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    craxismoDICIASSETTE ANNI
    DELLA NOSTRA STORIA
 di Antonio
    Carioti
Quando
    Bettino Craxi viene eletto segretario del Partito socialista,
    l’avvenimento non appare certo di quelli destinati a lasciare il segno
    nella storia. Nessuno immagina che per oltre un quindicennio l’agenda
    politica verrà dettata a via del Corso e che i due giganti democristiano e
    comunista subiranno a lungo il dinamismo del Psi. Altrettanto inaspettato
    sarà poi il tramonto di Craxi, consumato nel giro di pochi mesi sotto la
    spinta delle inchieste giudiziarie, in un clima di radicale insofferenza
    verso la classe politica. Dopo avere a lungo auspicato l’avvento della
    Seconda Repubblica, il leader socialista ne sarà così la vittima
    sacrificale, fino a divenirne, dal suo rifugio di Hammamet, l’implacabile
    cattiva coscienza. 1976
    – Mai più subalterni. Al Congresso del Psi, in marzo, si parla di
    alternativa di sinistra e transizione al socialismo. E alle elezioni
    politiche del 20 giugno il segretario Francesco De Martino si presenta
    proclamando che il suo partito non entrerà in nessun governo che non
    comprenda anche il Pci. L’esito è deprimente: il Psi, con il 9,6 per
    cento, non guadagna nulla rispetto al 1972, anzi perde sulle amministrative
    del 1975, mentre Botteghe Oscure capitalizza per intero il netto spostamento
    a sinistra della società italiana. Ormai ci sono quasi tre voti comunisti e
    mezzo per ogni voto socialista. E tutti sono convinti che il destino
    dell’Italia si decida sull’asse Dc-Pci. Il Psi, in crisi d’identità e
    profondamente diviso, vive giorni difficili. Craxi, leader degli autonomisti
    nenniani più propensi a prendere le distanze dai comunisti, viene eletto
    segretario in luglio, all’hotel Midas di Roma, da uno schieramento
    composito, comprendente la sinistra lombardiana di Claudio Signorile, la
    corrente di Giacomo Mancini, il gruppo di Enrico Manca che ha rotto con De
    Martino. Più che un’alleanza politica, è un patto generazionale tra
    quarantenni che vogliono mettere da parte i notabili più anziani. Sembrano
    esserci tutte le premesse per una segreteria debole. Invece il nuovo leader
    mostra subito un’energia e un’aggressività notevoli. Lungi dal farsi
    ingabbiare nel quadro della politica di solidarietà nazionale, fondata
    sull’accordo tra Dc e Pci, si adopera da subito per romperne la morsa e
    affermare una presenza più incisiva del suo partito. Lo fa sul terreno
    culturale, soprattutto grazie all’opera della rivista Mondoperaio, diretta
    da Federico Coen. Ma anche sul piano del potere: in settembre i socialisti
    conquistano la guida della Uil, con Giorgio Benvenuto. 1977
    – Lotta su due fronti. Mentre la strategia dell’unità nazionale
    incontra difficoltà crescenti, Craxi rilancia la competizione a sinistra su
    due versanti. Da una parte i socialisti non esitano a dialogare con l’area
    dell’extraparlamentarismo giovanile, che sfida nelle piazze il Pci di
    Enrico Berlinguer. Dall’altra rinfacciano ai comunisti, che in Italia si
    ergono a garanti della democrazia, il loro rapporto privilegiato con il
    sistema totalitario sovietico. In novembre è un uomo molto vicino a Craxi,
    Carlo Ripa di Meana, che organizza a Venezia la Biennale del dissenso, assai
    sgradita a Botteghe Oscure. Sempre in autunno viene elaborato il “Progetto
    socialista”, opera soprattutto di Giorgio Ruffolo, che presenta forti
    connotati utopistici e autogestionari. A via del Corso intanto si forma un
    asse tra Craxi e Signorile, che tengono saldamente in pugno le redini del
    partito. 1978
    – Da Moro a Proudhon. Il Congresso di Torino del Psi, nel marzo del 1978,
    conferma la linea dell’alternativa di sinistra, contrapposta al
    compromesso storico berlingueriano. Pochi giorni prima le Brigate rosse
    hanno sequestrato Aldo Moro e i socialisti non nascondono i loro dubbi sulla
