| Congetture
    & ConfutazioniILLUSIONI FINANZIARIE
    E REALTA' ECONOMICHE
 di Arrigo Sadun
Chi
    volesse riconciliare in un unico quadro logico i comportamenti dei mercati
    finanziari e l’andamento della congiuntura economica, difficilmente
    potrebbe scegliere un momento meno propizio come quello offerto dalla
    situazione attuale. Naturalmente, non è la prima volta che si verificano
    andamenti contrastanti tra le Borse e l’economia reale; l’attuale
    ripiegamento di Wall Street proprio mentre l’economia americana continua a
    crescere a ritmi travolgenti è soltanto l’ultimo caso. Ma le maggiori
    perplessità derivano dalle contraddizioni evidenti all’interno stesso dei
    mercati finanziari. Così l’indebolimento delle Borse Usa non intacca la
    posizione di forza del dollaro, mentre in Europa il positivo andamento dei
    mercati stride con la debolezza cronica dell’Euro. Queste incongruenze
    assumono proporzioni grottesche nel caso dell’Italia; Piazza Affari si
    afferma come la Regina delle Borse europee, mentre l’economia italiana
    stenta a tenere il passo con il ritmo di sviluppo tutt’altro che
    travolgente dei paesi vicini. Difficoltà
    di crescita e problemi di tenuta dell’inflazione sono soltanto alcuni dei
    sintomi che confermano come l’Italia sia arrivata all’unione monetaria
    largamente impreparata. I positivi risultati dei mercati finanziari trovano
    spunto da circostanze particolari, (l’exploit dei titoli Internet, le
    attese di fusioni tra società, eccetera) ma non possono essere interpretati
    come una manifestazione di ottimismo generalizzato sulle prospettive della
    nostra economia. Ed in effetti i commentatori ufficiali sempre pronti a
    sottolineare ogni successo economico reale o presunto, si guardano bene da
    avanzare questa pretesa. Ovviamente, il buon andamento dei conti pubblici è
    motivo di legittima soddisfazione, ma non si può ignorare che è proprio
    l’accresciuto prelievo fiscale una delle cause principali della debole
    congiuntura. Analogamente, la riduzione dell’inflazione a livelli
    insperati è dovuta in gran parte al prolungato periodo di semirecessione
    che ha afflitto l’economia negli ultimi anni. La bassa crescita
    dell’Italia non è un fenomeno contingente, riconducibile alle
    fluttuazioni del ciclo economico o alle politiche di risanamento fiscale.
    Anzi, in circostanze normali, la ritrovata stabilità finanziaria avrebbe
    sicuramente innescato una vivace ripresa, che, del resto, era data per
    scontata dagli stessi responsabili della politica economica. Invece, né la
    riduzione dei tassi d’interesse, né la creazione di un più vasto mercato
    finanziario, né le opportunità offerte dall’avvento dell’euro sono
    state sufficienti a dischiudere all’Italia un nuovo periodo di benessere
    economico. La perdita di vitalità dell’economia italiana è evidente
    osservando i risultati conseguiti nel decennio appena concluso. La crescita
    del Pil dal 1990 al 1999 è stata del 1,3 per cento, rispetto al 2,4 per
    cento ed al 3,8 per cento dei due decenni precedenti. Il tradizionale
    vantaggio dell’Italia in termini di crescita si è trasformato quindi in
    un pesante ritardo nei confronti dei principali paesi europei. La situazione
    è ulteriormente aggravata da altri due primati negativi: una dinamica
    inflazionistica ben maggiore di quella degli altri paesi europei e
    l’elevato tasso disoccupazione.  Il
    malessere dell’economia italiana deriva, in gran parte, dal progressivo
    irrigidimento delle sue strutture socioeconomiche e dall’inerzia della
    politica economica. Mentre l’adesione all’euro ed il Patto di Stabilità
    hanno sancito il definitivo abbandono del tradizionale modello di sviluppo
    alimentato dall’espansione del deficit pubblico e da frequenti
    aggiustamenti del cambio, la strategia dello “sviluppo instabile” non è
    stata ancora rimpiazzata dalla visione di una crescita virtuosa, basata
    sulla liberalizzazione dell’economia e favorita da appropriate politiche
    supply-side, simili a quelle introdotte con successo da molti paesi
    anglosassoni. Invece di sfruttare l’occasione della ritrovata stabilità
    finanziaria per accelerare il processo il rinnovamento, l’Italia ha
    coltivato l’illusione che aderendo all’euro si sarebbe automaticamente
    avviata una nuova fase di benessere economico. Ovviamente, la realtà è ben
    diversa. L’inerzia politica impedisce all’Italia di beneficiare appieno
    delle opportunità offerte dall’Ume, che – anzi – rischiano di
    trasformarsi in altrettante insidie. L’euforia generale che ha
    accompagnato l’avvento dell’euro, ha messo in ombra gli aspetti meno
    positivi del nuovo regime monetario, tra cui la tendenza a distribuire i
    propri benefìci in maniera diseguale. C’è quindi il rischio che vengano
    rafforzati i dualismi tra regione e regione ed a livello microeconomico.
    L’abbattimento delle barriere monetarie favorisce l’integrazione dei
    mercati, accresce la concorrenza e quindi l’efficienza delle aziende e del
    sistema economico nel suo complesso. Tutto
    ciò naturalmente sarebbe ineccepibile se non fosse che spesso la libera
    concorrenza è distorta da fattori extraeconomici. Dal momento in cui
    l’Italia ha deciso di entrare nell’euro ad ogni costo, poco è stato
    fatto per rimuovere rigidità istituzionale e carenze strutturali che
    penalizzano fortemente la nostra economia. Non è un caso se, nonostante
    l’eliminazione del rischio valutario e l’abbattimento dei tassi
    d’interesse, l’Italia rimane agli ultimi posti per quanto riguarda la
    capacità di attirare investimenti esteri. Finché non verranno rimossi i
    fattori che ingessano la nostra economia è difficile ipotizzare una
    prospettiva di crescita sostenuta, nonostante la crescente euforia dei
    mercati finanziari. 
    (Ideazione Marzo-Aprile 2000) |  |