













































































 «L'individuo prima di 
    tutto»
 
    «L'individuo prima di 
    tutto» I 
      libertarians americani non sono né di destra né di sinistra. 
      Li trovi all’estrema destra sui temi di politica economica, all’estrema 
      sinistra sui diritti civili. Pensate ad Antonio Martino e a Marco Pannella 
      riuniti in un’unica persona, anche se a differenza loro i libertari 
      non avrebbero mandato un soldato né speso un soldo per la democrazia 
      in Iraq. Sono liberisti come il premio Nobel Milton Friedman, provocatori 
      come Charles Murray (l’uomo che vuole abolire il welfare state e sostituirlo 
      con un assegno annuo da diecimila dollari per ogni americano maggiorenne), 
      dissacratori come Parker e Stone (i due creatori del cartone animato politicamente 
      scorretto South Park e del film Team America), editorialisti come John Tierney 
      (New York Times). I libertari criticano i repubblicani, snobbano i democratici, 
      detestano i neoconservatori. Esiste un minuscolo partito libertario, ma 
      non riesce mai a superare lo zero virgola. La voce dei libertari, però, 
      è presente nel dibattito politico grazie a una serie di giornali 
      e riviste, ma soprattutto grazie a un prestigioso think tank, il Cato Institute. 
      Centocinque dipendenti, un budget da 17 milioni di dollari annui, sedicimila 
      sottoscrittori e un splendido palazzotto con facciata di vetro al numero 
      1000 di Massachussetts Avenue a Washington. Ed Crane è il fondatore 
      nonché il presidente dell’Istituto dedicato a Catone.
 I 
      libertarians americani non sono né di destra né di sinistra. 
      Li trovi all’estrema destra sui temi di politica economica, all’estrema 
      sinistra sui diritti civili. Pensate ad Antonio Martino e a Marco Pannella 
      riuniti in un’unica persona, anche se a differenza loro i libertari 
      non avrebbero mandato un soldato né speso un soldo per la democrazia 
      in Iraq. Sono liberisti come il premio Nobel Milton Friedman, provocatori 
      come Charles Murray (l’uomo che vuole abolire il welfare state e sostituirlo 
      con un assegno annuo da diecimila dollari per ogni americano maggiorenne), 
      dissacratori come Parker e Stone (i due creatori del cartone animato politicamente 
      scorretto South Park e del film Team America), editorialisti come John Tierney 
      (New York Times). I libertari criticano i repubblicani, snobbano i democratici, 
      detestano i neoconservatori. Esiste un minuscolo partito libertario, ma 
      non riesce mai a superare lo zero virgola. La voce dei libertari, però, 
      è presente nel dibattito politico grazie a una serie di giornali 
      e riviste, ma soprattutto grazie a un prestigioso think tank, il Cato Institute. 
      Centocinque dipendenti, un budget da 17 milioni di dollari annui, sedicimila 
      sottoscrittori e un splendido palazzotto con facciata di vetro al numero 
      1000 di Massachussetts Avenue a Washington. Ed Crane è il fondatore 
      nonché il presidente dell’Istituto dedicato a Catone.
 Mister Ed Crane, che cos’è il Cato Institute?
 
      Mister Ed Crane, che cos’è il Cato Institute?
      Il Cato Institute è un’organizzazione di ricerca politica. 
      Ci occupiamo dell’intero spettro delle questioni politiche americane: 
      politica estera, politica economica, dottrina giuridica. Lo facciamo da 
      una classica prospettiva liberal-libertaria. 
 Qual è la differenza tra un libertario e un liberal?
 
      Qual è la differenza tra un libertario e un liberal?
      Negli Stati Uniti un libertario è paragonabile a chi in Europa è 
      un liberale tradizionale, mentre un liberal è chi sostiene che il 
      governo debba trovare le soluzioni a tutti i problemi. Io penso che il significato 
      tradizionale della parola liberale abbia a che fare con il rispetto per 
      l’individuo e la sua autonomia, nonché con il massimo possibile 
      di libertà individuale. La nostra filosofia è questa, tra 
      l’altro è quella su cui sono stati fondati gli Stati Uniti: 
      il rispetto per la dignità dell’individuo. I nostri precetti 
      politici sono tutti volti ad agevolare l’autocontrollo del cittadino 
      sulla propria vita – nella previdenza sociale, nell’assistenza 
      sanitaria, nell’istruzione. Noi pensiamo sia assiomatico che più 
      controllo della propria vita abbia un individuo, più dignitosa sarà 
      la sua esistenza. Cerchiamo di promuovere questo.
      
