Rileggere il craxismo
DICIASSETTE ANNI
DELLA NOSTRA STORIA

di Antonio Carioti

Quando Bettino Craxi viene eletto segretario del Partito socialista, l’avvenimento non appare certo di quelli destinati a lasciare il segno nella storia. Nessuno immagina che per oltre un quindicennio l’agenda politica verrà dettata a via del Corso e che i due giganti democristiano e comunista subiranno a lungo il dinamismo del Psi. Altrettanto inaspettato sarà poi il tramonto di Craxi, consumato nel giro di pochi mesi sotto la spinta delle inchieste giudiziarie, in un clima di radicale insofferenza verso la classe politica. Dopo avere a lungo auspicato l’avvento della Seconda Repubblica, il leader socialista ne sarà così la vittima sacrificale, fino a divenirne, dal suo rifugio di Hammamet, l’implacabile cattiva coscienza.

1976 – Mai più subalterni. Al Congresso del Psi, in marzo, si parla di alternativa di sinistra e transizione al socialismo. E alle elezioni politiche del 20 giugno il segretario Francesco De Martino si presenta proclamando che il suo partito non entrerà in nessun governo che non comprenda anche il Pci. L’esito è deprimente: il Psi, con il 9,6 per cento, non guadagna nulla rispetto al 1972, anzi perde sulle amministrative del 1975, mentre Botteghe Oscure capitalizza per intero il netto spostamento a sinistra della società italiana. Ormai ci sono quasi tre voti comunisti e mezzo per ogni voto socialista. E tutti sono convinti che il destino dell’Italia si decida sull’asse Dc-Pci. Il Psi, in crisi d’identità e profondamente diviso, vive giorni difficili. Craxi, leader degli autonomisti nenniani più propensi a prendere le distanze dai comunisti, viene eletto segretario in luglio, all’hotel Midas di Roma, da uno schieramento composito, comprendente la sinistra lombardiana di Claudio Signorile, la corrente di Giacomo Mancini, il gruppo di Enrico Manca che ha rotto con De Martino. Più che un’alleanza politica, è un patto generazionale tra quarantenni che vogliono mettere da parte i notabili più anziani. Sembrano esserci tutte le premesse per una segreteria debole. Invece il nuovo leader mostra subito un’energia e un’aggressività notevoli. Lungi dal farsi ingabbiare nel quadro della politica di solidarietà nazionale, fondata sull’accordo tra Dc e Pci, si adopera da subito per romperne la morsa e affermare una presenza più incisiva del suo partito. Lo fa sul terreno culturale, soprattutto grazie all’opera della rivista Mondoperaio, diretta da Federico Coen. Ma anche sul piano del potere: in settembre i socialisti conquistano la guida della Uil, con Giorgio Benvenuto.

1977 – Lotta su due fronti. Mentre la strategia dell’unità nazionale incontra difficoltà crescenti, Craxi rilancia la competizione a sinistra su due versanti. Da una parte i socialisti non esitano a dialogare con l’area dell’extraparlamentarismo giovanile, che sfida nelle piazze il Pci di Enrico Berlinguer. Dall’altra rinfacciano ai comunisti, che in Italia si ergono a garanti della democrazia, il loro rapporto privilegiato con il sistema totalitario sovietico. In novembre è un uomo molto vicino a Craxi, Carlo Ripa di Meana, che organizza a Venezia la Biennale del dissenso, assai sgradita a Botteghe Oscure. Sempre in autunno viene elaborato il “Progetto socialista”, opera soprattutto di Giorgio Ruffolo, che presenta forti connotati utopistici e autogestionari. A via del Corso intanto si forma un asse tra Craxi e Signorile, che tengono saldamente in pugno le redini del partito.

