













































































 Verso una sintesi non esclusiva
 
    Verso una sintesi non esclusiva La 
      cattedrale e il cubo di George Weigel e Cattolici, pacifisti, teocon di 
      Gaetano Quagliariello: opere diverse per spirito e per intenti. Weigel si 
      preoccupa, nel suo accorato pamphlet, del pericolo che incombe sull’Europa 
      travolta dalla secolarizzazione; Quagliariello ripercorre la storia dei 
      cattolici italiani e del loro rapporto con il liberalismo nell’ultimo 
      secolo. Eppure, il comune problema di fondo si situa al di sopra del territorio 
      italiano, europeo o statunitense, al di là della peculiare occasione 
      storica. In questione è l’identità occidentale: di una 
      civiltà generata dallo sviluppo secolare di una tradizione culturale, 
      religiosa e politica.
 
      La 
      cattedrale e il cubo di George Weigel e Cattolici, pacifisti, teocon di 
      Gaetano Quagliariello: opere diverse per spirito e per intenti. Weigel si 
      preoccupa, nel suo accorato pamphlet, del pericolo che incombe sull’Europa 
      travolta dalla secolarizzazione; Quagliariello ripercorre la storia dei 
      cattolici italiani e del loro rapporto con il liberalismo nell’ultimo 
      secolo. Eppure, il comune problema di fondo si situa al di sopra del territorio 
      italiano, europeo o statunitense, al di là della peculiare occasione 
      storica. In questione è l’identità occidentale: di una 
      civiltà generata dallo sviluppo secolare di una tradizione culturale, 
      religiosa e politica. 
      La politica e la religione, in particolare, detengono un ruolo strutturale. 
      Non così la cultura – sebbene venga più volte evocata, 
      ad esempio, da Weigel. La sua Europa appare molto lontana rispetto a quella 
      di George Steiner1, costellata di caffè pieni di poeti e metafisici, 
      ininterrottamente “camminata” da intellettuali in conversazione. 
      C’è qui indubbiamente una buona dose di quella che Quagliariello 
      definisce «la ricorrente pretesa degli intellettuali di possedere 
      il sale della terra», e dalla quale prende implicitamente le distanze; 
      la ragione più plausibile di questa diffidenza sta probabilmente 
      nella consapevolezza che i più accaniti sostenitori della causa laicista 
      si annoverano tra gli uomini di cultura. 
      In effetti, non pochi studiosi europei hanno vestito comodamente i panni 
      del cliché anticlericale: per restare all’Italia, basti pensare 
      a quello che di recente ha scritto Carlo Augusto Viano2. La ricostruzione 
      di Viano, insigne storico della filosofia, tradisce una buona dose di nostalgia 
      per la stagione aurea della secolarizzazione, identificabile all’incirca 
      con gli anni Settanta. Se è vero che la grande maggioranza degli 
      accademici (compresi i “pensierodebolisti” che lo stesso Viano 
      aveva stigmatizzato qualche tempo fa3) si riconoscerebbe in questa prospettiva, 
      tanto non basta a escludere l’ambito culturale dalla stessa domanda 
      di senso che investe la religione e la politica. In altre parole, senza 
      sposare le tesi elitiste di Steiner, vale la pena di considerare la cultura 
      per sé – non come un portato sovrastrutturale – e di 
      chiederle conto in quanto tale del futuro dell’Occidente. Viceversa, 
      si rischierebbe di consegnare gratuitamente gli strumenti intellettuali 
      e culturali – che Quagliariello e Weigel stessi utilizzano – 
      nelle mani di chi li ritiene esclusivo appannaggio del côté 
      anticlericale.
      