       Quindi lei, 
      da libertario, non è né un repubblicano né un conservatore, 
      né un liberal nel senso americano e neanche un democratico...
 Quindi lei, 
      da libertario, non è né un repubblicano né un conservatore, 
      né un liberal nel senso americano e neanche un democratico...
      Esatto. Noi non abbiamo un’affiliazione partitica. In generale, e 
      senza particolare accuratezza, si può dire che filosoficamente i 
      liberal sono più interessati alle libertà civili e sono più 
      scettici sul ruolo degli Stati Uniti come poliziotti del mondo. Ma i liberal 
      si oppongono anche al libero mercato capitalistico e, inoltre, sono molto 
      scettici sulla deregolamentazione del mercato. I conservatori sono l’esatto 
      opposto. Tendono a essere più restrittivi sulle questioni delle libertà 
      civili, tendono a favorire una politica estera avventurosa e imperialistica 
      e, apparentemente, sostengono il sistema della libera impresa. Noi libertari 
      siamo una combinazione di queste posizioni. Anche perché ci sarebbe 
      da discutere sul fatto che la sinistra sostenga veramente, come dovrebbe, 
      le libertà civili e che la destra si impegni realmente per salvaguardare 
      il sistema capitalistico. Sulla politica estera, il nostro punto di vista 
      è di grande scetticismo sul ruolo degli Stati Uniti come poliziotto 
      del mondo. Abbiamo un forte rispetto per le libertà: la libertà 
      di parola e tutto lo spettro delle questioni attinenti alle libertà 
      civili, ma abbiamo anche rispetto per le dinamiche capitalistiche di mercato 
      e per quelle del libero scambio. La nostra è una combinazione di 
      ideali che francamente né i repubblicani né i democratici 
      offrono. Io direi che un 25-30 per cento degli americani condivide questa 
      combinazione di punti di vista. 
 La politica estera di George W. Bush le piace?
 
      La politica estera di George W. Bush le piace?
      Noi siamo stati molto critici della politica estera del presidente. Ci siamo 
      opposti alla guerra in Iraq. A suo tempo siamo stati favorevoli all’intervento 
      in Afghanistan per dare la caccia ai talebani e a bin Laden, ma non abbiamo 
      mai capito la logica alla base dell’invasione irachena. Così 
      abbiamo detto con decisione che è stato un errore. 
 Lei ha già detto che non vi piace che gli americani assumano il ruolo 
      di poliziotti del mondo. È soltanto questo il motivo della vostra 
      contrarietà a Iraqi Freedom?
 
      Lei ha già detto che non vi piace che gli americani assumano il ruolo 
      di poliziotti del mondo. È soltanto questo il motivo della vostra 
      contrarietà a Iraqi Freedom?
      È vero... non c’erano prove fondate che Saddam Hussein avesse 
      le armi di distruzione di massa. Colin Powell ha mostrato alle Nazioni Unite 
      la foto di un camion con un cerchio disegnato attorno e una freccia puntata 
      dentro il cerchio. Non provava niente. Non sono stati verificati legami 
      effettivi tra Saddam e al Qaeda. L’intervento sarebbe stato giustificato 
      soltanto se ci fossero state prove inconfutabili, ma non c’erano. 
      L’impresa di ricostruire quella nazione ci lascia scettici. Pensiamo 
      sia già abbastanza difficile mantenere una società libera 
      qui in casa, figuriamoci in una cultura straniera che peraltro non conosciamo 
      affatto. Tutto questo tentativo di cambiare il regime iracheno è 
      stato pianificato male fin dall’inizio, e messo in pratica in modo 
      peggiore. Non c’era un piano su cosa fare davvero al momento della 
      caduta di Saddam. È stata una tragedia, un disastro. 
      