1978 – Da Moro a Proudhon. Il Congresso di Torino del Psi, nel marzo del 1978, conferma la linea dell’alternativa di sinistra, contrapposta al compromesso storico berlingueriano. Pochi giorni prima le Brigate rosse hanno sequestrato Aldo Moro e i socialisti non nascondono i loro dubbi sulla linea del rifiuto di ogni dialogo con i terroristi. Craxi viene allo scoperto il mese dopo, proponendo un’iniziativa umanitaria per salvare la vita del leader rapito. Nei fatti il suo obiettivo è indebolire l’accordo di solidarietà nazionale, che ha visto il Pci passare dalla “non sfiducia” all’appoggio pieno nei riguardi del monocolore guidato da Giulio Andreotti. Si apre così un’aspra polemica tra “partito della trattativa” e “fronte della fermezza”, che in parte prefigura il conflitto fra schieramenti trasversali del decennio successivo: da una parte socialisti, radicali e correnti più moderate della Dc; dall’altra Pci, Pri e sinistra democristiana, con il patrocinio di Eugenio Scalfari. Dopo l’assassinio di Aldo Moro e le dimissioni di Giovanni Leone dalla presidenza della Repubblica, Craxi avvia un’iniziativa martellante per portare un socialista al Quirinale. L’operazione ha successo, ma il nome di Sandro Pertini, contrario alla linea della trattativa durante il “caso Moro”, non è certamente il più gradito al leader del Psi. Nell’estate del 1978 l’offensiva di Craxi contro il Pci si sposta sul piano ideologico, con un saggio sull’Espresso che critica aspramente Lenin e rivaluta il pensatore anarco-federalista Pierre-Joseph Proudhon. Berlinguer risponde stizzito, al Festival dell’Unità, riaffermando la validità della tradizione comunista. E’ evidente che Craxi sta compiendo una Bad Godesberg in versione italiana: vuole agganciare il Psi alle socialdemocrazie europee, svincolandolo dal marxismo. Ha anche cambiato il simbolo del partito, inserendo un vistoso garofano rosso che sovrasta falce, martello e libro.

1979 – Il primo incarico. Il declino della maggioranza di unità nazionale è visto con sommo piacere a via del Corso, anche se il Psi continua formalmente a sostenerla durante la crisi che porta alla caduta del quarto governo Andreotti, all’inizio del 1979. Si va alle elezioni e Craxi promette che i socialisti si faranno garanti della governabilità: è un segnale chiaro della sua disponibilità a tornare nell’esecutivo anche se il Pci rimanesse all’opposizione. Ma gli elettori non lo premiano: il Psi guadagna una miseria e resta sotto il 10 per cento, mentre i voti persi dal Pci vanno soprattutto ai radicali. Ciò nonostante Pertini, dopo un tentativo di Andreotti stoppato dai socialisti, conferisce l’incarico di formare il governo proprio a Craxi: è la prima volta per un esponente del Psi. Ma la Dc, eccezion fatta per Arnaldo Forlani, fa muro contro questa ipotesi. Craxi rinuncia, silura un tentativo di Filippo Maria Pandolfi e alla fine consente che a Palazzo Chigi vada Francesco Cossiga, alla guida di una compagine molto debole. Il Psi non ha più complessi verso i comunisti, ma intende farsi valere anche nei confronti della Dc. Craxi non consentirà mai la nascita di un governo forte a guida democristiana: se piazza del Gesù vuole un esecutivo solido, deve accettare che a presiederlo sia un socialista. Nel settembre successivo Craxi lancia una delle idee guida che caratterizzeranno la sua politica. In un articolo sull’Avanti!, quotidiano del Psi, auspica una Grande Riforma delle istituzioni, che comprenda anche modifiche alla Costituzione repubblicana. Per il momento la proposta ha contorni vaghi, ma è comunque la rottura di un tabù, che gli procura molte diffidenze e altrettante simpatie. A dicembre i socialisti votano a favore della decisione Nato di installare missili nucleari a medio raggio in Europa, per controbilanciare gli Ss 20 sovietici: è una scelta che accredita il Psi presso gli alleati americani.

