L'irresistibile ascesa dell'uomo indispensabile
di Sofia Ventura
Ideazione di
marzo-aprile 2007

Se oggi Nicolas Sarkozy è candidato alle elezioni presidenziali per il grande partito della destra francese (l’Ump), è perché negli ultimi anni ha sapientemente costruito la propria immagine e il proprio ruolo, rendendosi incontournable, indispensabile, nel governo e nel partito, anche per i suoi avversari interni. Il suo successo deve molto, oltre che al suo iperattivismo, alla sua capacità di variare l’offerta politica tradizionale. Il riferimento è al composito progetto per la Francia da lui proposto, fatto di richiami alla tradizione, sul piano dei principi di fondo (i valori repubblicani), e di innovazione sul piano della loro interpretazione (valga per tutti l’esempio del suo controverso discorso sulla laicità) e messa in opera. Qualcosa di simile all’operazione di svecchiamento attuata da Tony Blair negli anni Novanta, con il riferimento ai principi di opportunità, equità e giustizia sociale della tradizione laburista e, al tempo stesso, il richiamo alla necessità di fare uso di nuovi mezzi per realizzare quei fini[1].

Nella primavera del 2002 (anno di nascita dell’Ump) Sarkozy diviene ministro degli Interni del governo di Jean Pierre Raffarin. La sua presenza a place Beauvau sarà contraddistinta da un attivismo e un’autonomia di azione inusuali per un ministro della Quinta Repubblica: nella pratica della Repubblica fondata da de Gaulle, quando la maggioranza dell’Assemblea nazionale e la maggioranza del presidente coincidono è quest'ultimo che dirige il governo e il primo ministro e i singoli ministri assumono prevalentemente il ruolo di suoi collaboratori[2].

Sarkozy sfida questa tradizione e proprio a partire dal suo ruolo di ministro degli Interni costruisce quella popolarità che utilizzerà contro lo stesso presidente Jacques Chirac.

A place Beauvau e a Bercy
Il nuovo ministro sin dall’inizio decide di operare in prima persona sul territorio: a più riprese si reca nelle zone più difficili (in particolare nella banlieu parigina) ad incontrare le forze dell’ordine ma anche i comuni cittadini. Come lui stesso scrive: «Gli spostamenti sul territorio, a Parigi così come in provincia, richiedono molto tempo, ma sono indispensabili. Nessun dossier, per quanto sia ben preparato, può sostituire l’esperienza diretta»
.[3].

Al tempo stesso, egli intende incidere sull’organizzazione delle forze dell’ordine. A solo due giorni dal suo arrivo al ministero degli Interni con un decreto raggruppa sotto la stessa direzione la polizia e la gendarmeria. La settimana successiva crea il gir, Groupements d’intérvention régionaux, con il quale vengono fatte interagire le diverse competenze della polizia, della giustizia, delle dogane, della gendarmeria e del fisco per combattere la malavita organizzata nelle città. A differenza dei suoi predecessori, che lasciavano l’incombenza ai loro capi di gabinetto, è lui che ogni giorno incontra i vertici della polizia nazionale, della gendarmeria e il prefetto di Parigi. Affronta sin dall’inizio anche il problema del controllo delle frontiere, incontrando i suoi omologhi belga e inglese[4].

Il suo attivismo e la determinazione con la quale mostra di voler affrontare i problemi della sicurezza trovano una grande eco nei media. Come osservava polemicamente Libération poco dopo il suo arrivo a place Beauvau: «Sarkozy si è dato una regola: organizzare una trasferta o fare una dichiarazione al giorno, in modo da non far passare più di ventiquattro ore senza che si parli di lui». Ed in effetti, il ministro degli Interni riesce a creare senza sosta notizie di cui si nutrono televisione e giornali.[5] L’attivismo del ministro, accuratamente pubblicizzato, gli vale ottimi risultati nei sondaggi d’opinione. Lui stesso, d’altro canto, aveva optato per questo ministero, posto di fronte alla scelta da Chirac, che gli aveva offerto in alternativa anche il ministero delle Finanze. La scelta non era casuale: la lotta contro l’insicurezza aveva dominato il dibattito pubblico per i sei mesi che avevano preceduto le presidenziali del 2002 ed era stato il tema centrale della campagna di Chirac[6]. Per Sarkozy era l’occasione per andare incontro alle aspettative di buona parte dei francesi e mostrare la sua concezione volontaristica della politica: «Perché gli Interni piuttosto che le Finanze? Innanzitutto perché le aspettative dei francesi erano a questo proposito molto forti e il mandato chiaro. […] I francesi volevano azione, questo ministero aveva bisogno di riforme profonde, il terreno era dunque favorevole per porre mano a ciò che mi pareva urgente: il rifiuto della fatalità e il culto del risultato»[7].

