si accorsero di aver sottostimato di almeno 8-9 punti percentuali il risultato
dei Conservatori di John Mayor (il cosiddetto Shy Tory Factor). E comunque
non è una spiegazione convincente per fare luce sull’errore
di stima nei confronti del centrodestra nel suo complesso (Forza Italia
e udc sono state sottostimate, ma an sovrastimata).
Il secondo punto, invece, quello relativo «all’incremento significativo
dei voti validamente espressi», spinge swg a ritenere che «la
riduzione delle schede bianche e nulle» abbia premiato maggiormente
il centrodestra «con un effetto analogo a quello descritto dai sondaggi
preelettorali che evidenziavano come ad un aumento del livello di partecipazione
(e quindi dei voti validi) si riducesse lo scarto tra le due coalizioni».
Peccato che l’unico istituto di ricerca che abbia osato avanzare un’ipotesi
del genere durante la campagna elettorale – Euromedia Research di
Alessandra Ghisleri – sia stato sbeffeggiato dai colleghi con la terribile
(e neanche troppo velata) accusa di “lavorare per Berlusconi”.
Come se avere L’espresso o i ds come committenti contribuisse a rendere
più solide le proprie rilevazioni statistiche.
Ma il non Daily ultra si raggiunge con la prima delle tre spiegazioni, e
cioè con «l’impossibilità di monitorare, o meglio
di arrivare, ad alcuni segmenti dell’opinione pubblica». swg
si riferisce a «quelle aree sociali, prevalentemente lontane dalla
politica, marginali, anti sistemiche [...] segmenti generalmente a basso
livello di scolarizzazione e informazione che più facilmente vengono
attratti da espressioni e/o messaggi di tipo evocativo-emozionale o a forte
impatto, quelli cioè che muovono comportamenti irrazionali, istintivi,
impulsivi o che incidono sulla formazione non ragionata di idee e orientamenti.
Tali segmenti sono stati toccati marginalmente dai sondaggi, pur trovando
nelle ultime settimane di campagna elettorale un forte stimolo all’espressione
di voto nella capacità comunicativa del Premier che ha agito in tali
aree inducendo una maggior spinta partecipativa o meglio dichiarativa al
voto». Sì, avete letto bene. I berlusconiani dispersi, in estrema
sintesi, sono ignoranti e disinformati (anti-sistema, addirittura), si fanno
ipnotizzare dai messaggi irrazionali ed impulsivi sparati dal Caimano in
televisione e, soprattutto, hanno idee e orientamenti che si formano in
modo “non ragionato”. Una sorta di esercito di catatonici in
letargo, insomma, che soltanto il Cavaliere Nero è in grado di risvegliare
con un click del telecomando.
La maggioranza che si vede
“Ignoranza” o “reticenza”, però, cambia poco.
Perché queste “radiografie” postume che tentano di analizzare
l’humus socio-economico che ha permesso la rimonta della CdL sono
fondamentalmente in linea con l’idea che settori consistenti dell’establishment
mediatico e culturale hanno maturato a proposito della forma e della sostanza
della Right Nation italiana (e non soltanto della parte di essa che sfugge
sistematicamente alle rilevazioni statistiche). Basta rileggere l’articolo
scritto da Giorgio Bocca per Repubblica il giorno dopo le elezioni, per
toccare con mano l’assoluta incapacità di comprendere i confini
e la struttura del blocco sociale che sceglie, ormai da tempo, di affidare
il proprio voto al centrodestra. Per Bocca si tratta, né più
né meno, di un’Italia «sempre più ricca e sempre
più sovversiva», la stessa che «negli anni Venti ha preferito
il fascismo alla democrazia, che in quelli Quaranta si è rifugiato
sotto lo scudo democristiano», oscillando senza troppa convinzione
tra un voto «ora fascista, ora clericale, ora manageriale o finanziario».
Si tratta, naturalmente, di una caricatura che poco o nulla ha a che fare
con la realtà. Perché la realtà, quella fatta di numeri
solidi e di croci incise con forza sui simboli dei partiti, racconta una
storia del tutto diversa. Racconta di una coalizione forte su tutto il territorio
nazionale e che raccoglie uno spettro molto ampio di condizioni socio-economiche
e di sensibilità culturali e politiche. Una coalizione che, alle
Politiche del 2006, è tornata maggioranza in tutto il Nord e nelle
regioni più produttive e moderne del Mezzogiorno. Non si tratterà
forse, come ha scritto Renato Brunetta, di una coalizione che vince dove
viene prodotto l’85 per cento del Pil, ma non si può negare
che – oltre ad aver consolidato la sua netta maggioranza in Lombardia
e Veneto (con numeri che sfiorano le percentuali “bulgare” delle
regioni rosse), il centrodestra abbia riconquistato il Piemonte, il Lazio
e la Puglia, sfiorato il clamoroso successo al Senato in Campania e riaffermato
la propria supremazia quasi strutturale in Sicilia. Viste le premesse della
vigilia, ci troviamo di fronte ad un risultato oggettivamente straordinario.