1980 – Ritorno al governo. All’inizio dell’anno si consuma la resa dei conti all’interno del Psi, in un clima reso torbido dallo scandalo Eni-Petromin. La sinistra del vicesegretario Signorile, fiancheggiata da intellettuali come Giuliano Amato, cerca di spodestare Craxi, ma fallisce. Dopo un effimero compromesso, con l’insediamento di Riccardo Lombardi alla presidenza del Psi, il passaggio di Gianni De Michelis tra le file craxiane decide la disputa in favore del segretario, che da questo momento acquista un ferreo controllo sul partito. Intanto al Congresso democristiano del febbraio 1980 ha vinto la linea del “preambolo”, contraria a qualsiasi riedizione dell’accordo con i comunisti. Ci sono tutti i presupposti per il ritorno del Psi nell’esecutivo, che avviene in aprile con il secondo governo Cossiga. Affondato quest’ultimo dai franchi tiratori, toccherà al governo Forlani, altrettanto precario. Negli ultimi giorni dell’anno il presidente del Pri Bruno Visentini propone di formare un esecutivo svincolato dai partiti, a forte impronta tecnocratica. Craxi lo attacca violentemente, come rappresentante di una minacciosa “nuova destra”. Nel frattempo le Br rapiscono il magistrato Giovanni D’Urso e si riapre la contesa tra il partito della trattativa e quello della fermezza. I socialisti impongono la chiusura del penitenziario dell’Asinara, mentre i comunicati dei terroristi sono pubblicati su diverse testate, compreso l’Avanti!. Soddisfatti, i brigatisti liberano D’Urso il 15 gennaio 1981.

1981 – P2 e alternanza laica. Il Congresso del Psi di Palermo, in aprile, consacra Craxi come leader incontrastato, che per la prima volta viene eletto segretario direttamente dai delegati. Intanto scoppia lo scandalo P2, che travolge Forlani e determina una svolta importante, con l’arrivo di un laico, il repubblicano Giovanni Spadolini, alla presidenza del Consiglio. Craxi, da tempo in aspra polemica con Andreotti, afferma che dietro il Belfagor Licio Gelli, capo della P2, dev’esserci un assai più importante Belzebù. Ma il leader del Psi non è tenero neppure con i magistrati milanesi, che hanno scoperto le liste della loggia e hanno fatto arrestare il banchiere Roberto Calvi: li critica pesantemente alla Camera, durante il dibattito sulla fiducia al governo. Comincia così il lungo conflitto tra socialisti e potere giudiziario. Craxi è convinto che alcuni settori politicizzati della magistratura, vicini al Pci, intendano colpirlo con inchieste mirate contro il Psi.

1982 – Lo sfidante irpino. In maggio la Dc elegge segretario Ciriaco De Mita, con il chiaro mandato di restaurare l’egemonia di piazza del Gesù, messa in dubbio dalle iniziative di Craxi. Si avvia un duello, tra il leader lombardo e quello irpino, che durerà parecchi anni e rende subito precaria la vita del governo Spadolini. Alla Grande Riforma di Craxi, che si concretizza nella proposta di elezione diretta del presidente della Repubblica, De Mita contrappone un’ipotesi di riforma elettorale basata su accordi di coalizione prima del voto e premio di maggioranza allo schieramento vincente. Le tensioni crescono nel corso dell’anno, fino a culminare in autunno nella “lite delle comari”, un pittoresco scambio d’invettive tra il ministro del Tesoro democristiano Nino Andreatta e il ministro delle Finanze socialista Rino Formica. Spadolini esce di scena e nasce un effimero governo guidato da Amintore Fanfani. Un altro evento significativo del 1982 è la posizione assunta da Craxi sulla crisi delle Falkland, quando impone all’esecutivo di dissociarsi dall’embargo deciso dalla Comunità Europea contro l’Argentina. E’ uno schiaffo alla Gran Bretagna di Margaret Thatcher, in guerra con Buenos Aires. E dimostra che il segretario del Psi, pur avendo compiuto una chiara scelta occidentale, è portatore di una concezione dinamica della politica estera italiana. Se gli interessi del paese sono in gioco, pensa Craxi, non bisogna esitare a prendere le distanze dagli alleati della Nato.