    linea del rifiuto di ogni dialogo con i terroristi. Craxi viene allo
    scoperto il mese dopo, proponendo un’iniziativa umanitaria per salvare la
    vita del leader rapito. Nei fatti il suo obiettivo è indebolire l’accordo
    di solidarietà nazionale, che ha visto il Pci passare dalla “non
    sfiducia” all’appoggio pieno nei riguardi del monocolore guidato da
    Giulio Andreotti. Si apre così un’aspra polemica tra “partito della
    trattativa” e “fronte della fermezza”, che in parte prefigura il
    conflitto fra schieramenti trasversali del decennio successivo: da una parte
    socialisti, radicali e correnti più moderate della Dc; dall’altra Pci,
    Pri e sinistra democristiana, con il patrocinio di Eugenio Scalfari. Dopo
    l’assassinio di Aldo Moro e le dimissioni di Giovanni Leone dalla
    presidenza della Repubblica, Craxi avvia un’iniziativa martellante per
    portare un socialista al Quirinale. L’operazione ha successo, ma il nome
    di Sandro Pertini, contrario alla linea della trattativa durante il “caso
    Moro”, non è certamente il più gradito al leader del Psi. Nell’estate
    del 1978 l’offensiva di Craxi contro il Pci si sposta sul piano
    ideologico, con un saggio sull’Espresso che critica aspramente Lenin e
    rivaluta il pensatore anarco-federalista Pierre-Joseph Proudhon. Berlinguer
    risponde stizzito, al Festival dell’Unità, riaffermando la validità
    della tradizione comunista. E’ evidente che Craxi sta compiendo una Bad
    Godesberg in versione italiana: vuole agganciare il Psi alle
    socialdemocrazie europee, svincolandolo dal marxismo. Ha anche cambiato il
    simbolo del partito, inserendo un vistoso garofano rosso che sovrasta falce,
    martello e libro. 1979
    – Il primo incarico. Il declino della maggioranza di unità nazionale
    è visto con sommo piacere a via del Corso, anche se il Psi continua
    formalmente a sostenerla durante la crisi che porta alla caduta del quarto
    governo Andreotti, all’inizio del 1979. Si va alle elezioni e Craxi
    promette che i socialisti si faranno garanti della governabilità: è un
    segnale chiaro della sua disponibilità a tornare nell’esecutivo anche se
    il Pci rimanesse all’opposizione. Ma gli elettori non lo premiano: il Psi
    guadagna una miseria e resta sotto il 10 per cento, mentre i voti persi dal
    Pci vanno soprattutto ai radicali. Ciò nonostante Pertini, dopo un
    tentativo di Andreotti stoppato dai socialisti, conferisce l’incarico di
    formare il governo proprio a Craxi: è la prima volta per un esponente del
    Psi. Ma la Dc, eccezion fatta per Arnaldo Forlani, fa muro contro questa
    ipotesi. Craxi rinuncia, silura un tentativo di Filippo Maria Pandolfi e
    alla fine consente che a Palazzo Chigi vada Francesco Cossiga, alla guida di
    una compagine molto debole. Il Psi non ha più complessi verso i comunisti,
    ma intende farsi valere anche nei confronti della Dc. Craxi non consentirà
    mai la nascita di un governo forte a guida democristiana: se piazza del Gesù
    vuole un esecutivo solido, deve accettare che a presiederlo sia un
    socialista. Nel settembre successivo Craxi lancia una delle idee guida che
    caratterizzeranno la sua politica. In un articolo sull’Avanti!, quotidiano
    del Psi, auspica una Grande Riforma delle istituzioni, che comprenda anche
    modifiche alla Costituzione repubblicana. Per il momento la proposta ha
    contorni vaghi, ma è comunque la rottura di un tabù, che gli procura molte
    diffidenze e altrettante simpatie. A dicembre i socialisti votano a favore
    della decisione Nato di installare missili nucleari a medio raggio in
    Europa, per controbilanciare gli Ss 20 sovietici: è una scelta che
    accredita il Psi presso gli alleati americani. 1980
    – Ritorno al governo. All’inizio dell’anno si consuma la resa dei
    conti all’interno del Psi, in un clima reso torbido dallo scandalo
    Eni-Petromin. La sinistra del vicesegretario Signorile, fiancheggiata da
    intellettuali come Giuliano Amato, cerca di spodestare Craxi, ma fallisce.