Sarkozy diventa così il “primo dei ministri”, il più popolare, il più intraprendente e il più presente sulla scena mediatica. Colui che, paradossalmente, rappresenta agli occhi di molti francesi l’alternativa, rispetto alla sua stessa maggioranza e al suo stesso presidente, Chirac. Il presidente che nel 2002 non aveva voluto a Matignon il traditore del 1995 (quando Sarkozy aveva appoggiato alle presidenziali Balladur), del quale temeva, a ragione, l’eccessiva intraprendenza: «Se nominassi Sarko a Matignon, tre mesi più tardi ci si domanderebbe chi è quel tipo alto nella foto dietro di lui»[8]. Non è un caso che in occasione del rimpasto seguito alla sconfitta delle elezioni regionali del marzo 2004, Sarkozy venga spostato al ministero delle Finanze, dove l’Eliseo ritiene abbia molte meno occasioni di mettersi in evidenza e sedurre, così, l’elettorato e, soprattutto, i militanti dell’Ump[9].

Ma anche a Bercy Sarkozy prosegue con il suo volontarismo in nome della sua “cultura del risultato”. E in nome della sua adesione ad un liberalismo d’Oltralpe che, se non gli impedisce di criticare aspramente il modello sociale francese (cosa che lo pone in conflitto con gli chiracchiani),[10] lo porta, comunque, a riconoscere un ruolo cruciale dello Stato nell’economia: «In Francia mi considerano un liberale, negli Stati Uniti un dirigista. In realtà sono un pragmatico. Sono convinto che quando è in gioco l’interesse nazionale lo Stato debba intervenire: è ciò che ho fatto con l’abbassamento dei prezzi [della grande distribuzione, nda] e successivamente favorendo la fusione di due grandi gruppi farmaceutici francesi per contrastare un’opa ostile [di un gruppo svizzero, nda]»[11]. Ed è ciò che fece nel 2004 con il riuscito salvataggio di Alstom, una grande impresa con centomila dipendenti, di cui ventisettemila in Francia, scontrandosi con l’allora commissario europeo alla concorrenza Mario Monti[12].

La breve permanenza a Bercy fornisce a Sarkozy anche una importante ribalta internazionale, con il succedersi dei G7 e delle frequenti riunioni con i suoi omologhi[13]. Una ribalta che pare servirgli anche per marcare la sua distanza dal presidente e dal suo stesso governo: durante il viaggio negli Stati Uniti in più occasioni auspica una riconciliazione franco-americana, come se Chirac avesse seminato la discordia; interrogato dall’opposizione all’Assemblea nazionale sulle ragioni del suo viaggio, invoca candidamente la necessità di «restaurare l’immagine della Francia»[14].