1983 – Un socialista a Palazzo Chigi. L’anno si apre all’insegna del dialogo a sinistra. In marzo Craxi s’incontra con Berlinguer e i rapporti tra Pci e Psi sembrano avviarsi verso una fase di distensione. Poi via del Corso dichiara esaurita l’esperienza del governo Fanfani. Si va alle urne in un clima di riscossa democristiana, con De Mita che innalza lo slogan “decidi Dc”, mentre il suo vice Roberto Mazzotta lancia l’idea di una maggioranza neocentrista, con il Psi ricacciato all’opposizione. Craxi appare sulla difensiva, anche per via delle inchieste sulla corruzione che coinvolgono parecchi dirigenti socialisti (Biffi Gentili a Torino, Teardo a Savona) e suscitano la furibonda reazione di via del Corso contro i magistrati. Alla vigilia del voto il leader del Psi propone allo Scudo crociato un patto di governo triennale, dicendosi disposto ad assumere la guida dell’esecutivo. Ma piazza del Gesù, convinta di andare verso un grande successo, fa orecchie da mercante. Invece gli elettori puniscono severamente la Dc, che scende dal 38,2 al 32,9 per cento. E Craxi, che pure ha guadagnato appena l’1,6, si ritrova spianata la via per Palazzo Chigi. Forma un governo solido, con ministri autorevoli, la cui mente giuridica è il sottosegretario alla presidenza Amato, che si è nel frattempo riconciliato con il leader del Garofano.

1984 – Scontro a sinistra. Da tempo il Pci esercitava una sorta di diritto di veto in materia economica: nessuna misura di rilievo poteva passare senza il suo avallo. E’ una logica che Craxi decide di rompere con un piglio che viene definito “decisionista”. Quando Berlinguer costringe la Cgil di Luciano Lama a rifiutare di sottoscrivere un accordo sul costo del lavoro approvato dalla Cisl e dalla Uil, il governo emana un decreto che ne recepisce il contenuto e taglia alcuni punti di scala mobile, il meccanismo di adeguamento automatico dei salari all’inflazione. L’urto è frontale. Il Pci mobilita le piazze, fa ostruzionismo in Parlamento. Ma anche i socialisti sono galvanizzati dalla battaglia. Al Congresso del Psi di Verona, in maggio, Berlinguer viene accolto da sonore salve di fischi. Alla fine il provvedimento passa, sia pure modificato, ma il Pci, anche grazie all’emozione suscitata dalla morte improvvisa del suo segretario, sorpassa la Dc alle elezioni europee. Inoltre promuove un referendum per abrogare il decreto sul costo del lavoro. Craxi intanto non resta con le mani in mano. Firma con la Chiesa cattolica un Concordato che sostituisce quello del 1929. Conduce in porto le misure elaborate dal ministro delle Finanze Visentini contro l’evasione fiscale, malgrado le forti proteste dei lavoratori autonomi. Rimedia alle ordinanze dei pretori che oscurano le emittenti private di Silvio Berlusconi, con un decreto che sancisce per la prima volta il pluralismo televisivo. Più volte il governo viene battuto nelle votazioni a scrutinio segreto, ma il premier non se ne cura e va avanti per la sua strada.