    Dopo un effimero compromesso, con l’insediamento di Riccardo Lombardi alla
    presidenza del Psi, il passaggio di Gianni De Michelis tra le file craxiane
    decide la disputa in favore del segretario, che da questo momento acquista
    un ferreo controllo sul partito. Intanto al Congresso democristiano del
    febbraio 1980 ha vinto la linea del “preambolo”, contraria a qualsiasi
    riedizione dell’accordo con i comunisti. Ci sono tutti i presupposti per
    il ritorno del Psi nell’esecutivo, che avviene in aprile con il secondo
    governo Cossiga. Affondato quest’ultimo dai franchi tiratori, toccherà al
    governo Forlani, altrettanto precario. Negli ultimi giorni dell’anno il
    presidente del Pri Bruno Visentini propone di formare un esecutivo
    svincolato dai partiti, a forte impronta tecnocratica. Craxi lo attacca
    violentemente, come rappresentante di una minacciosa “nuova destra”. Nel
    frattempo le Br rapiscono il magistrato Giovanni D’Urso e si riapre la
    contesa tra il partito della trattativa e quello della fermezza. I
    socialisti impongono la chiusura del penitenziario dell’Asinara, mentre i
    comunicati dei terroristi sono pubblicati su diverse testate, compreso
    l’Avanti!. Soddisfatti, i brigatisti liberano D’Urso il 15 gennaio 1981. 1981
    – P2 e alternanza laica. Il Congresso del Psi di Palermo, in aprile,
    consacra Craxi come leader incontrastato, che per la prima volta viene
    eletto segretario direttamente dai delegati. Intanto scoppia lo scandalo P2,
    che travolge Forlani e determina una svolta importante, con l’arrivo di un
    laico, il repubblicano Giovanni Spadolini, alla presidenza del Consiglio.
    Craxi, da tempo in aspra polemica con Andreotti, afferma che dietro il
    Belfagor Licio Gelli, capo della P2, dev’esserci un assai più importante
    Belzebù. Ma il leader del Psi non è tenero neppure con i magistrati
    milanesi, che hanno scoperto le liste della loggia e hanno fatto arrestare
    il banchiere Roberto Calvi: li critica pesantemente alla Camera, durante il
    dibattito sulla fiducia al governo. Comincia così il lungo conflitto tra
    socialisti e potere giudiziario. Craxi è convinto che alcuni settori
    politicizzati della magistratura, vicini al Pci, intendano colpirlo con
    inchieste mirate contro il Psi. 1982
    – Lo sfidante irpino. In maggio la Dc elegge segretario Ciriaco De Mita,
    con il chiaro mandato di restaurare l’egemonia di piazza del Gesù, messa
    in dubbio dalle iniziative di Craxi. Si avvia un duello, tra il leader
    lombardo e quello irpino, che durerà parecchi anni e rende subito precaria
    la vita del governo Spadolini. Alla Grande Riforma di Craxi, che si
    concretizza nella proposta di elezione diretta del presidente della
    Repubblica, De Mita contrappone un’ipotesi di riforma elettorale basata su
    accordi di coalizione prima del voto e premio di maggioranza allo
    schieramento vincente. Le tensioni crescono nel corso dell’anno, fino a
    culminare in autunno nella “lite delle comari”, un pittoresco scambio
    d’invettive tra il ministro del Tesoro democristiano Nino Andreatta e il
    ministro delle Finanze socialista Rino Formica. Spadolini esce di scena e
    nasce un effimero governo guidato da Amintore Fanfani. Un altro evento
    significativo del 1982 è la posizione assunta da Craxi sulla crisi delle
    Falkland, quando impone all’esecutivo di dissociarsi dall’embargo deciso
    dalla Comunità Europea contro l’Argentina. E’ uno schiaffo alla Gran
    Bretagna di Margaret Thatcher, in guerra con Buenos Aires. E dimostra che il
    segretario del Psi, pur avendo compiuto una chiara scelta occidentale, è
    portatore di una concezione dinamica della politica estera italiana. Se gli
    interessi del paese sono in gioco, pensa Craxi, non bisogna esitare a
    prendere le distanze dagli alleati della Nato. 1983
    – Un socialista a Palazzo Chigi. L’anno si apre all’insegna del
    dialogo a sinistra. In marzo Craxi s’incontra con Berlinguer e i rapporti
    tra Pci e Psi sembrano avviarsi verso una fase di distensione. Poi via del
    Corso dichiara esaurita l’esperienza del governo Fanfani. Si va alle urne
    in un clima di riscossa democristiana, con De Mita che innalza lo slogan
    “decidi Dc”, mentre il suo vice Roberto Mazzotta lancia l’idea di una
    maggioranza neocentrista, con il Psi ricacciato all’opposizione. Craxi
    appare sulla difensiva, anche per via delle inchieste sulla corruzione che
    coinvolgono parecchi dirigenti socialisti (Biffi Gentili a Torino, Teardo a
    Savona) e suscitano la furibonda reazione di via del Corso contro i
    magistrati. Alla vigilia del voto il leader del Psi propone allo Scudo
    crociato un patto di governo triennale, dicendosi disposto ad assumere la
    guida dell’esecutivo. Ma piazza del Gesù, convinta di andare verso un
    grande successo, fa orecchie da mercante. Invece gli elettori puniscono
    severamente la Dc, che scende dal 38,2 al 32,9 per cento. E Craxi, che pure
    ha guadagnato appena l’1,6, si ritrova spianata la via per Palazzo Chigi.
