Verso una sintesi non esclusiva
di Paola Liberace
Ideazione di maggio-giugno 2006

La cattedrale e il cubo di George Weigel e Cattolici, pacifisti, teocon di Gaetano Quagliariello: opere diverse per spirito e per intenti. Weigel si preoccupa, nel suo accorato pamphlet, del pericolo che incombe sull’Europa travolta dalla secolarizzazione; Quagliariello ripercorre la storia dei cattolici italiani e del loro rapporto con il liberalismo nell’ultimo secolo. Eppure, il comune problema di fondo si situa al di sopra del territorio italiano, europeo o statunitense, al di là della peculiare occasione storica. In questione è l’identità occidentale: di una civiltà generata dallo sviluppo secolare di una tradizione culturale, religiosa e politica.
La politica e la religione, in particolare, detengono un ruolo strutturale. Non così la cultura – sebbene venga più volte evocata, ad esempio, da Weigel. La sua Europa appare molto lontana rispetto a quella di George Steiner1, costellata di caffè pieni di poeti e metafisici, ininterrottamente “camminata” da intellettuali in conversazione. C’è qui indubbiamente una buona dose di quella che Quagliariello definisce «la ricorrente pretesa degli intellettuali di possedere il sale della terra», e dalla quale prende implicitamente le distanze; la ragione più plausibile di questa diffidenza sta probabilmente nella consapevolezza che i più accaniti sostenitori della causa laicista si annoverano tra gli uomini di cultura.
In effetti, non pochi studiosi europei hanno vestito comodamente i panni del cliché anticlericale: per restare all’Italia, basti pensare a quello che di recente ha scritto Carlo Augusto Viano2. La ricostruzione di Viano, insigne storico della filosofia, tradisce una buona dose di nostalgia per la stagione aurea della secolarizzazione, identificabile all’incirca con gli anni Settanta. Se è vero che la grande maggioranza degli accademici (compresi i “pensierodebolisti” che lo stesso Viano aveva stigmatizzato qualche tempo fa3) si riconoscerebbe in questa prospettiva, tanto non basta a escludere l’ambito culturale dalla stessa domanda di senso che investe la religione e la politica. In altre parole, senza sposare le tesi elitiste di Steiner, vale la pena di considerare la cultura per sé – non come un portato sovrastrutturale – e di chiederle conto in quanto tale del futuro dell’Occidente. Viceversa, si rischierebbe di consegnare gratuitamente gli strumenti intellettuali e culturali – che Quagliariello e Weigel stessi utilizzano – nelle mani di chi li ritiene esclusivo appannaggio del côté anticlericale.

