...











 

 

 

 

 

 

 







 

Feuilleton
IL POPULISMO ARCITALIANO
di Pietrangelo Buttafuoco

Vieni avanti cretino. Se si aggiunge l’esclamativo figurato, poi un punto ammirativo urlato, la proposizione spiega meglio di ogni altra didascalia l’essenza deflagrante del populismo eversivo. C’è sempre un cretino che deve venire avanti e quell’immagine su cui s’è formata la memoria televisiva – Walter Chiari e Carlo Campanini – dice tutto. Ci deve essere quello che ci fa e quello che ci è. E la dialettica della materialità culturale italiana – inzeppata sovente di incauti pigmalioni – è sempre stata una lotta tra quelli che hanno letto un sacco di libri e quelli che non la bevono, una guerra eterna tra i compassati custodi dell’impegno e gli eversori del tempo libero. Ultimamente la politica ha sfornato la più ridicola immagine per conto dei primi con il motto veltroniano di I care. Quello che si prende cura, quello che si preoccupa, quello che si macera. Tutto ciò nel tentativo ciucco di contrapporsi al fantastico “Me ne frego!” squadrista che, ovviamente, conteneva invece nella sua sublime trappola estetica, una perla morale, quella del “fregarsene di se stessi”. Praticamente quanto di meglio l’instinto a-borghese degli eretici potesse immaginare. Me ne frego della carriera, me ne frego del successo, me ne frego della pancia piena. La storia della materialità culturale italiana è imbrigliata in questa contraddanza d’incomunicabilità tra l’Italia di minoranza e quella della maggioranza ciaciona. 

Si sono sempre guardati in cagnesco gli stronzetti che mangiano tartufi in quel di Orvieto e gli incolpevoli sbafatori di vongole, perché l’unico odio praticabile infine è questo: minoranza contro maggioranza. Cappelli contro coppole, caporali contro uomini, sbirri contro delinquenti, antitaliano contro italiani. E bisogna pur dirlo che la minoranza, in Italia, specificatamente identificata in quella dizione “liberalradicale” è stata da sempre, moralmente disgustosa. Venefica poi, nella sua dialettica della cooptazione. Quell’allargarsi ma non troppo nell’aprire le porte dei propri templi ai parvenu. E infatti l’italiano medio – parvenu per eccellenza – quando non si redime nella felicità delle vongole, è pavloviano, vive di riflessi condizionati. Massimo Gramellini, giornalista de La Stampa, una delle scritture più forti dell’Italia moderna, è stato l’autore di due libri apparentemente opposti, già alloggiati nella nostra memoria che possono offrire un ottimo esempio del marketing delle opinioni correnti. Il primo, quello “contro” Berlusconi, è stato un libro che ha venduto moltissimo, l’altro, dal titolo Compagni d’Italia, un delizioso viaggio nelle obbedienze, e quindi “contro” la sinistra, ha venduto poco. Forse perché il pubblico moderato è numericamente inferiore o meno alfabetizzato? Oppure il pubblico moderato è bestia? Non precisamente, non c’è neppure ombra di persecuzione, di censura, o di consorterie accademiche. E’ solo una questione di abitudini e di vizi del linguaggio. Ma le risorse simboliche italiane sono stravaganti, perciò Totò inventò il refrain politico del “e poi dice che uno si butta a sinistra”. 

L’anima profonda dell’Italia è conformista: vive di sottrazioni iconiche e di rispettose esclusioni. Quando l’italiano digerisce le vongole, diventa subito di sinistra. E resisteranno per sempre un’Italia e un’altra Italia da nascondere nei recessi dell’imprensentabilità sociale. Ma il vongolista, eroe strapaesano che si sottrae alle lusinghe dell’Italia di minoranza, resta disobbediente, e non si adegua a ciò che le centrali del bon ton sedicente “giacobino” impongono di fare. Durante una telefonata della scorsa estate con Pierluigi Battista, siamo riusciti a elaborare una teoria della vongola politicamente scorretta. Questa: “Non si accettano i consigli dell’Espresso sulle vacanze intelligenti”. L’italiano alle vongole, per dire, sgama subito le sòle. Ancora prima di Paolo Villaggio, sapeva perfettamente che La corazzata Potëmkim fosse solo «una cagata pazzesca».  Arriva prima nel frattempo che gli antitaliani devono invece aspettare vent’anni e Fabio Fazio per scoprire Claudio Baglioni, Orietta Berti e i Cugini di Campagna. Come dire? Il vongolista – se riesce a mantenersi tale – anticipa Scalfari. Il vongolista arriva sempre un minuto prima degli intellettuali. Nel momento del riflusso, era già bello che rifluito; sacrosantista dei cazzi propri, non ha aspettato che arrivasse il garante della privacy per imparare a farsi i cazzi propri. Non ha bisogno di ingurgitare tisane new age né borbottare mantra buddisti, perché il vongolista hard, diciamolo: va a messa la domenica. Confessa di non aver mai letto Il Mondo di Pannunzio e quando qualcuno lo rimprovera per questo suo vizio di strafogarsi sempre con le vongole, sbigottito si chiede: «Perché no, le vongole?». Ma esisterà ancora un’Italia e un’altra Italia perché lo stesso italiano medio, colto e moderato, non riesce a sfuggire a questa legge inesorabile della catalogazione politicamente corretta, tanto da aver fatto dogma del complesso d’inferiorità nei confronti della sinistra per cui – anche a non essercene bisogno – qualsiasi cosa che non venga dal battesimo glamour è meno che cacca. 

L’italiano medio, mediamente colto e mediamente moderato, nuota dentro questo inghippo di pregiudizio automatico e coatto (nel senso della coazione). Paradossalmente dunque, è stato proprio il populismo populista a fornire l’arma di autodifesa della libertà intellettuale. Quando il barone Luigi Compagna, si ritrovò a comiziare con Massimo Abbatangelo, pensò che qualcosa del mondo era definitivamente cambiato, non tanto per ritrovarsi insieme con un “fascista”, ma quanto per ciò che pendeva dal taurino collo del collega oratore, nientemeno che una cravatta di Marinella. Il segnale sbrigativo di un qualcosa che era andato avanti velocemente. Un segnale tutto da ridere. Quello che oggi viene identificato con il trash, era ieri adottato nel principio dell’avanspettacolo: “Solo la miseria fa ammazzare dal ridere”. Il ridere eversivo. Ciccio che dice a Franco: «Facciamo attenzione ché ci possono accusare di intelligenza con il nemico». Franco che risponde: «Ciccio, a noi d’intelligenza non ci potrà mai accusare nessuno». Ne I due mafiosi c’è un dialogo da manuale. Arrivano in un night per assaporare una notte tutta parigina, un cameriere rivolgendosi a Franco Franchi gli dice: «Qu’est ce que tu fais?». Franco non capisce: «Che schifìo disse?». E l’altro: «Parlez vous français?». Spavalda la risposta del palermitano: «Ja!». «Ma no, monsieur, questo è tedesco». Felicissimo, Franco rivela all’amico: «Ciccio, due lingue parlo!». Quest’ultima parabola serve a dimostrare che ogni volta che si dice: «Vieni avanti cretino», si ride.

(Ideazione Marzo-Aprile 2000)