    Forma un governo solido, con ministri autorevoli, la cui mente giuridica è
    il sottosegretario alla presidenza Amato, che si è nel frattempo
    riconciliato con il leader del Garofano. 1984
    – Scontro a sinistra. Da tempo il Pci esercitava una sorta di diritto di
    veto in materia economica: nessuna misura di rilievo poteva passare senza il
    suo avallo. E’ una logica che Craxi decide di rompere con un piglio che
    viene definito “decisionista”. Quando Berlinguer costringe la Cgil di
    Luciano Lama a rifiutare di sottoscrivere un accordo sul costo del lavoro
    approvato dalla Cisl e dalla Uil, il governo emana un decreto che ne
    recepisce il contenuto e taglia alcuni punti di scala mobile, il meccanismo
    di adeguamento automatico dei salari all’inflazione. L’urto è frontale.
    Il Pci mobilita le piazze, fa ostruzionismo in Parlamento. Ma anche i
    socialisti sono galvanizzati dalla battaglia. Al Congresso del Psi di
    Verona, in maggio, Berlinguer viene accolto da sonore salve di fischi. Alla
    fine il provvedimento passa, sia pure modificato, ma il Pci, anche grazie
    all’emozione suscitata dalla morte improvvisa del suo segretario, sorpassa
    la Dc alle elezioni europee. Inoltre promuove un referendum per abrogare il
    decreto sul costo del lavoro. Craxi intanto non resta con le mani in mano.
    Firma con la Chiesa cattolica un Concordato che sostituisce quello del 1929.
    Conduce in porto le misure elaborate dal ministro delle Finanze Visentini
    contro l’evasione fiscale, malgrado le forti proteste dei lavoratori
    autonomi. Rimedia alle ordinanze dei pretori che oscurano le emittenti
    private di Silvio Berlusconi, con un decreto che sancisce per la prima volta
    il pluralismo televisivo. Più volte il governo viene battuto nelle
    votazioni a scrutinio segreto, ma il premier non se ne cura e va avanti per
    la sua strada. 1985
    – Quella notte a Sigonella. E’ l’anno dell’apoteosi di Craxi.