Politica senza Dio
Entrambe le opere auspicano che i valori depositati dalla tradizione cristiano-cattolica tornino a improntare la vita civile e sociale, e ne propongono il recupero anche e soprattutto nell’ambito politico. I due autori guardano nella medesima direzione, come dimostra il comune richiamo alla vicenda costituzionale europea. Oggi si può almeno sospettare che il mancato riferimento alle radici cristiane dell’Europa nel preambolo della Costituzione abbia impressionato l’immaginario collettivo in misura superiore alla sua reale incidenza; eppure il braccio di ferro scosse a lungo l’opinione pubblica. Il “duro giudizio” che Weigel mutua da Christopher Dawson fa il paio con la ricostruzione di Quagliariello, che rileva come la Chiesa abbia trovato spazio solo sul terreno del compromesso politico. Una Costituzione “senza radici” ben si adatta all’Europa che emargina Buttiglione, reo di aver espresso la sua opinione di credente sull’omosessualità; la stessa Europa laicista e politically correct che si crogiola nella “cristofobia” di cui parla Joseph Weiler. A questa Europa individualista e dissacratoria Weigel oppone una “comunità morale”, depositaria e garante di valori da tramandare, per la quale il bene è tale non più come virtù individuale, ma come pratica condivisa tra i suoi membri. Il modello immediato sono da un lato gli Stati Uniti “comunitaristi” di George W. Bush – che Quagliariello definisce “presidente per i teocon” –; dall’altro la Polonia cattolica, sorretta nelle sue vicissitudini storiche dalla fede e da una spiritualità gelosamente custodita.
La religione – in particolare quella cristiana – come radice vitale della comunità occidentale, così come già era nel Medioevo: un’età non così buia, se è stata capace di erigere la cattedrale di Notre Dame. Dietro lo sguardo estatico dello statunitense Weigel su un monumento tanto mirabile c’è un indirizzo preciso: il neomedievalismo, che in apparenza asseconda una nostalgia un po’ naif, è lo strumento logico e storico per prospettare una società in grado di produrre una vita migliore per i suoi membri. Già punto di riferimento del dibattito nel secolo XIX, il riferimento medievale era stato accantonato dal milieu intellettuale del Novecento, che aveva invece privilegiato l’antichità classica. Quello a cui Weigel ora guarda è il Medioevo di Tommaso d’Aquino (contrapposto a Guglielmo d’Ockam, sorprendentemente presentato come predecessore di Nietzsche): la dottrina di Tommaso, letta attraverso l’interpretazione che ne fornisce Servais Pinckaers, piace a Weigel perché concilia legge e libertà. In effetti, il testo dell’Aquinate afferma che le leggi della civitas sono basate sull’esistenza di una legge naturale, attingibile dalla semplice ragione umana4: ma ciò significa anche che, nel riconoscimento della legge positiva da parte dell’uomo, la fede non è ancora chiamata in causa. Una sfumatura importante da rilevare, non ai fini della mera interpretazione di Tommaso, ma per tornare alla relazione tra politica e religione: quella che le opere di Weigel – il cui sottotitolo recita “Europa, America e politica senza Dio” – e di Quagliariello – che associa esplicitamente Chiesa e politica – suggeriscono di ripristinare.

