Rubli e telepresidenti
di Paul Chaisty
Ideazione di maggio-giugno 2000

Anche un osservatore poco attento degli avvenimenti russi dell’ultimo decennio avrebbe difficoltà a negare che il denaro ha giocato, e continua a giocare, un ruolo fondamentale nel condizionare la vita politica in Russia. Si è molto discusso del fatto che Boris Yeltsin ha ottenuto la vittoria alle elezioni presidenziali del 1996 grazie al cospicuo sostegno finanziario e mediatico della ricchissima “oligarchia” bancaria. Sergei Mavrodi, l’imprenditore che sta dietro il fallito schema Mmm dell’investimento “a piramide”, ha vinto un’elezione per un seggio vacante dopo aver promesso di investire dieci milioni di dollari nel suo distretto elettorale. Corre anche voce che il governo russo paghi regolarmente i deputati per i loro voti. Questi esempi non rappresentano casi isolati. La ricchezza di Vladimir Zhirinovsky, a parole ultranazionalista e tuttavia vicino al regime, ha anche sollevato non pochi interrogativi. Date queste premesse, è evidente che il denaro conti nella politica russa: tutto sta nello stabilire in quale misura.

Il suicidio collettivo del partito-Stato sovietico nel fallito colpo di Stato dell’agosto 1991 ha aperto la strada alla trasformazione sistemica delle relazioni politiche ed economiche in Russia. Il governo di riformatori di Yeltsin, formato dopo il Colpo di Agosto, ha impiegato politiche radicali di shock therapy per spezzare quella commistione di potere politico ed economico cresciuta sotto l’ala protettiva del comunismo. Ma questo nuovo progetto di modernizzazione economica, insieme con l’impegno assunto di affossare le riforme democratiche intraprese da Gorbaciov, non ha avuto il successo sperato nel tentativo di rafforzare l’autonomia dello Stato dagli interessi economici, che comprendevano sia i dirigenti dei vecchi comparti industriali in decadenza sia le nuove élites, la cui ricchezza derivava dall’aver ottenuto il controllo dei settori maggiormente remunerativi della vecchia economia sovietica. L’industria sovietica, appoggiata da potenti sostenitori nelle istituzioni governative, ha continuato a drenare risorse dalle casse dello Stato: e il conseguente deficit è stato coperto solo in parte dalle banche private in cambio di garanzie da parte governativa, pagate ad alti interessi, e la cessione a prezzi di favore, da parte governativa, di partecipazioni azionarie nei redditizi settori minerale ed energetico dell’economica russa. I grandi profitti ottenuti da una piccola fetta dell’élite finanziaria russa, hanno spinto alcuni commentatori a descrivere l’emergente Stato russo alla stregua di una “oligarchia” di interessi finanziari.

Il concetto di oligarchia è emerso in conseguenza alla vittoriosa rielezione di Yeltsin nel 1996. Subito dopo queste elezioni, durante le quali si calcola che un gruppo di banchieri russi ha foraggiato con 140 milioni di dollari (Usd) la campagna elettorale di Yeltsin, fino a quel momento piuttosto fiacca, il ruolo politico degli “oligarchi” russi è stato formalizzato. Il numero uno di Oneksimbank, Vladimir Potanin, è stato fatto vice-Primo ministro con la delega alla politica economica, e il magnate del petrolio e dei media Boris Berezovsky è stato nominato Segretario aggiunto del Consiglio di sicurezza. Comunque sia, il potere politico formale degli “oligarchi” russi ha avuto vita breve. I contrasti che sono scoppiati tra Potanin e Berezovsky sulle rimanenti aste di privatizzazione si sono trasformati in uno scandalo di portata nazionale. Questo processo culminò nella cosiddetta “guerra delle banche”, quando gli oligarchi in conflitto tra loro, utilizzando i rispettivi canali mediatici, cominciarono ad attaccare a testa bassa il governo e a criticarsi tra di loro. Il tracollo economico dell’agosto 1998, e il collasso del sistema bancario russo, ha indebolito duramente il potere economico dell’élite finanziaria russa, e non a caso i successivi Primi ministri hanno tentato di legittimare la loro autorità proprio in opposizione all’oligarchia. Ma la pesante influenza di alcuni oligarchi, Berezovsky in particolare, continua ad essere avvertita. Nonostante gli sforzi di Vladimir Putin per prendere le distanze da Berezovsky, le sue obbligazioni nei confronti degli oligarchi continua a rimanere poco chiaro. Di recente è stato denunciato il fatto che il Cremlino abbia sostenuto Berezovsky e Roman Abramovich, un altro magnate del petrolio, nei loro ripetuti tentativi di acquisire una posizione di controllo nel redditizio settore dell’alluminio.