    Prima alle amministrative il Psi guadagna parecchi voti, mentre il Pci
    subisce una cocente sconfitta. Poi il capo del governo si gioca tutto alla
    vigilia del referendum sulla scala mobile, dichiarando che si dimetterà in
    caso di vittoria del Sì. L’elettorato lo premia, respingendo la proposta
    di abrogazione avanzata dai comunisti. Il diritto di veto di Botteghe Oscure
    è polverizzato, l’Italia moderata trova in Craxi un leader in cui
    riconoscersi. In autunno il premier deve affrontare una crisi difficile. Un
    gruppo di guerriglieri palestinesi dirotta la nave passeggeri Achille Lauro,
    uccidendo un passeggero americano. Grazie alla mediazione di Arafat, il
    piroscafo viene liberato, ma l’aviazione degli Stati Uniti intercetta
    l’aereo su cui sono saliti i sequestratori, costringendolo ad atterrare
    nella base Nato di Sigonella, in Sicilia. Il presidente Usa Ronald Reagan
    reclama la consegna dei terroristi, ma Craxi rifiuta. I responsabili
    dell’azione sull’Achille Lauro vengono arrestati, mentre al loro
    accompagnatore e mandante, Abu Abbas, viene consentito di fuggire. Gli
    americani vanno su tutte le furie e il Pri, cane da guardia
    dell’atlantismo, ritira la fiducia al governo. Craxi gestisce la
    situazione con estrema abilità, ergendosi a vindice della dignità
    nazionale e conquistando vasti consensi. I repubblicani finiscono per
    rientrare al governo, sulla base di un documento che riafferma la
    collocazione occidentale dell’Italia. Ma Craxi si toglie la soddisfazione
    di umiliarli in Parlamento, paragonando ai fedayn palestinesi il loro padre
    nobile Giuseppe Mazzini. 1986
    – ll patto della staffetta. Si avvia alla scadenza il contratto politico
    triennale proposto nel 1983, ma Craxi non ha alcuna intenzione di cedere
    Palazzo Chigi, dove continua a mietere successi anche di carattere
    internazionale, come l’inclusione dell’Italia nei vertici dei maggiori
    paesi industrializzati. Del resto la Costituzione italiana, fanno notare i
    socialisti, non prevede governi a termine. Bersagliato dai franchi tiratori,
    Craxi è costretto a dimettersi in giugno, ma riesce a rimanere premier
    grazie a un ambiguo “patto della staffetta”, che prevede la disponibilità
    dei socialisti ad accettare il ritorno di Palazzo Chigi alla Dc, non si
    capisce bene se nella legislatura in corso o all’inizio di quella
    successiva. La realtà è che De Mita vorrebbe indurre il Psi ad accettare
    il pentapartito come scelta strategica, mentre Craxi ha tutta l’intenzione
    di tenere le mani libere, anche se l’ipotesi di un’alternativa di
    sinistra non appare certo alle porte. Nel frattempo il suo vice Claudio
    Martelli, rimasto a dirigere il partito mentre il leader supremo è a capo
    del governo, prepara nuove iniziative destabilizzanti. Con i liberali e i
    radicali, sull’onda del caso Tortora, raccoglie le firme per tre
    referendum sulla giustizia chiaramente indirizzati a limitare il potere
    della magistratura. E dopo il disastro di Cernobyl prende posizione contro
    il ricorso all’energia nucleare, tema su cui altri referendum vengono
    promossi da una coalizione di ecologisti e forze della nuova sinistra. Sono
    autentiche mine sul percorso della maggioranza governativa. 1987
    – Fiducia a dispetto. Tutta la prima parte dell’anno è come una
    lunga partita a poker, dagli aspetti per molti versi paradossali. Craxi fa
    di tutto per prolungare la legislatura fino alla celebrazione dei referendum
    sul nucleare e la giustizia, sperando che la prevedibile vittoria dei Sì
    favorisca un’avanzata del Psi alle successive politiche. De Mita vuole
    invece le elezioni anticipate al più presto, per rinviare alla nuova
    legislatura l’amaro calice referendario. Nel mezzo Andreotti, che aveva già
    tentato di formare il governo durante la crisi dell’anno precedente e ora
    ci riprova, senza però trovare a piazza del Gesù il sostegno in cui
    sperava. Inizia qui il suo distacco da De Mita, che pone le premesse per il
    futuro accordo del Caf (Craxi, Andreotti, Forlani). Pur di impedire al
    leader socialista di gestire le elezioni da Palazzo Chigi, la Dc s’inventa
    un monocolore Fanfani, che si presenta alle Camere con l’intenzione di
    essere battuto. Craxi risponde con l’inedita trovata della fiducia a
    dispetto: pur giudicando negativamente l’esecutivo, i socialisti votano a
    favore per consentire lo svolgimento dei referendum prima del voto politico.