       Sull’Amministrazione 
      Bush, lei ha delle riserve anche per il modo in cui gestisce gli affari 
      interni?
 Sull’Amministrazione 
      Bush, lei ha delle riserve anche per il modo in cui gestisce gli affari 
      interni?
      Sì. Trovo che i neoconservatori come Bill Kristol e suo padre Irving, 
      o come David Brooks del New York Times, abbiano una visione politica che 
      ha influenzato troppo la Casa Bianca. Sono loro i responsabili di quella 
      che è stata una vera e propria assunzione da parte del potere federale 
      del controllo dell’istruzione pubblica americana. Tradizionalmente 
      il nostro sistema di istruzione è affidato alle amministrazioni locali, 
      ovvero ai singoli Stati. La gente di Bush, invece, ha rafforzato il ruolo 
      del Dipartimento dell’Istruzione, imponendo una quantità enorme 
      di regole a cui le scuole locali devono conformarsi. Inoltre hanno spinto 
      il governo a sovvenzionare le organizzazioni religiose, una commistione 
      che storicamente negli Stati Uniti non è stata mai permessa perché 
      c’è sempre stata una netta separazione tra religione e Stato. 
      Non posso non pensarci, specie quando osservo le nazioni teocratiche nel 
      mondo e le confronto con la saggezza del nostro approccio costituzionale… 
      Eppure Bush ha iniziato a smantellarlo. Del resto Bush è il più 
      grande spendaccione della storia moderna, peggio di Lyndon B. Johnson, il 
      quale governò durante la guerra in Vietnam e creò la Great 
      Society… scelte entrambe molto dannose per la nostra nazione. Bush 
      spende ancora più di Johnson. Credo che la mancanza di un certo approccio 
      filosofico verso il contenimento del governo centrale nonché non 
      particolarmente favorevole al mercato libero e all’iniziativa privata, 
      abbia finito per creare all’interno dell’Amministrazione un’atmosfera 
      in cui si pensa soltanto al potere. Questo genere di ambiente crea corruzione. 
      Tutto ciò ha effetti spaventosi sul partito repubblicano, come si 
      è visto ultimamente. 
      
       Irving Kristol 
      è famoso per aver detto: «Due urrà per il capitalismo», 
      soltanto due, non tre. Lei sostiene, dunque, che i neoconservatori sono 
      in un certo senso dei liberal, di sinistra, sulle politiche economiche e 
      sociali?
 Irving Kristol 
      è famoso per aver detto: «Due urrà per il capitalismo», 
      soltanto due, non tre. Lei sostiene, dunque, che i neoconservatori sono 
      in un certo senso dei liberal, di sinistra, sulle politiche economiche e 
      sociali?
      Forse non è chiaro cosa intendo io per liberale. Il grande liberale, 
      nonché premio Nobel Friedrich A. Hayek, ha scritto un famoso saggio 
      intitolato Perché non sono un conservatore. Lui non criticava lo 
      Stato minimo né il mercato libero. Hayek criticava chi, come i neoconservatori, 
      ancora oggi apertamente si vantano di voler favorire un governo forte e 
      nazionalistico, coloro che parlano di grandezza nazionale. Io credo che 
      vivere in una società libera significa già vivere in un paese 
      meraviglioso. Loro, invece, vogliono i grandi progetti: vogliono il canale 
      di Panama o il tunnel da Washington a Londra e non sono contenti finché 
      non c’è il grande sacrificio da imporre. Sul Weekly Standard, 
      la rivista del figlio, Irving Kristol ha scritto un articolo di critica 
      aperta a Barry Goldwater, uno dei più importanti sostenitori repubblicani 
      dello Stato minimo, uno che in America ha favorito veramente il ritorno 
      del conservatorismo. Kristol è stato molto critico nei confronti 
      di Goldwater e si è schierato con Franklin Delano Roosevelt, un presidente 
      che qui al Cato Institute vediamo come uno che ha realmente e apertamente 
      attaccato la Costituzione degli Stati Uniti, arrivando addirittura a minacciare 
      di aggiungere altri membri alla Corte Suprema, qualora questa non avesse 
      sostenuto le sue iniziative chiaramente extracostituzionali. I neoconservatori 
      sono per un governo sovradimensionato. Possiamo chiamarli conservatori o 
      liberali, certo non libertari. 
      