       Politica 
      senza Dio
 
      Politica 
      senza Dio
      Entrambe le opere auspicano che i valori depositati dalla tradizione cristiano-cattolica 
      tornino a improntare la vita civile e sociale, e ne propongono il recupero 
      anche e soprattutto nell’ambito politico. I due autori guardano nella 
      medesima direzione, come dimostra il comune richiamo alla vicenda costituzionale 
      europea. Oggi si può almeno sospettare che il mancato riferimento 
      alle radici cristiane dell’Europa nel preambolo della Costituzione 
      abbia impressionato l’immaginario collettivo in misura superiore alla 
      sua reale incidenza; eppure il braccio di ferro scosse a lungo l’opinione 
      pubblica. Il “duro giudizio” che Weigel mutua da Christopher 
      Dawson fa il paio con la ricostruzione di Quagliariello, che rileva come 
      la Chiesa abbia trovato spazio solo sul terreno del compromesso politico. 
      Una Costituzione “senza radici” ben si adatta all’Europa 
      che emargina Buttiglione, reo di aver espresso la sua opinione di credente 
      sull’omosessualità; la stessa Europa laicista e politically 
      correct che si crogiola nella “cristofobia” di cui parla Joseph 
      Weiler. A questa Europa individualista e dissacratoria Weigel oppone una 
      “comunità morale”, depositaria e garante di valori da 
      tramandare, per la quale il bene è tale non più come virtù 
      individuale, ma come pratica condivisa tra i suoi membri. Il modello immediato 
      sono da un lato gli Stati Uniti “comunitaristi” di George W. 
      Bush – che Quagliariello definisce “presidente per i teocon” 
      –; dall’altro la Polonia cattolica, sorretta nelle sue vicissitudini 
      storiche dalla fede e da una spiritualità gelosamente custodita.
      La religione – in particolare quella cristiana – come radice 
      vitale della comunità occidentale, così come già era 
      nel Medioevo: un’età non così buia, se è stata 
      capace di erigere la cattedrale di Notre Dame. Dietro lo sguardo estatico 
      dello statunitense Weigel su un monumento tanto mirabile c’è 
      un indirizzo preciso: il neomedievalismo, che in apparenza asseconda una 
      nostalgia un po’ naif, è lo strumento logico e storico per 
      prospettare una società in grado di produrre una vita migliore per 
      i suoi membri. Già punto di riferimento del dibattito nel secolo 
      XIX, il riferimento medievale era stato accantonato dal milieu intellettuale 
      del Novecento, che aveva invece privilegiato l’antichità classica. 
      Quello a cui Weigel ora guarda è il Medioevo di Tommaso d’Aquino 
      (contrapposto a Guglielmo d’Ockam, sorprendentemente presentato come 
      predecessore di Nietzsche): la dottrina di Tommaso, letta attraverso l’interpretazione 
      che ne fornisce Servais Pinckaers, piace a Weigel perché concilia 
      legge e libertà. In effetti, il testo dell’Aquinate afferma 
      che le leggi della civitas sono basate sull’esistenza di una legge 
      naturale, attingibile dalla semplice ragione umana4: ma ciò significa 
      anche che, nel riconoscimento della legge positiva da parte dell’uomo, 
      la fede non è ancora chiamata in causa. Una sfumatura importante 
      da rilevare, non ai fini della mera interpretazione di Tommaso, ma per tornare 
      alla relazione tra politica e religione: quella che le opere di Weigel – 
      il cui sottotitolo recita “Europa, America e politica senza Dio” 
      – e di Quagliariello – che associa esplicitamente Chiesa e politica 
      – suggeriscono di ripristinare.
      