Da analizzare con attenzione, piuttosto, sarebbe la vera vulnerabilità
della CdL, quella relativa al voto dei giovani tra i 18 e i 24 anni, che
ha regalato – anche se per una manciata di voti – la maggioranza
della Camera al centrosinistra. Secondo le analisi dei flussi elettorali
(che, ricordiamocelo, sono comunque basate su exit poll ampiamente smentiti
dai risultati reali), degli oltre 3 milioni di giovani che si sono recati
per la prima volta alle urne nel 2006, il 42,1 per cento ha scelto l’Unione
mentre il 34,6 per cento ha scelto il centrodestra. Mancano all’appello
circa 700mila votanti (il 23,3 per cento) che si sono astenuti. Viene spontaneo
chiedersi quanti di questi 700mila voti potenziali si sarebbero potuti recuperare
se la CdL avesse evitato, nella fase centrale ma anche in quella finale
della legislatura uscente, di prendere provvedimenti che sono stati quasi
universalmente riconosciuti come iniqui dalla fascia d’età
di cui ci stiamo occupando. Pensiamo soprattutto alla nuova legge sulla
droga (che è stata, nella migliore delle ipotesi, spiegata malissimo
ai cittadini) oppure al famigerato decreto Urbani che si è mosso
inconsultamente verso la criminalizzazione dello scambio di file su Internet.
Quando si perde la Camera per 24mila voti, non si può non rimanere
perplessi sul modo in cui è stato gestito il rapporto con questa
cruciale fascia d’età.
Le ragioni di un'alleanza
Nelle condizioni ambientali migliori della sua storia politica, la sinistra
– ramazzando perfino negli angoli più oscuri degli schieramenti
politici – non è riuscita a raggiungere il 50 per cento dei
voti né alla Camera né al Senato. Ce ne sarebbe abbastanza
per considerare il risultato elettorale come una clamorosa sconfitta per
una classe dirigente eterogenea e rissosa che sembra riuscire a stare insieme
soltanto con l’obiettivo (per ora fallito) di porre fine all’era
berlusconiana. Dall’altra parte, invece, ci troviamo di fronte ad
una coalizione piuttosto omogenea, che sembra aver trovato – più
a livello popolare che di élite dirigenti – una coesione invidiabile.
Anche gli spostamenti di voto all’interno della coalizione, che si
ripetono con frequenza ad ogni tornata elettorale, a ben guardare rappresentano
un punto di forza per il centrodestra nel medio e nel lungo periodo. Soprattutto
se, come è possibile, ad un’accelerazione verso il “partito
unico” tra Ds, Margherita e cespugli vari, corrispondesse un’analoga
spinta centripeta per la costruzione di un partito moderato di centrodestra
riconducibile alla grande famiglia dei Popolari europei. Forza Italia stessa,
seppure allo stato embrionale, è una sorta di esperimento fusionista
tra anime diverse – liberale, conservatrice, cattolica, moderata e
riformista – che riescono a convivere sulla base di istanze, istinti
e ragioni comuni. Alleanza Nazionale e l’udc, sul fianco destro e
su quello più moderato, rappresentano elettorati assolutamente compatibili
(e per questo spesso interscambiabili) con quello del partito di maggioranza
relativa. La Lega, naturalmente, resterebbe fuori da questo nuovo soggetto
politico, anche se alleata con esso; ma è opinione diffusa che questa
scelta potrebbe rafforzare la sua forza elettorale e portare giovamento
(se non altro numerico) all’intera coalizione.
Partendo dal risultato elettorale del 2006, non è comunque necessario
pensare ad un “partito unico” del centrodestra per puntare,
nel giro di pochi anni, allo status di “maggioranza strutturale”
nel paese. A patto, naturalmente, di prendere coscienza degli errori commessi,
non tanto durante la campagna elettorale ma soprattutto negli anni precedenti.
Investire nella produzione culturale (pensiamo anche alla cultura popolare)
non è più rinviabile. Think tank, fondazioni, riviste e giornali,
ma anche soggetti in grado di sfruttare le potenzialità immense di
old e new media, già esistono ma vanno potenziati, messi in rete
tra loro e considerati come una risorsa per la crescita complessiva di un’area
politica di riferimento, non come scorciatoie per il raggiungimento di obiettivi
personali. L’organizzazione politica sul territorio, che sia quella
del “partito unico” o dei singoli partiti della coalizione,
deve essere considerata importante almeno quanto la capacità di mobilitare
il proprio elettorato in occasione degli appuntamenti “nazionali”.
A questa esigenza è strettamente connessa quella di migliorare il
livello della propria classe dirigente, soprattutto locale, per diventare
competitivi nelle tornate elettorali amministrative.
È necessario, insomma, prepararsi ad una “campagna elettorale
permanente” in grado di favorire la proiezione, anche sul piano più
strettamente tecnico-elettorale, di quella “maggioranza strutturale”
che il centrodestra, ancora una volta, ha dimostrato di
rappresentare nel paese.
Andrea Mancia, caporedattore di Ideazione.
(c)
Ideazione.com (2006)
Home
Page
Rivista | In
edicola | Arretrati
| Editoriali
| Feuileton
| La biblioteca
di Babele | Ideazione
Daily
Emporion | Ultimo
numero | Arretrati
Fondazione | Home
Page | Osservatorio
sul Mezzogiorno | Osservatorio
sull'Energia | Convegni
| Libri
Network | Italiano
| Internazionale
Redazione | Chi
siamo | Contatti
| Abbonamenti|
L'archivio
di Ideazione.com 2001-2006