       Alla fine, di 
      quest’Amministrazione sono più le cose che non le piacciono 
      di quelle che le piacciono. Anche se immagino che un libertario comunque 
      approvi il taglio delle tasse…
 Alla fine, di 
      quest’Amministrazione sono più le cose che non le piacciono 
      di quelle che le piacciono. Anche se immagino che un libertario comunque 
      approvi il taglio delle tasse…
      Mi piacerebbero tagli maggiori alle tasse. Sono d’accordo con il premio 
      Nobel Milton Friedman, quando dice che le vere tasse sugli americani sono 
      le risorse prese dal settore privato e impiegate nel settore pubblico. Non 
      è importante sapere da dove vengono, possono essere tasse, prestiti 
      o inflazione. Sono, comunque, risorse tolte dal settore privato, il vero 
      peso sul contribuente americano. È questo il motivo per cui non siamo 
      per niente contenti di Bush. Bisogna tagliare la spesa pubblica, bisogna 
      abbassare le tasse indirette e va privatizzata la previdenza sociale. È 
      una cosa che Bush ha provato a fare. Era una buona idea. Del resto il Cato 
      Institute la propone da 25 anni. Bush ne ha parlato durante l’ultima 
      campagna elettorale, ma si è concentrato su problemi di facciata, 
      come la solvibilità, la restituzione dei crediti, il debito pubblico 
      e via dicendo. Non ha invece centrato il punto della questione, che è 
      quello dei conti privati di previdenza sociale trasformati in un vero e 
      proprio bene privato a disposizione di ogni singolo cittadino, da poter 
      essere trasmesso anche ai familiari. Credo che l’idea di poter cedere 
      questi crediti come se fossero dei beni privati, raccoglierebbe un grandissimo 
      consenso tra gli americani. Recentemente, infatti, c’è stato 
      un sondaggio secondo cui il 79 per cento degli americani è favorevole 
      a questa opzione. Quando quattro persone su cinque sono favorevoli a una 
      proposta, ma questa proposta poi è gestita così male al punto 
      da trasformarsi in un disastro politico, vuol dire che c’è 
      qualcosa che non va. Credo che il mito di Karl Rove come genio della politica 
      sia un’assurdità. Ha fatto un pessimo lavoro. Devo aggiungere, 
      però, che pur essendo così critico nei confronti dei repubblicani, 
      i democratici non hanno niente da offrire come alternativa. Tutto il loro 
      programma gira intorno all’assistenza sanitaria gratuita per tutti. 
      Ovviamente non ha senso parlare di assistenza sanitaria gratis. Prenda i 
      nostri amici del nord, in Canada. La loro Corte Suprema ha appena sancito 
      che il monopolio governativo sull’assistenza sanitaria non è 
      costituzionale. E quindi adesso hanno l’alternativa privata. Il programma 
      dei nostri democratici è questo: citano il sistema canadese prima 
      di questo cambiamento, e non hanno risposte su come finanziare l’assistenza 
      pubblica. Vogliono aumentare le regolamentazioni e inoltre imporre restrizioni 
      commerciali... In sostanza sono poco convincenti, secondo il punto di vista 
      libertario del Cato Institute. 
 Avete relazioni con analisti, politici e fondazioni libertarie europee?
 
      Avete relazioni con analisti, politici e fondazioni libertarie europee?
      Al Cato abbiamo un progetto sulla liberalizzazione economica globale, gestito 
      in costante contatto con una dozzina di centri di ricerca in tutto il mondo. 
      Certamente il principale think tank libertario europeo è l’Institute 
      for Economic Affairs di Londra. Ancora oggi è un punto di riferimento. 
      Margaret Thatcher l’ha consultato per molte delle sue riforme. Antonio 
      Martino è un nostro buon amico ed è membro della Mount Pelerin 
      Society, l’organizzazione internazionale che diffonde le idee del 
      liberalismo classico e quelle libertarie.
      