       Una 
      religione civile non confessionale
 
      Una 
      religione civile non confessionale
      Nella storia italiana dell’evo moderno, cattolicesimo e liberalismo 
      si sono fronteggiati, prendendo le rispettive misure, fino a riconoscere 
      la possibilità di un incontro oltre le tradizionali barriere. Quagliariello 
      ricorda come, per definire i fautori di questa recente evoluzione, Pietro 
      Scoppola non abbia esitato a evocare Charles Maurras. Esempio fuorviante, 
      oltre che politicamente, anche storicamente; al contrario dell’ideologo 
      dell’Action Française, prima cattolico poi ateo devoto, i teocon 
      nostrani sono stati criticati proprio per essere passati dal razionalismo 
      critico e dall’ateismo all’accettazione della proposta ratzingeriana 
      di “vivere come se Dio esistesse”. Già che c’eravamo, 
      sarebbe stato meglio ricordare la Konvertitenbewegung degli intellettuali 
      tedeschi come Görres5, predecessore del neomedievalismo degli odierni 
      comunitari. Purtroppo per i detrattori dei teocon, neppure questo paragone 
      sarebbe granché utile, visto che, al contrario dei “convertiti”, 
      i loro obiettivi polemici non hanno mai auspicato il ripristino del potere 
      temporale ecclesiastico, nemmeno nella sua versione riveduta e aggiornata: 
      la tanto temuta “ingerenza” nella vita pubblica italiana. Il 
      contributo di questi originali laici sta invece nella proposizione di una 
      nuova “religione civile non confessionale”, che non tocca la 
      separazione tra Stato e Chiesa nella sfera temporale, ma allo stesso tempo 
      intende rimuovere gli impedimenti alla cooperazione morale e politica tra 
      le rispettive forze. Da questo punto di vista, la proposta di Quagliariello 
      segna un passo in avanti sul terreno della maturità politica del 
      nostro paese, abbandonando gli eccessi di un certo radicalismo laicista, 
      pronto a riconoscere cittadinanza nell’agone politico a tutte le istanze, 
      salvo che a quelle cattoliche. Si tratta del riflesso nella prassi civile 
      della “cristofobia”, che nella sua versione estrema nega ogni 
      possibilità di contribuzione civile e sociale a qualsiasi posizione 
      religiosa. Come nel caso francese, una chiusura del genere cela il disagio 
      di un liberalismo insicuro: malfermo sulle proprie gambe, ingeneroso nelle 
      limitazioni effettive della libertà che fa mostra di voler difendere. 
      Appaiono ben poco certi delle proprie ragioni, questi liberali che fanno 
      appello alla tutela di diritti mai posti in discussione, che mettono in 
      guardia ad ogni piè sospinto verso presunte minacce allo Stato laico, 
      al libero pensiero, all’autodeterminazione dei popoli... Questa sorta 
      di protezionismo politico infrange le norme della libera negoziazione civile 
      almeno quanto le idee che, a suo dire, potrebbero metterla in pericolo. 
      Negando l’accesso alla politica a una parte consistente delle motivazioni 
      in gioco, finisce per sollevare il dubbio sulla legittimità di ogni 
      altra istanza. Il risultato è un arroccamento progressivo su posizioni 
      sempre più vacue e puramente formali, proprio come è accaduto 
      nella vicenda costituente europea.
      Procedendo per via esclusiva, non si può che giungere a una paralisi 
      civile. D’altro canto, la via inclusiva, che apre le braccia ad ogni 
      posizione – confessionale e non – in nome di una non meglio 
      specificata tolleranza, approda ad esiti altrettanto incerti. Questa prospettiva 
      ha mostrato i suoi limiti nel momento in cui alla vita civile si sono affacciate 