1985 – Quella notte a Sigonella. E’ l’anno dell’apoteosi di Craxi. Prima alle amministrative il Psi guadagna parecchi voti, mentre il Pci subisce una cocente sconfitta. Poi il capo del governo si gioca tutto alla vigilia del referendum sulla scala mobile, dichiarando che si dimetterà in caso di vittoria del Sì. L’elettorato lo premia, respingendo la proposta di abrogazione avanzata dai comunisti. Il diritto di veto di Botteghe Oscure è polverizzato, l’Italia moderata trova in Craxi un leader in cui riconoscersi. In autunno il premier deve affrontare una crisi difficile. Un gruppo di guerriglieri palestinesi dirotta la nave passeggeri Achille Lauro, uccidendo un passeggero americano. Grazie alla mediazione di Arafat, il piroscafo viene liberato, ma l’aviazione degli Stati Uniti intercetta l’aereo su cui sono saliti i sequestratori, costringendolo ad atterrare nella base Nato di Sigonella, in Sicilia. Il presidente Usa Ronald Reagan reclama la consegna dei terroristi, ma Craxi rifiuta. I responsabili dell’azione sull’Achille Lauro vengono arrestati, mentre al loro accompagnatore e mandante, Abu Abbas, viene consentito di fuggire. Gli americani vanno su tutte le furie e il Pri, cane da guardia dell’atlantismo, ritira la fiducia al governo. Craxi gestisce la situazione con estrema abilità, ergendosi a vindice della dignità nazionale e conquistando vasti consensi. I repubblicani finiscono per rientrare al governo, sulla base di un documento che riafferma la collocazione occidentale dell’Italia. Ma Craxi si toglie la soddisfazione di umiliarli in Parlamento, paragonando ai fedayn palestinesi il loro padre nobile Giuseppe Mazzini.

1986 – ll patto della staffetta. Si avvia alla scadenza il contratto politico triennale proposto nel 1983, ma Craxi non ha alcuna intenzione di cedere Palazzo Chigi, dove continua a mietere successi anche di carattere internazionale, come l’inclusione dell’Italia nei vertici dei maggiori paesi industrializzati. Del resto la Costituzione italiana, fanno notare i socialisti, non prevede governi a termine. Bersagliato dai franchi tiratori, Craxi è costretto a dimettersi in giugno, ma riesce a rimanere premier grazie a un ambiguo “patto della staffetta”, che prevede la disponibilità dei socialisti ad accettare il ritorno di Palazzo Chigi alla Dc, non si capisce bene se nella legislatura in corso o all’inizio di quella successiva. La realtà è che De Mita vorrebbe indurre il Psi ad accettare il pentapartito come scelta strategica, mentre Craxi ha tutta l’intenzione di tenere le mani libere, anche se l’ipotesi di un’alternativa di sinistra non appare certo alle porte. Nel frattempo il suo vice Claudio Martelli, rimasto a dirigere il partito mentre il leader supremo è a capo del governo, prepara nuove iniziative destabilizzanti. Con i liberali e i radicali, sull’onda del caso Tortora, raccoglie le firme per tre referendum sulla giustizia chiaramente indirizzati a limitare il potere della magistratura. E dopo il disastro di Cernobyl prende posizione contro il ricorso all’energia nucleare, tema su cui altri referendum vengono promossi da una coalizione di ecologisti e forze della nuova sinistra. Sono autentiche mine sul percorso della maggioranza governativa.

1987 – Fiducia a dispetto. Tutta la prima parte dell’anno è come una lunga partita a poker, dagli aspetti per molti versi paradossali. Craxi fa di tutto per prolungare la legislatura fino alla celebrazione dei referendum sul nucleare e la giustizia, sperando che la prevedibile vittoria dei Sì favorisca un’avanzata del Psi alle successive politiche. De Mita vuole invece le elezioni anticipate al più presto, per rinviare alla nuova legislatura l’amaro calice referendario. Nel mezzo Andreotti, che aveva già tentato di formare il governo durante la crisi dell’anno precedente e ora ci riprova, senza però trovare a piazza del Gesù il sostegno in cui sperava. Inizia qui il suo distacco da De Mita, che pone le premesse per il futuro accordo del Caf (Craxi, Andreotti, Forlani). Pur di impedire al leader socialista di gestire le elezioni da Palazzo Chigi, la Dc s’inventa un monocolore Fanfani, che si presenta alle Camere con l’intenzione di essere battuto. Craxi risponde con l’inedita trovata della fiducia a dispetto: pur giudicando negativamente l’esecutivo, i socialisti votano a favore per consentire lo svolgimento dei referendum prima del voto politico. Ma a quel punto i democristiani si astengono sul governo da loro stessi voluto, mentre il Pci vota contro. Fanfani viene sfiduciato e si va alle elezioni. Il Garofano esce dalle urne nettamente rafforzato, con il 14,3 per cento, mentre la Dc risale al 34,3 e il Pci cala al 26,6. A questo punto Craxi detta legge. Nessun accordo politico, ma un debole governo di programma, presieduto dallo sbiadito democristiano Giovanni Goria. E in autunno si tengono i referendum, che sanciscono un ulteriore successo socialista.