Nonostante tutto ciò, però, gli otto mesi a Bercy costano a Sarkozy una flessione nei sondaggi: dal 66 per cento di opinioni favorevoli alla sua azione come ministro degli Interni passa al 60 per cento come ministro delle Finanze[15]. La percentuale di coloro che si augurano che il ministro delle Finanze svolga nei mesi e negli anni futuri un ruolo importante (côte d’avenir) rimane però elevata, il 54 per cento, in media con i risultati da lui ottenuti a partire dal 2002. Un risultato che, secondo Artufel e Duroux, è da attribuire al fatto che la sua immagine nell’opinione pubblica rimane legata all’azione come ministro degli Interni. È interessante, inoltre, notare come l’abbandono di Sarkozy di place Beauvau coincida con una diminuzione di fiducia dell’opinione pubblica nei confronti della politica del governo contro l’insicurezza. Più in generale, a partire dal 2003 Sarkozy (secondo sondaggi Sofres) risulta tra i membri dell’esecutivo il personaggio politico di gran lunga più popolare, mentre, contestualmente, aumenta lo scontento verso il governo. Ciò testimonia di un posizionamento piuttosto singolare di Sarkozy rispetto all’esecutivo al quale appartiene. Durante i due anni di partecipazione al governo Raffarin egli, infatti, riesce a farsi riconoscere come un servitore dello Stato ma, al tempo stesso, come “marginale” rispetto alla politica di governo, mostrando la sua intenzione di andare più lontano e più speditamente rispetto agli altri[16]. Un’attitudine, questa, che mantiene una volta tornato al ministero degli Interni nel maggio 2005, con il governo de Villepin.

La laicità e l’Islam
In Francia il ministro degli Interni è anche il ministro dei Culti ed è in questa veste che Sarkozy si occupa del dossier dell’Islam nella repubblica, considerato il “Vietnam dei ministri”, a causa dei ripetuti fallimenti dei suoi predecessori
[17]. Secondo le sue stesse parole, la sua preoccupazione era quella di trovare una soluzione all’esistenza, in Francia, di due Islam, uno ufficiale, sotto l’egida della Grande Moschea di Parigi, moderato ma poco rappresentativo della realtà musulmana delle banlieus, l’altro ufficioso, inquietante, con il quale non vi era mai stato reale dialogo, rappresentato dall’Uoif[18] e organizzato anche attraverso moschee clandestine (in cantine e garage) e fortemente condizionato dall’integralismo[19].

Nell’ottobre del 2002, a pochi mesi dal suo insediamento a Bercy, Sarkozy riunisce presso il ministero gli ambasciatori di Algeria e Marocco e raggiunge con loro l’accordo sulla necessità di nominare Dalil Boubakeur, rettore della Moschea di Parigi, presidente di un Consiglio Francese del Culto Musulmano (Cfcm). Il 7 dicembre, sempre presso il ministero, incontra i rappresentanti delle tre maggiori federazioni musulmane francesi (Uoif compreso) invitandole (c’è chi ha parlato, in realtà, di un ultimatum) a trovare un accordo per la designazione dei membri del futuro cfcm entro il fine settimana. Il 9 dicembre l’accordo (anche se fragile per i dissensi sul nome del presidente) è raggiunto[20]. Il 19 e il 20 dicembre, riuniti in un castello di proprietà del ministero nell’Essonne, i rappresentanti delle diverse federazioni musulmane ratificano il protocollo firmato il 9 e si accordano sulla presidenza di Boubakeur. Mai nessun ministro prima di allora, secondo quanto affermato da Bernard Godard, consigliere tecnico dei due ministri precedenti e incaricato presso l’ufficio dei Culti agli Interni, era andato tanto in là, «sino ad entrare nella cucina delle consultazioni»[21]. Sarkozy, però, non abbandona ancora il campo e fa pressioni affinché si tengano entro l’aprile del 2003 le prime elezioni del Consiglio. Nel frattempo moltiplica le sue presenze in riunioni degli islamici di Francia, avanzando anche nuove proposte come la creazione di un sistema di formazione per gli imam francesi[22].

Anche in questa occasione Sarkozy mostra il suo volontarismo e la sua propensione a rompere con schemi che ritiene superati. Sul primo punto, la sua iniziativa gli vale la critica di bonapartismo, critica che non rigetta completamente: «Se per metodo bonapartista o concordatario si designa un metodo autoritario, non mi riconosco nell’aggettivo. […] Se, al contrario, si designa un investimento personale, in ogni istante, un desiderio profondo di riuscire, la ricerca di soluzioni innovative per uscire dall’impasse ogni volta che è necessario, allora accetto la qualifica. Volevo riuscire perché ritenevo che ciò fosse necessario […], per il rilancio del nostro sistema di integrazione oggi in panne, per mettere fine alle derive comunitariste che si nutrono del sentimento di ingiustizia»[23].