      istanze potenzialmente confliggenti con le altre in gioco. Le regole stesse 
      di questo gioco sono state poste in questione: non solo i criteri che legittimano 
      gli attori a partecipare al confronto, ma il confronto stesso come metodo 
      politico è apparso insufficiente. Così è stato con 
      il tentativo di sovvertimento degli equilibri democratici da parte del fondamentalismo 
      islamico; lo stesso principio agisce sul piano più immediato e tangibile 
      della quotidiana convivenza, che testimonia anche in assenza di manifestazioni 
      estremistiche la negazione dei diritti delle donne, la limitazione della 
      libertà di culto, la restrizione della libertà di parola. 
      Non si tratta di ignorare l’esistenza di una consistente quota di 
      Islam “moderato”, ma di constatare che la sua presenza mitigatrice 
      non coincide di per sé con il contributo attivo alla vita democratica 
      e con il supporto fattivo ai suoi princìpi. 
      Se il radicalismo islamico scuote dalle fondamenta la negoziazione democratica, 
      la proposta di una “religione civile non confessionale” sembra 
      operare in senso uguale e contrario. Accolta a pieno titolo da un liberalismo 
      maturo, rintraccia nella crisi di questo liberalismo i segni del relativismo 
      e della secolarizzazione; e propone il ritorno a una fondazione positiva. 
      Qui i valori cristiani non sono semplicemente una delle istanze in gioco: 
      l’esigenza espressa dai teocon di accedere con pieno diritto al dibattito, 
      ottenendo il medesimo riconoscimento degli altri attori, si accompagna a 
      una proposta politica che denuncia l’insufficienza di questo dibattito, 
      e lavora già in un’ottica ulteriore. In altre parole, la “religione 
      civile” supera il concetto di negoziazione, che considera in ultima 
      analisi foriera di germi potenzialmente dissolutori. In alternativa, indica 
      la “comunità morale” come luogo della politica: non più 
      uno scenario in cui i portatori di motivazioni e di interessi svariati si 
      confrontano per giungere a una sintesi razionale, ma una collettività 
      conchiusa, identificata dalla storia e dalla tradizione. La comunità 
      così definita si confronta con comunità analoghe, le cui ragioni 
      erano state sinora difficilmente considerate. Un esempio per tutti è 
      quello delle reazioni seguite alla pubblicazione delle vignette danesi sul 
      profeta Maometto. Pur nell’unanime condanna occidentale del fanatismo 
      islamico e della sua sanguinosa risposta, si sono distinte voci autorevoli 
      – tra cui il Pontefice e lo stesso presidente degli Stati Uniti – 
      che hanno ribadito il monito a rispettare i simboli religiosi, indebitamente 
      ridicolizzati dai vignettisti danesi. Una precisazione degna di nota, in 
      un Occidente ormai abituato ad assistere alle ironie più disparate 
      su crocefissi e stelle di Davide: molte delle quali più stridenti, 
      anche all’orecchio dissacrato di noi occidentali, di quanto oggettivamente 
      non fossero i disegni danesi. 
      Il rifiuto del fanatismo si accompagna alla presa di distanza dagli effetti 
      della secolarizzazione: una minaccia fortemente avvertita, come Quagliariello 
      ricorda, durante il papato di Giovanni Paolo II. L’insistenza sui 
      valori cristiani come radici della tradizione occidentale, insomma, non 
      intende soltanto costituire un argine al fondamentalismo, ma anche una possibile 
      inversione di tendenza rispetto all’orientamento generale di una società 
      indifferente alle ragioni del sacro.
      