Una religione civile non confessionale
Nella storia italiana dell’evo moderno, cattolicesimo e liberalismo si sono fronteggiati, prendendo le rispettive misure, fino a riconoscere la possibilità di un incontro oltre le tradizionali barriere. Quagliariello ricorda come, per definire i fautori di questa recente evoluzione, Pietro Scoppola non abbia esitato a evocare Charles Maurras. Esempio fuorviante, oltre che politicamente, anche storicamente; al contrario dell’ideologo dell’Action Française, prima cattolico poi ateo devoto, i teocon nostrani sono stati criticati proprio per essere passati dal razionalismo critico e dall’ateismo all’accettazione della proposta ratzingeriana di “vivere come se Dio esistesse”. Già che c’eravamo, sarebbe stato meglio ricordare la Konvertitenbewegung degli intellettuali tedeschi come Görres5, predecessore del neomedievalismo degli odierni comunitari. Purtroppo per i detrattori dei teocon, neppure questo paragone sarebbe granché utile, visto che, al contrario dei “convertiti”, i loro obiettivi polemici non hanno mai auspicato il ripristino del potere temporale ecclesiastico, nemmeno nella sua versione riveduta e aggiornata: la tanto temuta “ingerenza” nella vita pubblica italiana. Il contributo di questi originali laici sta invece nella proposizione di una nuova “religione civile non confessionale”, che non tocca la separazione tra Stato e Chiesa nella sfera temporale, ma allo stesso tempo intende rimuovere gli impedimenti alla cooperazione morale e politica tra le rispettive forze. Da questo punto di vista, la proposta di Quagliariello segna un passo in avanti sul terreno della maturità politica del nostro paese, abbandonando gli eccessi di un certo radicalismo laicista, pronto a riconoscere cittadinanza nell’agone politico a tutte le istanze, salvo che a quelle cattoliche. Si tratta del riflesso nella prassi civile della “cristofobia”, che nella sua versione estrema nega ogni possibilità di contribuzione civile e sociale a qualsiasi posizione religiosa. Come nel caso francese, una chiusura del genere cela il disagio di un liberalismo insicuro: malfermo sulle proprie gambe, ingeneroso nelle limitazioni effettive della libertà che fa mostra di voler difendere. Appaiono ben poco certi delle proprie ragioni, questi liberali che fanno appello alla tutela di diritti mai posti in discussione, che mettono in guardia ad ogni piè sospinto verso presunte minacce allo Stato laico, al libero pensiero, all’autodeterminazione dei popoli... Questa sorta di protezionismo politico infrange le norme della libera negoziazione civile almeno quanto le idee che, a suo dire, potrebbero metterla in pericolo. Negando l’accesso alla politica a una parte consistente delle motivazioni in gioco, finisce per sollevare il dubbio sulla legittimità di ogni altra istanza. Il risultato è un arroccamento progressivo su posizioni sempre più vacue e puramente formali, proprio come è accaduto nella vicenda costituente europea.
Procedendo per via esclusiva, non si può che giungere a una paralisi civile. D’altro canto, la via inclusiva, che apre le braccia ad ogni posizione – confessionale e non – in nome di una non meglio specificata tolleranza, approda ad esiti altrettanto incerti. Questa prospettiva ha mostrato i suoi limiti nel momento in cui alla vita civile si sono affacciate istanze potenzialmente confliggenti con le altre in gioco. Le regole stesse di questo gioco sono state poste in questione: non solo i criteri che legittimano gli attori a partecipare al confronto, ma il confronto stesso come metodo politico è apparso insufficiente. Così è stato con il tentativo di sovvertimento degli equilibri democratici da parte del fondamentalismo islamico; lo stesso principio agisce sul piano più immediato e tangibile della quotidiana convivenza, che testimonia anche in assenza di manifestazioni estremistiche la negazione dei diritti delle donne, la limitazione della libertà di culto, la restrizione della libertà di parola. Non si tratta di ignorare l’esistenza di una consistente quota di Islam “moderato”, ma di constatare che la sua presenza mitigatrice non coincide di per sé con il contributo attivo alla vita democratica e con il supporto fattivo ai suoi princìpi.
Se il radicalismo islamico scuote dalle fondamenta la negoziazione democratica, la proposta di una “religione civile non confessionale” sembra operare in senso uguale e contrario. Accolta a pieno titolo da un liberalismo maturo, rintraccia nella crisi di questo liberalismo i segni del relativismo e della secolarizzazione; e propone il ritorno a una fondazione positiva. Qui i valori cristiani non sono semplicemente una delle istanze in gioco: l’esigenza espressa dai teocon di accedere con pieno diritto al dibattito, ottenendo il medesimo riconoscimento degli altri attori, si accompagna a una proposta politica che denuncia l’insufficienza di questo dibattito, e lavora già in un’ottica ulteriore. In altre parole, la “religione civile” supera il concetto di negoziazione, che considera in ultima analisi foriera di germi potenzialmente dissolutori. In alternativa, indica la “comunità morale” come luogo della politica: non più uno scenario in cui i portatori di motivazioni e di interessi svariati si confrontano per giungere a una sintesi razionale, ma una collettività conchiusa, identificata dalla storia e dalla tradizione. La comunità così definita si confronta con comunità analoghe, le cui ragioni erano state sinora difficilmente considerate. Un esempio per tutti è quello delle reazioni seguite alla pubblicazione delle vignette danesi sul profeta Maometto. Pur nell’unanime condanna occidentale del fanatismo islamico e della sua sanguinosa risposta, si sono distinte voci autorevoli – tra cui il Pontefice e lo stesso presidente degli Stati Uniti – che hanno ribadito il monito a rispettare i simboli religiosi, indebitamente ridicolizzati dai vignettisti danesi. Una precisazione degna di nota, in un Occidente ormai abituato ad assistere alle ironie più disparate su crocefissi e stelle di Davide: molte delle quali più stridenti, anche all’orecchio dissacrato di noi occidentali, di quanto oggettivamente non fossero i disegni danesi.
Il rifiuto del fanatismo si accompagna alla presa di distanza dagli effetti della secolarizzazione: una minaccia fortemente avvertita, come Quagliariello ricorda, durante il papato di Giovanni Paolo II. L’insistenza sui valori cristiani come radici della tradizione occidentale, insomma, non intende soltanto costituire un argine al fondamentalismo, ma anche una possibile inversione di tendenza rispetto all’orientamento generale di una società indifferente alle ragioni del sacro.