    Ma a quel punto i democristiani si astengono sul governo da loro stessi
    voluto, mentre il Pci vota contro. Fanfani viene sfiduciato e si va alle
    elezioni. Il Garofano esce dalle urne nettamente rafforzato, con il 14,3 per
    cento, mentre la Dc risale al 34,3 e il Pci cala al 26,6. A questo punto
    Craxi detta legge. Nessun accordo politico, ma un debole governo di
    programma, presieduto dallo sbiadito democristiano Giovanni Goria. E in
    autunno si tengono i referendum, che sanciscono un ulteriore successo
    socialista. 1988
    – La legge di Ghino di Tacco. Una volta lasciato Palazzo Chigi alla
    Dc, il primo obiettivo del Psi è condizionare il governo in modo pressante,
    imponendogli le priorità stabilite a via del Corso. Per questo Craxi non
    esita ad usare con spregiudicatezza il suo potere di coalizione. Secondo la
    maligna metafora coniata da Scalfari, si comporta come Ghino di Tacco, il
    brigante medievale che taglieggiava i viaggiatori diretti a Roma, sfruttando
    la posizione strategica del suo covo nella rocca di Radicofani. Liquidato
    Goria sulla questione della ripresa dei lavori alla centrale nucleare di
    Montalto di Castro, che non vedrà mai la luce, Craxi consente a De Mita di
    prendere la guida dell’esecutivo, ma in cambio ottiene che il governo
    promuova un’iniziativa per limitare drasticamente l’area del voto
    segreto nelle votazioni parlamentari. Così obbliga il premier democristiano
    a un duro scontro con il Pci, che compromette le possibilità di dialogo tra
    Palazzo Chigi e Botteghe Oscure. Intanto sembra manifestarsi un’“onda
    lunga” di consenso al Garofano: dai risultati delle amministrative emerge
    addirittura la possibilità di un sorpasso socialista ai danni dei
    comunisti. L’ipotesi di un ritorno al compromesso storico resta la bestia
    nera di Craxi, che in estate sferra un veemente attacco alle cosiddette
    “giunte anomale”, fondate su forme di collaborazione tra Dc e Pci. Nel
    mirino di via del Corso c’è soprattutto il sindaco “antimafia” di
    Palermo Leoluca Orlando, che capeggia una composita coalizione da cui sono
    esclusi i socialisti. Vinta in ottobre la battaglia sul voto segreto, Craxi
    lancia una campagna tambureggiante sul tema della droga, esigendo che anche
    il semplice consumo di stupefacenti sia considerato un illecito penale. E’
    una mossa che tiene alta la conflittualità a sinistra e caratterizza il Psi
    come partito d’ordine, ma allo stesso tempo fa saltare il rapporto
    preferenziale con i radicali, poiché trova un feroce oppositore in Marco
    Pannella, da sempre favorevole alla legalizzazione delle droghe. 1989
    – L’accordo del camper. Per Craxi è venuto il tempo di saldare i conti
    con De Mita. Il doppio incarico di segretario della Dc e capo del governo
    colloca in una posizione fin troppo esposta il leader irpino, che finisce
    per perdere entrambe le poltrone. In febbraio Forlani gli subentra al
    vertice di piazza del Gesù, in seguito a un Congresso democristiano molto
    animato. Poi, a maggio, si celebra a Milano il Congresso del Psi, che lancia
    con estrema energia la proposta di riformare le istituzioni in senso
    presidenziale. Durante i lavori, Forlani e Craxi s’incontrano nel camper
    che funge in quei giorni da quartier generale del leader socialista. La
    versione accreditata dalla stampa è che nell’occasione sia stato deciso
    l’avvicendamento tra De Mita e Andreotti a Palazzo Chigi. Fatto sta che
    Craxi conclude il Congresso aprendo la crisi di governo, che si trascina
    lungamente fino alle elezioni europee del 18 giugno. Il voto però delude i
    socialisti, che contavano in un ulteriore incremento a spese dei comunisti,
    imbarazzati dalla strage di piazza Tienanmen. Il Psi resta sotto il 15 per
    cento, il Pci è al 27,6. E nel giro di un mese Andreotti ritorna, dopo
    dieci anni, alla guida dell’esecutivo. In autunno cade il muro di Berlino,
    si sgretola il blocco sovietico e Achille Occhetto decide che per il Pci è
    tempo di cambiare identità. Craxi commenta che si tratta di “cosa buona e
    giusta”, ma in realtà rimane diffidente. 1990
    – Segnali di scollamento. Il Caf sembra avere in pugno l’Italia, ma
    diversi fatti dimostrano la notevole precarietà del quadro politico. Craxi
    porta a casa la legge proibizionista sulla droga, approvata in giugno.