       Cristianesimo e liberalismo
 
      Cristianesimo e liberalismo
      Davvero bisogna guardarsi allo stesso modo da fondamentalismo e secolarizzazione? 
      Davvero ritenere le vignette danesi nient’altro che disegnini ironici 
      significa aver smarrito il senso del divino? Il tentativo di conciliare 
      interessi e motivazioni politicamente rilevanti nasconde niente meno che 
      il pericolo relativista? E infine, se si pongono come unico limite la ragionevolezza, 
      il libero consenso e la considerazione degli individui, si finisce inevitabilmente 
      per idolatrare la ragione illuminista? Queste domande tentano di rendere 
      chiaro il rischio di identificare tout court gli esiti – talvolta 
      discutibili – del processo democratico con il processo in sé. 
      L’utilizzo non falsificabile di termini come “relativista”, 
      “illuminista”, “secolarizzato” a questo proposito 
      darebbe l’impressione di buttar via il bambino con l’acqua sporca, 
      rischiando di lasciar cadere una parte altrettanto importante della stessa 
      tradizione occidentale. Gli intellettuali peripatetici di Steiner, Guglielmo 
      da Ockam, lo stesso Friedrich Nietzsche non possono essere espulsi dall’Occidente, 
      nel momento in cui si restituisce all’Occidente l’eredità 
      secolare del cristianesimo. 
      Aprire alla partecipazione cattolica nella vita politica – secondo 
      la concezione che Quagliariello chiama “anglosassone” – 
      non equivale a fondare la politica sulla fede – come nemmeno Tommaso 
      d’Aquino, in ultima analisi, fece. La politica ha il dovere di fare 
      i conti con la religione; ma, perché questo avvenga, è necessario 
      anzitutto preservare il metodo della libera negoziazione tra tutti i soggetti. 
      Lungi dal preludere a un bieco relativismo, questo metodo incarna la sostanza 
      della politica, vista come sintesi razionale di volta in volta più 
      elevata. Questa sintesi non può essere esclusiva: né in nome 
      del formalismo laico, né in nome di istanze religiose e confessionali. 
      Se nel primo caso si arriva alla vacuità e alla paralisi, nel secondo, 
      come ammoniva Rousseau6, sarebbe la possibilità stessa della convivenza 
      civile ad essere messa a rischio.
      I cattolici in politica possono rafforzare la dinamica in cui la libertà, 
      la ragionevolezza e la considerazione degli individui restano irrinunciabili: 
      perché il cristianesimo stesso – intriso della razionalità 
      e della personalità di un Dio liberamente creatore – ha contribuito 
      a consolidare nella mentalità occidentale queste virtù. Fenomeni 
      come la secolarizzazione, il relativismo, l’individualismo discendono 
      in qualche modo dalle stesse virtù: farli coincidere con la dissacrazione, 
      l’indifferentismo, l’egoismo significa al contrario avallare 
      la posizione di chi li rivendica ad esclusivo uso laicista. 
      La politica liberale è negoziazione aperta tra portatori di interessi 
      e di motivazioni disparate: l’unico limite all’inclusione dei 
      vari attori dev’essere il riconoscimento della libertà, dell’individualità 
      e della ragionevolezza come regole del gioco. Condividere questa definizione 
      è importante per rafforzare la fiducia nella possibilità di 
      raggiungere un accordo fattivo, e nel contempo escludere le istanze destabilizzatrici: 
      le quali – più che partecipare al gioco – vorrebbero 
      introdurre un gioco nuovo, in cui non è necessario essere razionali, 
      liberi e attenti agli individui, ma è sufficiente professare una 
      fede. 
      
Note
      1. G. Steiner, The Idea of Europe, tr. it. Una certa idea di Europa, Garzanti, 
      Milano 2006.
      2. C. A. Viano, Laici in ginocchio, Laterza, Bari 2006.
      3. C. A. Viano, Va’ pensiero: il carattere della filosofia italiana 
      contemporanea, Einaudi, Torino 1985.
      4. Tommaso d’Aquino, La somma teologica, vol XII, Edizioni Studio 
      Domenicano, Bologna 1991, pp. 90-109. Cfr. in particolare p. 92. 
      5. Johann Joseph von Görres (1776-1848), in gioventù entusiasta 
      sostenitore della causa politica e ideale della Rivoluzione Francese, deluso 
      da Napoleone finì per abbracciare la causa conservatrice, forte dell’adesione 
      al cristianesimo in versione ultramontana.
      6. «È impossibile vivere in pace con persone che riteniamo 
      dannate» (J. J. Rousseau, Du contrat social, tr. it. Il contratto 
      sociale, Mursia, Milano 1995, p. 132).
 Paola 
      Liberace, giornalista, laureata in Filosofia del linguaggio presso la Scuola 
      Normale Superiore di Pisa.
 Paola 
      Liberace, giornalista, laureata in Filosofia del linguaggio presso la Scuola 
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(c) 
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