Per quanto concerne il secondo punto, vale a dire la natura innovativa delle sue soluzioni, Sarkozy rivendica la necessità di una evoluzione della concezione della laicità, che tenga conto dell’impossibilità per lo Stato, dimostrata dai fatti, di restare indifferente agli affari religiosi. E nel caso dei musulmani di Francia questo gli pare tanto più importante per i pericoli insiti nello sviluppo di un Islam clandestino[24]. Ma al tempo stesso, egli ribadisce che l’integrazione può farsi solo all’interno dei valori e delle regole della repubblica: «È necessario spiegare alla comunità che si è installata in Francia più di recente le leggi della Repubblica, ma non bisogna transigere sulla loro applicazione. Ho voluto che contro gli imam che pronunciano prediche violente sia condotta un’azione molto ferma per la loro espulsione. Abbiamo rifiutato il visto di ingresso a quei conferenzieri che diffondono idee contrarie alle leggi della repubblica. […] Ma ho voluto mantenere un equilibrio: non tollerare nulla che sia contrario ai valori della Repubblica e al tempo stesso vigilare affinché tutti possano beneficiarne»[25].

Se critiche al metodo e ai contenuti della sua azione non gli sono risparmiate, il suo talento di mediatore e la personalizzazione di tutta l’operazione gli valgono non solo l’attenzione ma anche l’ammirazione di molta parte della stampa che, come sottolineato (polemicamente) da Artufel e Duroux, sacrifica l’analisi a favore di un trattamento della questione fortemente incentrato sul personaggio.[26] La stessa opinione pubblica, che si dichiara inquieta per la presenza e l’influenza dell’Islam nella società francese (il 60 per cento nel dicembre 2002) sembra in maggioranza avere fiducia nella sua azione: nel maggio 2003, in un sondaggio ipsos, il 55 per cento degli intervistati dichiarano di confidare in lui per «permettere l’integrazione dell’Islam nella repubblica»[27].

La conquista dell’Ump
L’attività di ministro ha dunque consentito a Sarkozy, a partire dal 2002, di costruirsi un’immagine di grande impatto sui media e sull’opinione pubblica. Il suo iperattivismo, la sua propensione ad affrontare questioni tanto di difficile soluzione quanto di grande risalto (dalla sicurezza alla tutela delle grandi aziende francesi, alla rappresentanza dell’Islam di Francia), la sua pervicacia nel cercare le soluzioni, la sua volontà di rupture con la politica tradizionale, gli valgono una notevole credibilità come politico del cambiamento. Al tempo stesso, il modo in cui ha utilizzato e utilizza la sua presenza nel governo appare piuttosto inusuale per la tradizione della Quinta Repubblica; come abbiamo visto si ritaglia un proprio ruolo autonomo, anche in contrapposizione con il presidente o il primo ministro.

Ma questa è solo una parte della vicenda dell’ascesa di Nicolas Sarkozy. L’altra parte riguarda la sua conquista dell’Ump. Una conquista che – resa possibile dal consenso costruito con la sua attività di ministro – ha rappresentato la conditio sine qua non della sua attuale candidatura. Da Pompidou a Chirac, passando per Giscard d’Estaing e Mitterrand, il partito ha infatti sempre costituito lo strumento attraverso il quale accedere alla presidenza. Come ben si dovette rendere conto Balladur nel 1995, privato nella sua corsa presidenziale delle risorse organizzative e materiali del partito gollista (rpr). E come ben sapeva il suo protetto Sarkozy quando, nel 2004, di fronte all’aut aut del presidente lasciò Bercy per la guida del partito: «Rimasi in dubbio per lunghe settimane. Anche il mio entourage era diviso sulla questione. Alla fine, però, l’evidenza si impose. Bisognava conquistare l’organizzazione che sarebbe stata decisiva per l’elezione presidenziale»[28].