Cristianesimo e liberalismo
Davvero bisogna guardarsi allo stesso modo da fondamentalismo e secolarizzazione? Davvero ritenere le vignette danesi nient’altro che disegnini ironici significa aver smarrito il senso del divino? Il tentativo di conciliare interessi e motivazioni politicamente rilevanti nasconde niente meno che il pericolo relativista? E infine, se si pongono come unico limite la ragionevolezza, il libero consenso e la considerazione degli individui, si finisce inevitabilmente per idolatrare la ragione illuminista? Queste domande tentano di rendere chiaro il rischio di identificare tout court gli esiti – talvolta discutibili – del processo democratico con il processo in sé. L’utilizzo non falsificabile di termini come “relativista”, “illuminista”, “secolarizzato” a questo proposito darebbe l’impressione di buttar via il bambino con l’acqua sporca, rischiando di lasciar cadere una parte altrettanto importante della stessa tradizione occidentale. Gli intellettuali peripatetici di Steiner, Guglielmo da Ockam, lo stesso Friedrich Nietzsche non possono essere espulsi dall’Occidente, nel momento in cui si restituisce all’Occidente l’eredità secolare del cristianesimo.
Aprire alla partecipazione cattolica nella vita politica – secondo la concezione che Quagliariello chiama “anglosassone” – non equivale a fondare la politica sulla fede – come nemmeno Tommaso d’Aquino, in ultima analisi, fece. La politica ha il dovere di fare i conti con la religione; ma, perché questo avvenga, è necessario anzitutto preservare il metodo della libera negoziazione tra tutti i soggetti. Lungi dal preludere a un bieco relativismo, questo metodo incarna la sostanza della politica, vista come sintesi razionale di volta in volta più elevata. Questa sintesi non può essere esclusiva: né in nome del formalismo laico, né in nome di istanze religiose e confessionali. Se nel primo caso si arriva alla vacuità e alla paralisi, nel secondo, come ammoniva Rousseau6, sarebbe la possibilità stessa della convivenza civile ad essere messa a rischio.
I cattolici in politica possono rafforzare la dinamica in cui la libertà, la ragionevolezza e la considerazione degli individui restano irrinunciabili: perché il cristianesimo stesso – intriso della razionalità e della personalità di un Dio liberamente creatore – ha contribuito a consolidare nella mentalità occidentale queste virtù. Fenomeni come la secolarizzazione, il relativismo, l’individualismo discendono in qualche modo dalle stesse virtù: farli coincidere con la dissacrazione, l’indifferentismo, l’egoismo significa al contrario avallare la posizione di chi li rivendica ad esclusivo uso laicista.
La politica liberale è negoziazione aperta tra portatori di interessi e di motivazioni disparate: l’unico limite all’inclusione dei vari attori dev’essere il riconoscimento della libertà, dell’individualità e della ragionevolezza come regole del gioco. Condividere questa definizione è importante per rafforzare la fiducia nella possibilità di raggiungere un accordo fattivo, e nel contempo escludere le istanze destabilizzatrici: le quali – più che partecipare al gioco – vorrebbero introdurre un gioco nuovo, in cui non è necessario essere razionali, liberi e attenti agli individui, ma è sufficiente professare una fede.

Note
1. G. Steiner, The Idea of Europe, tr. it. Una certa idea di Europa, Garzanti, Milano 2006.
2. C. A. Viano, Laici in ginocchio, Laterza, Bari 2006.
3. C. A. Viano, Va’ pensiero: il carattere della filosofia italiana contemporanea, Einaudi, Torino 1985.
4. Tommaso d’Aquino, La somma teologica, vol XII, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1991, pp. 90-109. Cfr. in particolare p. 92.
5. Johann Joseph von Görres (1776-1848), in gioventù entusiasta sostenitore della causa politica e ideale della Rivoluzione Francese, deluso da Napoleone finì per abbracciare la causa conservatrice, forte dell’adesione al cristianesimo in versione ultramontana.
6. «È impossibile vivere in pace con persone che riteniamo dannate» (J. J. Rousseau, Du contrat social, tr. it. Il contratto sociale, Mursia, Milano 1995, p. 132).

Paola Liberace, giornalista, laureata in Filosofia del linguaggio presso la Scuola Normale Superiore di Pisa.

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