       Come si finanzia 
      il Cato Institute?
 Come si finanzia 
      il Cato Institute?
      Quest’anno abbiamo un budget che si aggira sui 17 milioni di dollari. 
      Approssimativamente l’80 per cento proviene da contributi individuali, 
      da parte di piccoli finanziatori. Riceviamo circa il 6 per cento da grandi 
      società e un 8 per cento da fondazioni. Il resto arriva dagli onorari 
      per le conferenze, per i libri e cose del genere. In prima istanza dipendiamo 
      da circa sedicimila singoli finanziatori sparsi in tutto il paese. La maggior 
      parte degli americani non sa che esistono fondazioni che studiano l’amministrazione 
      della cosa pubblica. Sono soltanto gruppi selezionati di persone che sostengono 
      queste iniziative. Lo fanno perché condividono la nostra filosofia. 
      E il Cato Institute è uno dei centri di ricerca più citati 
      d’America. 
      
       Quanta gente lavora 
      qui e che cosa fate di preciso? Producete libri, rapporti per il governo, 
      cos’altro?
 Quanta gente lavora 
      qui e che cosa fate di preciso? Producete libri, rapporti per il governo, 
      cos’altro?
      Abbiamo 105 impiegati a tempo pieno e pubblichiamo una dozzina di libri 
      all’anno, più 50 o 60 studi di ambito politico. Organizziamo 
      fino a 200 eventi tra seminari e conferenze. Produciamo una serie di audiocassette. 
      E poi c’è la Cato University per giovani che studiano le idee 
      che le ho appena esposto. Abbiamo molto da fare. Poche organizzazioni sono 
      produttive come il Cato, in termini di quantità di pubblicazioni 
      e di eventi organizzati. 
      
       Chi è 
      il suo uomo per le elezioni presidenziali del 2008?
 Chi è 
      il suo uomo per le elezioni presidenziali del 2008? 
      È un quadro sconfortante, dal mio punto di vista...
 Il favorito sembra il senatore John McCain, che cosa ne pensa?
 
      Il favorito sembra il senatore John McCain, che cosa ne pensa?
      Al Congresso John McCain è uno dei pochi disponibili a dire che la 
      spesa pubblica va tagliata. Ma poi vuole tagliare anche il dibattito politico, 
      avendo sostenuto la legge che regolamenta il finanziamento delle campagne 
      elettorali, una legge che limita la discussione politica. Io credo che il 
      primo emendamento, quello sulla libertà di parola, sia più 
      importante della questione delle spese elettorali. Io mi schiero sicuramente 
      contro John McCain. Ha anche una posizione molto ingenua sulla questione 
      del surriscaldamento terrestre. Mi piacerebbe piuttosto Mark Sanford, il 
      governatore della South Carolina, che ammiro molto. Oppure Mike Pence, deputato 
      dell’Indiana al Congresso. Penso che sarebbe un buon candidato alla 
      presidenza. Ma credo che nessuno dei due possa essere efficace elettoralmente. 
      Il Cato sostiene l’idea di porre dei limiti ai mandati parlamentari, 
      cioè che i membri del Congresso possano essere eletti al massimo 
      tre volte. Questa riforma eleverebbe la qualità dei membri del Congresso, 
      perché nessuno potrebbe fare il politico di professione. Ci sarebbe 
      un ricambio continuo e potrebbero venir fuori i Thomas Jefferson del futuro. 
      Oggi, per come funziona il Congresso, non c’è nessuno su cui 
      poter fare affidamento, a eccezione di Jeff Flake, Mike Pence, Paul Ryan. 
      
      
       Nessuno dei 
      quali si candida alle presidenziali del 2008…
 Nessuno dei 
      quali si candida alle presidenziali del 2008…
      È vero, non si candideranno. Ma c’è John Sununu, senatore 
      del New Hampshire. Credo sia una persona in gamba. Lui potrebbe candidarsi.
      
       Tutti i nomi 
      che ha fatto sono del partito repubblicano…
 Tutti i nomi 
      che ha fatto sono del partito repubblicano…
      Sì. Non conosco nessun democratico che potrei sostenere. Ma la stessa 
      cosa vale per la maggioranza dei repubblicani. Speriamo che nei prossimi 
      due anni salti fuori qualcuno che meriti il nostro sostegno, il sostegno 
      dei libertari.
    
       
       Edward H. Crane, fondatore e presidente del Cato Institute.
 
      Edward H. Crane, fondatore e presidente del Cato Institute. 
 Christian Rocca, giornalista e saggista, è inviato speciale de Il 
      Foglio.
 
      Christian Rocca, giornalista e saggista, è inviato speciale de Il 
      Foglio. 
      

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