    Riesce anche a sloggiare Orlando dalla guida di Palermo, benché il sindaco
    uscente faccia il pieno di voti. Ma il risultato più eclatante del turno
    amministrativo di maggio è il boom della Lega lombarda, che sfiora il 20
    per cento nella regione più ricca e popolosa d’Italia. In estate il Psi
    costringe il governo a porre la fiducia sulla legge Mammì, che regola
    l’emittenza televisiva in termini favorevoli a Berlusconi. Il
    provvedimento passa, ma per reazione cinque ministri della sinistra
    democristiana lasciano l’esecutivo. Poi in ottobre viene resa nota
    l’esistenza di Gladio, la struttura segreta creata per fomentare la
    guerriglia dietro le linee nemiche in caso d’invasione sovietica. Sulle
    reali attività dell’organizzazione vengono sollevati pesanti sospetti,
    che finiscono per ricadere sul presidente della Repubblica Francesco
    Cossiga, che in passato se ne era direttamente occupato. Il Quirinale però
    non ci sta a farsi mettere nell’angolo e reagisce con ripetute
    esternazioni polemiche. I socialisti si schierano con Cossiga, anche perché
    sperano che il suo attivismo, che gli procura una notevole popolarità,
    possa preparare il terreno a una svolta presidenzialista. Intanto il
    democristiano Mario Segni promuove alcuni referendum per modificare le leggi
    elettorali in senso maggioritario. Craxi, strenuo difensore del sistema
    proporzionale, attacca l’iniziativa e bolla i quesiti proposti come
    “incostituzionalissimi”. 1991
    – E l’Italia non andò al mare. L’anno si apre con la nascita sofferta
    del Pds e la guerra del Golfo. Il partito di Occhetto si oppone
    all’intervento occidentale contro l’Iraq di Saddam Hussein. E ciò
    approfondisce il solco a sinistra con Craxi, che difende le ragioni
    dell’azione militare. In marzo il Psi apre la crisi di governo
    nell’intento di ottenere qualche passo in direzione del presidenzialismo,
    ma incontra un muro di gomma e si accontenta di un Andreotti-bis dal profilo
    non certo entusiasmante. L’unica novità di rilievo è il passaggio
    all’opposizione del Pri, avvenuto in seguito al veto socialista sulla
    decisione del segretario repubblicano Giorgio La Malfa di sostituire Oscar
    Mammì al ministero delle Poste. Craxi commette poi un errore suicida,
    invitando gli elettori a disertare le urne e andare al mare il 9 giugno, in
    occasione dell’unico referendum elettorale giudicato ammissibile, quello
    sulla preferenza unica. Gli italiani infatti partecipano al voto in maniera
    largamente sufficiente a garantire la validità della consultazione e il
    Psi, da partito del cambiamento istituzionale che era, si ritrova nelle
    scomode vesti di baluardo del sistema partitocratico. Non c’è da stupirsi
    se il Congresso socialista di Bari, alla fine di giugno, vola molto basso e
    Craxi tiene una posizione assai prudente anche nel dibattito sul messaggio
    inviato alle Camere da Cossiga in materia di riforme istituzionali, che
    Andreotti si era rifiutato di controfirmare per il suo taglio
    tendenzialmente presidenzialista. La legislatura si trascina stancamente al
    suo epilogo, senza più alcuna forza propulsiva. 1992
    – Un ciclone chiamato Tangentopoli. In teoria le elezioni dovrebbero
    segnare la seconda fase del patto del camper, con il ritorno di Craxi a
    Palazzo Chigi e l’ascesa di un democristiano (Forlani o Andreotti) al
    Quirinale. Infatti il Psi affronta la prova delle urne agitando lo slogan
    “un governo per la ripresa” e il suo leader manifesta esplicitamente
    l’intenzione di riassumere la guida dell’esecutivo. Ma presto questi
    progetti finiscono gambe all’aria. Quando a Milano viene arrestato il
    socialista Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio, Craxi se la
    cava con una battuta: «E’ un mariuolo». Ma poi il voto del 5 aprile gli
    riserva una bruciante delusione: la Dc crolla sotto il 30 per cento, la Lega
    svetta all’8,7, lo stesso Psi subisce un’erosione, dal 14,2 al 13,6. Il
    quadripartito di governo ha una maggioranza stentatissima, sicura garanzia
    d’instabilità. Intanto l’inchiesta sulla corruzione, condotta dal pm
    Antonio Di Pietro, si allarga a macchia d’olio, fino a toccare i santuari
    del potere craxiano. Ormai Milano si è conquistata il nomignolo spregiativo
    di Tangentopoli. Le dimissioni di Cossiga, anticipate di due mesi rispetto
    alla scadenza naturale, aprono subito la partita per il Quirinale, in
    condizioni particolarmente difficili per Dc e Psi. Forlani scende in campo,
    ma non ce la fa. Alla fine il clima di emergenza creato dalla strage di
    Capaci, con l’uccisione di Giovanni Falcone, porta all’elezione di Oscar
    Luigi Scalfaro. Craxi, per via delle accuse giudiziarie che colpiscono
    alcuni degli esponenti politici a lui più vicini (tra cui Carlo Tognoli e
    il cognato Paolo Pillitteri), si vede preclusa la via di Palazzo Chigi.