1988 – La legge di Ghino di Tacco. Una volta lasciato Palazzo Chigi alla Dc, il primo obiettivo del Psi è condizionare il governo in modo pressante, imponendogli le priorità stabilite a via del Corso. Per questo Craxi non esita ad usare con spregiudicatezza il suo potere di coalizione. Secondo la maligna metafora coniata da Scalfari, si comporta come Ghino di Tacco, il brigante medievale che taglieggiava i viaggiatori diretti a Roma, sfruttando la posizione strategica del suo covo nella rocca di Radicofani. Liquidato Goria sulla questione della ripresa dei lavori alla centrale nucleare di Montalto di Castro, che non vedrà mai la luce, Craxi consente a De Mita di prendere la guida dell’esecutivo, ma in cambio ottiene che il governo promuova un’iniziativa per limitare drasticamente l’area del voto segreto nelle votazioni parlamentari. Così obbliga il premier democristiano a un duro scontro con il Pci, che compromette le possibilità di dialogo tra Palazzo Chigi e Botteghe Oscure. Intanto sembra manifestarsi un’“onda lunga” di consenso al Garofano: dai risultati delle amministrative emerge addirittura la possibilità di un sorpasso socialista ai danni dei comunisti. L’ipotesi di un ritorno al compromesso storico resta la bestia nera di Craxi, che in estate sferra un veemente attacco alle cosiddette “giunte anomale”, fondate su forme di collaborazione tra Dc e Pci. Nel mirino di via del Corso c’è soprattutto il sindaco “antimafia” di Palermo Leoluca Orlando, che capeggia una composita coalizione da cui sono esclusi i socialisti. Vinta in ottobre la battaglia sul voto segreto, Craxi lancia una campagna tambureggiante sul tema della droga, esigendo che anche il semplice consumo di stupefacenti sia considerato un illecito penale. E’ una mossa che tiene alta la conflittualità a sinistra e caratterizza il Psi come partito d’ordine, ma allo stesso tempo fa saltare il rapporto preferenziale con i radicali, poiché trova un feroce oppositore in Marco Pannella, da sempre favorevole alla legalizzazione delle droghe.

1989 – L’accordo del camper. Per Craxi è venuto il tempo di saldare i conti con De Mita. Il doppio incarico di segretario della Dc e capo del governo colloca in una posizione fin troppo esposta il leader irpino, che finisce per perdere entrambe le poltrone. In febbraio Forlani gli subentra al vertice di piazza del Gesù, in seguito a un Congresso democristiano molto animato. Poi, a maggio, si celebra a Milano il Congresso del Psi, che lancia con estrema energia la proposta di riformare le istituzioni in senso presidenziale. Durante i lavori, Forlani e Craxi s’incontrano nel camper che funge in quei giorni da quartier generale del leader socialista. La versione accreditata dalla stampa è che nell’occasione sia stato deciso l’avvicendamento tra De Mita e Andreotti a Palazzo Chigi. Fatto sta che Craxi conclude il Congresso aprendo la crisi di governo, che si trascina lungamente fino alle elezioni europee del 18 giugno. Il voto però delude i socialisti, che contavano in un ulteriore incremento a spese dei comunisti, imbarazzati dalla strage di piazza Tienanmen. Il Psi resta sotto il 15 per cento, il Pci è al 27,6. E nel giro di un mese Andreotti ritorna, dopo dieci anni, alla guida dell’esecutivo. In autunno cade il muro di Berlino, si sgretola il blocco sovietico e Achille Occhetto decide che per il Pci è tempo di cambiare identità. Craxi commenta che si tratta di “cosa buona e giusta”, ma in realtà rimane diffidente.