L’Union pour une Majorité Présidentielle, poi divenuta Union pour un Mouvement Populaire, nasce nel 2002 su iniziativa di Jaques Chirac e del suo entourage dall’aggregazione dell’rpr con gran parte dell’udf, la federazione di partiti (liberale, radicale, cristiano-sociale) creata da Valery Giscard d’Estaing nel ’78, e con Démocratie Liberale, staccatasi dall’udf già nel ’99. Con l’Ump Chirac mirava a riprendere il controllo del partito. Dal 1997, anno in cui aveva sciolto anticipatamente l’Assemblea Nazionale e dato, così, il governo ai socialisti di Jospin, esso era, infatti, caduto in mano ai suoi avversari Philippe Séguin (1997) e Michèle Alliot-Marie (1999).

Il congresso fondatore del 17 novembre 2002 sceglie come presidente (con un’elezione diretta degli aderenti, prevista dal nuovo statuto ma già operativa nell’rpr dal 1998) il delfino di Chirac, Alain Juppé, che si trova così in pole position per le presidenziali del 2007 nel caso Chirac non si ripresenti per un terzo mandato[29]. Attivissimo segretario generale dell’rpr tra il 1998 e il 1999, durante la presidenza di Séguin, Nicolas Sarkozy nel 2002 deve accettare che Chirac consegni la presidenza del partito a Juppé. Per i due rivali seguiranno due anni di conflitti e tregue[30]. Al tempo stesso, però, Sarkozy decide di non sfidare apertamente la presidenza di Juppé. Preferisce rimandare ogni iniziativa a dopo le scadenze elettorali (regionali, cantonali, europee) del 2004: «Dopo le scadenze elettorali del 2004 la destra dovrà riflettere su come organizzarsi per la scadenza del 2007, ma da adesso ad allora lascio che Alain Juppé diriga l’Ump come preferisce»[31]. Per il momento sceglie di capitalizzare il consenso che gli deriva dalla sua attività di ministro degli Interni. Anche se nel frattempo ha già ottenuto una vittoria importante: nel settembre 2002, durante l’elaborazione dello statuto del partito riesce a far ridurre la durata del mandato della direzione transitoria da tre a due anni[32].

Il coinvolgimento del delfino di Chirac in una vicenda di assunzioni irregolari alla mairie di Parigi a favore dell’Ump e il suo conseguente annuncio dell’abbandono della presidenza del partito per l’ottobre novembre 2004 rilancia la battaglia[33]. Sempre nel 2004 un altro fattore sembra aiutare Sarkozy: la débâcle dell’Ump alle consultazioni regionali, cantonali ed europee. Un rinnovamento del partito appare più urgente e tale urgenza è avvertita con particolare intensità – come è naturale – dai parlamentari dell’Ump.

Sarkozy ha sempre curato il suo rapporto con i parlamentari, coinvolgendoli nella sua attività di ministro. E seducendoli: come riporta Catherine Nay «Durante le sessioni dell’Assemblea consacrate alle questioni di attualità – dice – è sufficiente che sia interpellato perché cali il silenzio. Abituato da tempo ai dibattiti di ogni genere, si raddrizza come una ‘I’, punta il dito contro l’opposizione, dà delle cifre, spiega, redarguisce e mette l’avversario alle corde. Una virtuosità che contrasta con le laboriose performance di molti dei suoi colleghi»[34]. Un mese e mezzo prima dell’ufficializzazione della sua candidatura al vertice del partito, si cura di invitare al ministero per un pranzo i parlamentari Ump e duecentotrentasette accolgono il suo invito[35]. Il motivo ufficiale è la discussione su uno dei più importanti dossier affrontati da Sarkozy a Bercy: la riforma dello statuto dell’Edf-Gdf (azienda produttrice di elettricità). Ma si parla anche di politica: in quell’occasione, infatti, il ministro dell’Economia traccia un bilancio delle passate elezioni e delle prospettive del partito[36].