Il ruolo, palese e oscuro, e il peso di cui dispongono le élites economiche non è limitato ai soli rami del potere esecutivo dello Stato russo. Anche le nascenti istituzioni rappresentative russe appaiono offrire ottime possibilità ai “vincitori” della riforma di mercato di spendere la loro ricchezza economica nell’acquisto di potere politico. La debolezza delle istituzioni della società politica e civile russa, sommata alla loro limitata capacità di assicurare una competizione politica corretta e aperta, sembrerebbero poter garantire abbondanti opportunità ai candidati con una solida situazione finanziaria. La chance che viene offerta agli uomini d’affari russi di acquistare legittimazione popolare grazie alla detenzione di pubblici uffici, o di tutelare i propri interessi finanziando partiti politici e candidati individuali in Parlamento, si è dimostrata un’occasione allettante per le élites economiche emergenti. Detto in soldoni, le istituzioni elettive rappresentano anche uno strumento di sicurezza e protezione nel turbolento mondo della politica russa. L’immunità da ogni procedimento che i deputati ottengono quando sono in carica sembra aver influenzato non poco la scelta di Berezovsky e Abramovich di presentarsi al rinnovo del Parlamento russo nel 1999.

Questa propensione da parte delle élites economiche ad investire capitali in politica si palesa in tutta la sua evidenza in fase elettorale. Le elezioni in Russia attraggono una grande quantità di denaro, e sono divenute un settore di investimento estremamente remunerativo. Nelle elezioni parlamentari del 1999, si ritiene che il costo reale di una singola campagna di collegio sia stato di 500mila dollari per regione, salendo ulteriormente nelle zone più ricche (per contestualizzare meglio questo esempio, basti pensare che in questo periodo il salario medio mensile era di tre dollari). Nonostante i tentativi di regolare i finanziamenti elettorali, rimane un’ampia disparità tra il costo dichiarato e quello reale delle elezioni russe. Secondo alcuni osservatori, è probabile che le spese ufficiali dichiarate non superino un terzo delle somme realmente spese da candidati e partiti. Nelle elezioni parlamentari del 1993, i partiti nel loro insieme ufficialmente hanno sostenuto di aver speso 3,7 milioni di dollari, ma è stato accertato che l’esborso reale aveva superato i 15 milioni.

Partiti e candidati si sono rivelati molto abili nel nascondere le loro spese elettorali. La cosiddetta “cassa posteriore” (back cash) viene utilizzata per coprire la reale entità dei costi, e include il denaro per il pagamento degli staff, per i giornalisti che presentano in una luce favorevole il partito o il singolo candidato, e anche per le personalità famose “assoldate” per tutta la durata della campagna. Di conseguenza, esiste un’ampia diffusione della corruzione politica. Durante le elezioni parlamentari del 1995, ci sono stati casi di partiti che hanno impiegato ingenti somme per raccogliere – e pagare per – le firme necessarie per la registrazione. Sono stati anche riportati casi di candidati a cui sono state elargite notevoli quantità di denaro per ritirarsi dalla corsa elettorale. Inoltre, nelle recenti elezioni presidenziali, alcuni hanno sostenuto che il Cremlino abbia finanziato un governatore comunista perché si presentasse contro il candidato comunista ufficiale, in modo da dividere il voto comunista e garantire l’elezione di Putin al primo turno. Ad ogni modo, ci sono stati davvero pochi tentativi di perseguire giudizialmente i candidati o i partiti per le pratiche di corruzione. È come se esistesse una sorta di tacito accordo tra i politici per non denunciare i loro diretti contendenti. I tentativi di escludere dalla competizione i candidati, inoltre, si sono rivelati votati all’insuccesso. Nelle elezioni parlamentari del 1999, il partito Ldpr di Zhirinovsky è stato dichiarato squalificato dalla corsa elettorale, salvo poi ripresentarsi qualche giorno più tardi con la nuova denominazione di “Blocco di Zhirinovsky”.

Detto questo, comunque, c’è anche la tendenza a sovrastimare il potere del denaro di condizionare gli eventi politici in Russia. Se da un lato le consuetudini politiche russe, non ancora consolidate, offrono dei buoni canali per esercitare influenza a coloro che dispongono di possibilità economiche, dall’altro l’instabilità del mercato politico russo presenta anche un alto grado di incertezza. L’esperienza mostra una debole correlazione tra denaro e successo elettorale. Il Partito comunista, una delle formazioni politiche russe più povere, continua ad essere la macchina elettorale di maggior successo nelle elezioni parlamentari e regionali. Allo stesso modo, la proporzione di seggi guadagnati dai partiti appoggiati dal governo – “Russia’s Choice” (La scelta della Russia) e “Our Home Russia” (Nostra Casa Russia) – non è stata equivalente al loro considerevole investimento finanziario. Questo ha portato alcuni commentatori ad affermare che il denaro agisce sull’esito delle elezioni in misura molto minore che nelle nazioni occidentali. Tuttavia, il fatto che il Partito comunista non sia riuscito ad aggiudicarsi la carica più prestigiosa, la Presidenza, non può essere spiegato unicamente dall’analisi delle preferenze degli elettori russi. In Russia, le risorse statali contano di più che il potere del capitale.