1990 – Segnali di scollamento. Il Caf sembra avere in pugno l’Italia, ma diversi fatti dimostrano la notevole precarietà del quadro politico. Craxi porta a casa la legge proibizionista sulla droga, approvata in giugno. Riesce anche a sloggiare Orlando dalla guida di Palermo, benché il sindaco uscente faccia il pieno di voti. Ma il risultato più eclatante del turno amministrativo di maggio è il boom della Lega lombarda, che sfiora il 20 per cento nella regione più ricca e popolosa d’Italia. In estate il Psi costringe il governo a porre la fiducia sulla legge Mammì, che regola l’emittenza televisiva in termini favorevoli a Berlusconi. Il provvedimento passa, ma per reazione cinque ministri della sinistra democristiana lasciano l’esecutivo. Poi in ottobre viene resa nota l’esistenza di Gladio, la struttura segreta creata per fomentare la guerriglia dietro le linee nemiche in caso d’invasione sovietica. Sulle reali attività dell’organizzazione vengono sollevati pesanti sospetti, che finiscono per ricadere sul presidente della Repubblica Francesco Cossiga, che in passato se ne era direttamente occupato. Il Quirinale però non ci sta a farsi mettere nell’angolo e reagisce con ripetute esternazioni polemiche. I socialisti si schierano con Cossiga, anche perché sperano che il suo attivismo, che gli procura una notevole popolarità, possa preparare il terreno a una svolta presidenzialista. Intanto il democristiano Mario Segni promuove alcuni referendum per modificare le leggi elettorali in senso maggioritario. Craxi, strenuo difensore del sistema proporzionale, attacca l’iniziativa e bolla i quesiti proposti come “incostituzionalissimi”.

1991 – E l’Italia non andò al mare. L’anno si apre con la nascita sofferta del Pds e la guerra del Golfo. Il partito di Occhetto si oppone all’intervento occidentale contro l’Iraq di Saddam Hussein. E ciò approfondisce il solco a sinistra con Craxi, che difende le ragioni dell’azione militare. In marzo il Psi apre la crisi di governo nell’intento di ottenere qualche passo in direzione del presidenzialismo, ma incontra un muro di gomma e si accontenta di un Andreotti-bis dal profilo non certo entusiasmante. L’unica novità di rilievo è il passaggio all’opposizione del Pri, avvenuto in seguito al veto socialista sulla decisione del segretario repubblicano Giorgio La Malfa di sostituire Oscar Mammì al ministero delle Poste. Craxi commette poi un errore suicida, invitando gli elettori a disertare le urne e andare al mare il 9 giugno, in occasione dell’unico referendum elettorale giudicato ammissibile, quello sulla preferenza unica. Gli italiani infatti partecipano al voto in maniera largamente sufficiente a garantire la validità della consultazione e il Psi, da partito del cambiamento istituzionale che era, si ritrova nelle scomode vesti di baluardo del sistema partitocratico. Non c’è da stupirsi se il Congresso socialista di Bari, alla fine di giugno, vola molto basso e Craxi tiene una posizione assai prudente anche nel dibattito sul messaggio inviato alle Camere da Cossiga in materia di riforme istituzionali, che Andreotti si era rifiutato di controfirmare per il suo taglio tendenzialmente presidenzialista. La legislatura si trascina stancamente al suo epilogo, senza più alcuna forza propulsiva.