E sono proprio i parlamentari che cominciano a rivolgere gli inviti più pressanti a Sarkozy affinché si candidi a guidare il partito. Tra di essi vi sono esponenti di punta dell’Ump, come Hervé Novelli, leader dei liberali che dichiarava: «L’avanzata di Nicolas Sarkozy seduce tutti coloro che vogliono il cambiamento: è necessario rendere dinamico l’Ump per farne un partito vincente»; o Pierre Méhagnerie, alla testa del gruppo centrista Democratici e Popolari: «Vedo la capacità di gestione di Nicolas Sarkozy, la sua capacità di mobilitare le forze e di vincere le elezioni»[37].

Sarkozy appare, dunque, colui che è in grado di portare alla vittoria l’Ump; per questo riesce a trascinare dietro di sé buona parte degli eletti e del partito. Al congresso del 28 novembre 2004, in una competizione dove accanto a quella di Sarkozy vi sono solo due candidature di testimonianza,[38] questi raccoglie l’85 per cento per cento dei voti. La partecipazione al voto è significativa: il 53 per cento degli iscritti dichiarati. Due anni prima Juppé aveva raccolto il 79 per cento dei consensi con una partecipazione del 29 per cento. Quattrocentonove parlamentari sono presenti alla sua consacrazione[39].

Di fronte all’inarrestabile avanzata di Sarkozy, gli chiracchiani avevano tentato, prima del congresso di novembre, di sdrammatizzare la sua ormai probabile ascesa insistendo nel mantenere distinta presidenza del partito e candidatura alle elezioni presidenziali[40]. Ma tutta l’attività del presidente dell’Ump sarà da quel momento in poi rivolta a rendere la prima il trampolino per la seconda.

Con Sarkozy il partito viene messo in uno stato di mobilitazione permanente. Viene avviata una massiccia campagna di reclutamento che in due anni porta a più che raddoppiare il numero degli iscritti[41]. Il partito, inoltre, è trasformato in un luogo di continuo dibattito: Sarkozy incarica la sua consigliera Emmanuelle Mignon di organizzare una serie di convenzioni tematiche (dalle istituzioni all’educazione, dalla salute all’immigrazione e alla giustizia) ogni due mesi. Dal marzo 2005 all’ottobre 2006 si tengono 18 convenzioni. Lo schema è sempre lo stesso: esperti, personalità pubbliche ed eletti si incontrano in una giornata di lavori e intervengono su un tema; invariabilmente i lavori sono conclusi dal presidente Nicolas Sarkozy. Per la prima volta – come è stato osservato – «un partito ha costruito una scenografia attorno ad un programma presidenziale elaborato in vivo con l’apporto di tutti e davanti ai media che regolarmente danno conto dei lavori delle convenzioni»[42]. In realtà, i risultati di questi lavori, filtrati da una Commissione progetto e quindi sottoposti alla consultazione degli aderenti (chiamati a selezionare ed ordinare una serie di punti per ogni tema) hanno dato luogo ad un progetto per le elezioni legislative del 2007[43]. Ma è comunque evidente il ruolo cruciale svolto da Sarkozy nella formulazione di quel progetto. Progetto per le legislative e progetto presidenziale, così, si confondono, ma il vero motore di entrambi è il candidato alla presidenza. Forse mai con tanta nettezza, nella storia della Quinta Repubblica, si era realizzata una tale identificazione tra il partito e il suo candidato nella corsa presidenziale.

Anche dopo la vittoria del novembre 2004 Sarkozy si preoccupa di mantenere e allargare l’appoggio degli eletti (riceve ogni settimana delle delegazioni e li coinvolge nel lavoro delle convenzioni), che si traduce anche in una crescente ostilità di parte di essi nei confronti dello stesso primo ministro Dominique de Villepin (nominato nel maggio 2005), per una fase considerata l’unica alternativa a Sarkozy per la candidatura alla più alta carica dello Stato. Preoccupati per la loro rielezione, i deputati seguono, così, «l’unico uomo che sembra capace di guidarli nella notte elettorale»[44].