Così come le nuove strutture finanziarie russe hanno le loro radici in reti di rapporti ereditati dal vecchio sistema, così l’evoluzione del potere politico continua ad appoggiarsi a ben rodati meccanismi di mobilitazione amministrativa. Un tale sistema di potere offre grandi vantaggi ai detentori delle cariche, e per gli outsiders, anche i più ricchi, si è rivelato estremamente difficile penetrare in un tale sistema. Il patetico esempio di quell’uomo di affari di S. Pietroburgo, che ha promesso di regalare 3 dollari e del cibo gratis ad ogni pensionato che avesse votato per lui, per poi ricevere solo il due per cento dei voti, è un caso divertente, ma non isolato. Pertanto, nelle democrazie parzialmente liberalizzate, delle quali fa parte la Russia, il potere politico di acquisto del denaro varia a seconda di chi lo detenga.

Nelle società dove si richiede ai politici di esaudire le richieste di benessere degli elettori e dove la compravendita di voti è un fatto consuetudinario, il potere dei candidati “uscenti” di indirizzare le politiche pubbliche verso scopi elettorali è una risorsa cruciale. L’attuale difficile situazione economica russa certamente limita le opportunità di un tale utilizzo dei fondi pubblici, ma comunque resta ancora un importante strumento di accaparramento dei voti. La ricerca ha mostrato una chiara correlazione tra gli incrementi di spesa pubblica nella fase finale di un’elezione e la crescita del sostegno per il candidato uscente. Nelle elezioni presidenziali, sia Eltsin che Putin hanno sfruttato, con grande risultato, gli incrementi nella spesa pubblica. I viaggi di Putin in Cecenia a ridosso delle recenti elezioni, e il suo dono di orologi, televisori e di certificati di proprietà di appartamenti alle truppe russe di stanza nella regione, hanno provocato lamentele di propaganda elettorale da parte dei suoi sfidanti, ma tutte le accuse sono state rigettate dalle autorità elettorali. Più significativo è l’appoggio finanziario che il governo ha ricevuto per sostenere questo genere di spese pubbliche. Gli influenti conglomerati russi dell’energia, e in particolar modo il potente fornitore di gas “Gazprom”, hanno recitato un ruolo fondamentale nel fornire credito al governo per sostenere gli aumenti di spesa sociale nel periodo immediatamente precedente le elezioni.

Al di là di ogni considerazione, però, è il potere di controllo sui media che probabilmente rimane la risorsa più significativa per condizionare gli esiti elettorali in Russia. In una nazione dove la possibilità di acceso ai media a stampa ed elettronici non è ripartito uniformemente, il fatto di poter controllare i due maggiori canali televisivi statali è un’arma fondamentale. La vittoria di Yeltsin nelle elezioni presidenziali del 1996 ha per prima cosa dimostrato il potere dei media; Vladimir Putin ha portato questa “arte” ad un livello ancora superiore. Nelle ultime elezioni parlamentari e presidenziali, i media a stampa ed elettronici, sia statali che privati, hanno assunto una linea smaccatamente favorevole a Putin. La copertura dei notiziari quotidiani sulle elezioni presidenziali sulla televisione statale di fatto l’ha trasformata in un canale televisivo di proprietà di Putin. Di fatto, il coverage di Putin, durante le presidenziali, è stato così costante che il Cremlino ha persino rinunciato ad usufruire dalla sua quota giornaliera di spazi televisivi liberi (aperti a tutti i candidati) e ha anche desistito dal fare uso di spot televisivi. La campagna di Putin, giudicata “virtuale” da alcuni commentatori, ha ridotto al minimo il dibattito e la campagna elettorale generale. Putin si è rifiutato di concedere interviste a compagnie televisive “private”; non è mai stato criticato per aver rifiutato di delineare il suo manifesto elettorale; ed è anche venuto meno alla partecipazione a dibattiti televisivi già programmati. Così come nelle elezioni parlamentari del 1999, le critiche più aspre si sono indirizzate ai principali oppositori del candidato del Cremlino.

Per questo, nonostante il vantaggio della posizione economica e le abbondanti spese in campagna elettorale, le élites economiche continuano a trovare difficoltà nel tentativo di stabilire un controllo del mondo politico attraverso il processo elettorale. La fluidità della situazione politica russa, e le disfunzioni dei meccanismi istituzionali, rendono molto incerta l’aspettativa di una ricompensa diretta dall’investimento di denaro in politica. Il denaro conta quando riesce a combinarsi con le risorse che lo Stato ha a sua disposizione. Gli esempi in cui i nuovi arrivati hanno sfidato con successo i detentori delle cariche per il controllo dell’esecutivo sono davvero pochi, mettendo così in luce anche la debolezza della società civile in Russia. Fino a quando il potere economico continuerà a fare affidamento sullo Stato per l’influenza politica ed economica, la competizione nel mercato politico resterà limitata. La campagna elettorale “virtuale” di Putin è solo l’ultimo di una catena di esempi. Nel lungo periodo rimane da vedere se le emergenti istituzioni democratiche russe possono consolidare, ottenere con la propria mediazione ed incoraggiare lo sviluppo di una competizione più ampia e diffusa nella società Russia.

traduzione di Angelo Mellone

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