    Diventa così presidente del Consiglio Giuliano Amato, che deve fronteggiare
    una situazione economica gravemente deteriorata. Nel dibattito sulla fiducia
    Craxi ha un’impennata d’orgoglio: afferma che tutti i partiti hanno
    fatto ricorso a finanziamenti irregolari e sfida chiunque ad alzarsi per
    smentirlo. Intanto però Mani pulite va avanti.Un mese dopo, il leader
    socialista spara a zero su Di Pietro dalle colonne dell’Avanti!, spronando
    il governo a intervenire sulla procura di Milano. Ma il ministro della
    Giustizia Martelli non muove un dito. Anzi, in settembre esce allo scoperto
    contro Craxi, reclamandone le dimissioni. L’Assemblea nazionale del Psi, a
    fine novembre, conferma però la fiducia al segretario, che un paio di
    settimane dopo viene raggiunto dal primo avviso di garanzia. Al contrario di
    ciò che hanno fatto molti altri, Craxi resta al suo posto e grida al
    complotto politico. Ma per la grande maggioranza dell’opinione pubblica il
    suo nome è ormai sinonimo di malaffare. 1993
    – Cala il sipario. Le iniziative giudiziarie contro il leader del Psi
    si moltiplicano. Craxi chiede alla politica di riprendere in mano la
    situazione e propone un’inchiesta parlamentare sul finanziamento dei
    partiti. Ma nessuno lo ascolta più. Si dimette da segretario in febbraio,
    lasciando il posto a Giorgio Benvenuto. Nel frattempo anche Martelli è
    stato coinvolto nelle inchieste di Mani pulite. Il 29 aprile Craxi segna
    l’ultimo punto a suo favore. La Camera respinge infatti quattro richieste
    di autorizzazione a procedere avanzate nei suoi riguardi dalla procura di
    Milano. Ma è una vittoria di Pirro, che suscita indignate reazioni della
    stampa e diverse manifestazioni di protesta. Lo stesso Craxi viene
    bersagliato da un fitto lancio di monetine davanti all’hotel Raphael, sua
    abituale residenza romana. E’ davvero finita. Con il passare dei mesi
    l’ex premier perde anche il controllo di via del Corso, dove a Benvenuto
    subentra Ottaviano Del Turco, che sceglie di aderire alla coalizione dei
    Progressisti. Craxi si oppone, ma per la prima volta l’Assemblea nazionale
    del Psi, in dicembre, lo bersaglia con fischi e insulti. Poco importa, del
    resto, perché ormai i socialisti sono in via di dissoluzione e alle
    politiche del marzo 1994 supereranno di poco il 2 per cento. Sempre in
    dicembre Craxi depone al processo Cusani, di fronte a Di Pietro, e lancia
    accuse contro gli altri partiti e le massime autorità dello Stato,
    rivendicando la funzione democratica svolta dal Psi. La macchina
    giudiziaria, tuttavia, procede implacabile. Nel maggio 1994 la magistratura
    emette un divieto d’espatrio nei confronti del leader socialista. Ma Craxi
    si trova in Tunisia, nella sua villa di Hammamet, da dove è disposto a
    tornare soltanto “da uomo libero”. 
    (Ideazione Gennaio-Febbraio 2000) |  |