1992 – Un ciclone chiamato Tangentopoli. In teoria le elezioni dovrebbero segnare la seconda fase del patto del camper, con il ritorno di Craxi a Palazzo Chigi e l’ascesa di un democristiano (Forlani o Andreotti) al Quirinale. Infatti il Psi affronta la prova delle urne agitando lo slogan “un governo per la ripresa” e il suo leader manifesta esplicitamente l’intenzione di riassumere la guida dell’esecutivo. Ma presto questi progetti finiscono gambe all’aria. Quando a Milano viene arrestato il socialista Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio, Craxi se la cava con una battuta: «E’ un mariuolo». Ma poi il voto del 5 aprile gli riserva una bruciante delusione: la Dc crolla sotto il 30 per cento, la Lega svetta all’8,7, lo stesso Psi subisce un’erosione, dal 14,2 al 13,6. Il quadripartito di governo ha una maggioranza stentatissima, sicura garanzia d’instabilità. Intanto l’inchiesta sulla corruzione, condotta dal pm Antonio Di Pietro, si allarga a macchia d’olio, fino a toccare i santuari del potere craxiano. Ormai Milano si è conquistata il nomignolo spregiativo di Tangentopoli. Le dimissioni di Cossiga, anticipate di due mesi rispetto alla scadenza naturale, aprono subito la partita per il Quirinale, in condizioni particolarmente difficili per Dc e Psi. Forlani scende in campo, ma non ce la fa. Alla fine il clima di emergenza creato dalla strage di Capaci, con l’uccisione di Giovanni Falcone, porta all’elezione di Oscar Luigi Scalfaro. Craxi, per via delle accuse giudiziarie che colpiscono alcuni degli esponenti politici a lui più vicini (tra cui Carlo Tognoli e il cognato Paolo Pillitteri), si vede preclusa la via di Palazzo Chigi. Diventa così presidente del Consiglio Giuliano Amato, che deve fronteggiare una situazione economica gravemente deteriorata. Nel dibattito sulla fiducia Craxi ha un’impennata d’orgoglio: afferma che tutti i partiti hanno fatto ricorso a finanziamenti irregolari e sfida chiunque ad alzarsi per smentirlo. Intanto però Mani pulite va avanti.Un mese dopo, il leader socialista spara a zero su Di Pietro dalle colonne dell’Avanti!, spronando il governo a intervenire sulla procura di Milano. Ma il ministro della Giustizia Martelli non muove un dito. Anzi, in settembre esce allo scoperto contro Craxi, reclamandone le dimissioni. L’Assemblea nazionale del Psi, a fine novembre, conferma però la fiducia al segretario, che un paio di settimane dopo viene raggiunto dal primo avviso di garanzia. Al contrario di ciò che hanno fatto molti altri, Craxi resta al suo posto e grida al complotto politico. Ma per la grande maggioranza dell’opinione pubblica il suo nome è ormai sinonimo di malaffare.

1993 – Cala il sipario. Le iniziative giudiziarie contro il leader del Psi si moltiplicano. Craxi chiede alla politica di riprendere in mano la situazione e propone un’inchiesta parlamentare sul finanziamento dei partiti. Ma nessuno lo ascolta più. Si dimette da segretario in febbraio, lasciando il posto a Giorgio Benvenuto. Nel frattempo anche Martelli è stato coinvolto nelle inchieste di Mani pulite. Il 29 aprile Craxi segna l’ultimo punto a suo favore. La Camera respinge infatti quattro richieste di autorizzazione a procedere avanzate nei suoi riguardi dalla procura di Milano. Ma è una vittoria di Pirro, che suscita indignate reazioni della stampa e diverse manifestazioni di protesta. Lo stesso Craxi viene bersagliato da un fitto lancio di monetine davanti all’hotel Raphael, sua abituale residenza romana. E’ davvero finita. Con il passare dei mesi l’ex premier perde anche il controllo di via del Corso, dove a Benvenuto subentra Ottaviano Del Turco, che sceglie di aderire alla coalizione dei Progressisti. Craxi si oppone, ma per la prima volta l’Assemblea nazionale del Psi, in dicembre, lo bersaglia con fischi e insulti. Poco importa, del resto, perché ormai i socialisti sono in via di dissoluzione e alle politiche del marzo 1994 supereranno di poco il 2 per cento. Sempre in dicembre Craxi depone al processo Cusani, di fronte a Di Pietro, e lancia accuse contro gli altri partiti e le massime autorità dello Stato, rivendicando la funzione democratica svolta dal Psi. La macchina giudiziaria, tuttavia, procede implacabile. Nel maggio 1994 la magistratura emette un divieto d’espatrio nei confronti del leader socialista. Ma Craxi si trova in Tunisia, nella sua villa di Hammamet, da dove è disposto a tornare soltanto “da uomo libero”.

Antonio Carioti


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