Presa sugli eletti (ricordiamo che l’Ump rimane un partito dove essi mantengono un ruolo cruciale) e capacità di trasformare i simpatizzanti in aderenti sono i punti di forza della leadership di Sarkozy. La consapevolezza della sua capacità di trascinare la base del partito lo porta a condurre un lunga battaglia per introdurre la scelta del candidato alla presidenza mediante il voto degli aderenti. L’idea, di fatto da lui già sostenuta dal 2002, era stata scartata in occasione dell’elaborazione dello statuto del partito: secondo l’ortodossia gollista l’elezione presidenziale è l’appuntamento tra un uomo e un paese, non può essere ridotta a questione di partito. Nonostante le resistenze dei gollisti tradizionali, alla fine – però – l’ufficio politico del partito, riunito il 6 dicembre 2005, decide che saranno gli aderenti a scegliere il candidato[45]. Sarkozy, in questo modo, forza il partito verso una maggiore democratizzazione[46] interna, già avviata con la scelta dell’elezione diretta del presidente del partito adottata nello statuto del 2002. Una democratizzazione che, nel grado in cui consente un legame diretto tra il leader e i semplici aderenti, permette al primo – quando gode di ampia popolarità – di rafforzarsi vis à vis l’oligarchia del partito.

Alla designazione di Nicolas Sarkozy come candidato alle presidenziali 2007 non si giunge, però, attraverso vere e proprie primarie. In un contesto di regole non del tutto chiare, nessun candidato alternativo si fa avanti prima della scadenza decisa dal partito: il 31 dicembre 2006. Al congresso del 14 gennaio a Porte de Versailles Sarkozy, unico candidato, è plebiscitato con il 98,1 per cento dei voti, con una partecipazione (su 337 mila iscritti) del 69 per cento, significativamente superiore anche a quella del 2004. La messa in scena della manifestazione sembra suggerire che Sarkozy sia riuscito laddove Chirac nel 1995 aveva fallito: avere dietro di sé tutto il partito. Prima del suo intervento finale salgono sul palco, per portargli il loro sostegno e dichiarare il proprio impegno nella campagna presidenziale, lo chiracchiano Alain Juppé e la gollista ortodossa Michèle Alliot-Marie, ministro della Difesa, che fino all’ultimo momento aveva ipotizzato una sua candidatura esterna al partito.

Nelle democrazie maggioritarie la guida del governo è un fattore che contribuisce in modo significativo al rafforzamento della leadership. Se gli enormi poteri di cui gode il presidente della Quinta Repubblica concorreranno anch’essi a forgiare la leadership di Nicolas Sarkozy, saranno le imminenti elezioni a deciderlo.

 

Note
1.       P. Stephens, Tony Blair. The Making of a World Leader, New York, Viking Penguin, 2005, pp. 61-62.
2.       S. Ventura, Il presidente nella V repubblica. Presidente dei francesi o leader della maggioranza? Convegno nazionale della Società Italiana di Scienza Politica, Bologna 12-14 settembre 2006,
3.       N. Sarkozy, Témoignage, Paris, XO Editions, 2006, pp. 23-24.

4.       C. Nay, Un pouvoir nommé désir, Paris, Grasset, 2007, pp. 323-326.
5.       C. Artufel e M. Duroux, Nicolas Sarkozy et la communication, Paris, Editions Pepper, 2006, p. 124.
6.       Ibidem, p. 122.
7.       N. Sarkozy, Témoignage, op. cit. p. 18.
8.       C. Nay, Un pouvoir nommé désir, op. cit. pp. 328; 320.
9.       Ibidem, 358.
10.       In un articolo dedicato ad un incontro di Sarkozy con i giovani dell’Ump sul voto per la Costituzione europea, intitolato “Criticando implicitamente Chirac, Sarkozy giudica che ‘il migliore modello sociale non è più il nostro’ ”, si faceva notare che, mentre per il capo dello Stato la Costituzione europea avrebbe protetto il modello sociale francese dai pericoli di una deregolamentazione liberale, secondo Sarkozy il modello sociale migliore avrebbe dovuto essere quello «che dà lavoro a ciascuno», con implicito riferimento all’esperienza della Gran Bretagna. (Le Monde, 14 maggio 2005).
11.       Conferenza davanti alla stampa francese durante il suo viaggio negli Stati Uniti nell’ottobre 2004, citato in M. Darmon, La vraie nature de Nicolas Sarkozy, Paris, Seuil, 2007, p. 76.
12.       C. Nay, Un pouvoir nommé désir, op. cit., p.375-376.
13.       M. Darmon, La vraie nature de Nicolas Sarkozy, op. cit., p. 78.
14.       C. Nay, Un pouvoir nommé désir, op. cit, p. 360.
15.       Sondaggio IPSOS/Le Point, agosto 2004, cit. in C. Artufel e M. Duroux, Nicolas Sarkozy et la communication, op. cit., p. 174.
16.       Ibidem, p. 178.
17.       C. Nay, Un pouvoir nommé désir, op. cit, p. 330.
18.       Union des organisations islamiques de France, una organizzazione che non raccoglie la maggioranza delle moschee ma che possiede una importante rete associativa operante nell’ambito sociale.

19.       N. Sarkozy, La République, les religions, l’espérance, Paris, Cerf, 2004, p. 59.
20.       In C. Artufel e M. Duroux, Nicolas Sarkozy et la communication, op. cit., p. 130; C. Nay, Un pouvoir nommé désir, op. cit., p. 331.

21.       Le Monde, 21 dicembre 2002.
22.       Le Monde, 1 aprile 2003.

23.       N. Sarkozy, La République, les religions, l’espérance, pp. 64-65.
24.       Ibidem, p. 65.
25.       Ibidem, p. 88.
26.       C. Artufel e M. Duroux, Nicolas Sarkozy et la communication, op. cit, p. 132.
27.       Ibidem, p. 173.
28.       N. Sarkozy, Témoignage, op. cit. p. 43.

29.       S. Ventura, La Francia della V Repubblica. Bipolarismo a formato variabile e presidenzializzazione dei partiti, in Pietro Grilli di Cortona e Gianfranco Pasquino (a cura di) Partiti e sistemi partitici in Europa, Bologna, il Mulino, 2007
30.       Le Point, 6 dicembre 2002, Le Monde, 28 novembre 2003.
31.       Confidenza raccolta da Le Monde, 10 settembre 2002.
32.       Le Monde, 5 settembre 2002.
33.       La Croix, 5 febbraio 2004.
34.       C. Nay, Un pouvoir nommé désir, op. cit. p. 327.
35.       Le Figaro, 16 giugno 2004.
36.       Le Monde, 16 giugno 2004.
37.       Ibidem.
38.       F. Haegel, Le pluralisme à l’Ump, in Partis politique et système partisan en France, Paris, Presse de la Fondation nationale de Science Politique, 2007, p. 250.
39.       H. Chevrillon, Sarkozy connection, Paris, Hachette, 2007, 144.
40.       Liberation, 22 giugno 2004; Le Monde, 2 settembre 2004.
41.       Dai 132.922 del novembre 2004 si è passati ai 338.544 di oggi.
42.       M. Darmon, La vrai nature de Nicolas Sarkozy, op. cit. p. 64.

43.       www.u-m-p.org
44.       H. Chevrillon, Sarkozy connection, op. cit. p. 145.

45.       Le Monde, 24 agosto 2002; Le Monde, 7 settembre 2005; Libération, 9 settembre, 2005; La Croix, 6 dicembre 2005; Le Nouvel Observateur, 22 dicembre 2005.

46.       Si intende qui per democratizzazione l’accrescimento dei poteri accordati ai membri di un partito nella designazione delle cariche interne. A questo proposito è stato osservato che l’accrescimento dei benefici è un mezzo per aumentare le adesioni e l’ampliamento dei diritti degli aderenti costituisce per l’organizzazione uno dei mezzi meno costosi (F. Haegel, C. Pütz, N. Sauger, Les transformations de la démocratie dans et par les partis: l’exemple de l’udf e du rpr, in P. Perrinau (a cura di), Le déchantement dèmocratique, L’Aube, 2003, p. 180).




Sofia Ventura, docente di Scienze politiche all’Università di Bologna, sede di Forlì.

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