Un'elezione destinata a lasciare il segno
di Philippe Chriqui
Ideazione di
marzo-aprile 2007

Come le elezioni del 1981, le presidenziali francesi del 2007 sembrano essere caratterizzate da un forte desiderio di cambiamento espresso dal corpo elettorale. Fatto del tutto inedito durante la Quinta Repubblica, questa volta nessun ex presidente o ex primo ministro sarà candidato. In questa tornata elettorale di rinnovamento, dunque, la Francia è sicura di eleggere un uomo, o una donna, “nuovo”. Si tratta di un fatto banale nei paesi anglosassoni ma originale in Francia. In questa elezione ci si attende un dibattito più acceso del solito per almeno due ragioni. In primo luogo, gli elettori hanno la sensazione di esser stati privati, nel 2002, di un vero e proprio dibattito a causa della sconfitta della sinistra al primo turno. In secondo luogo, la Francia è cosciente di trovarsi ad un momento di svolta di fronte all’evoluzione del mondo, momento che impone uno sforzo di adattamento pur nel rispetto delle proprie specificità nazionali e nella continuità della propria storia. Coscienti del fatto che l’elezione presidenziale dovrà iscriversi nel solco del cambiamento, i principali candidati fanno spesso riferimento al 1981, un anno che ha rappresentato, senza ombra di dubbio, un momento di svolta. Ségolène Royal si richiama espressamente all’eredità di François Mitterrand, ben lungi dal «diritto d’inventario» (in cui poter distinguere le cose buone da quelle cattive, ndt) inventato da Lionel Jospin nel 1995. Nicolas Sarkozy s’ispira apertamente al manifesto della campagna elettorale dell’ex primo segretario del Partito socialista e si spinge sino ad una parodia del suo stesso slogan rivendicando una «rupture tranquille» che fa eco alla «force tranquille» mitterrandiana del 1981. Tuttavia nulla nella situazione attuale ricorda il periodo che vide la sinistra conquistare il potere per «changer la vie». Né la sfiducia verso la politica, né la crisi sociale ed economica né, tanto meno, i valori in auge. In questa tornata elettorale, tutti i punti di riferimento tradizionali sembrano spostarsi. Sotto molti aspetti, quest’appuntamento elettorale si annuncia per la Francia atipico e cruciale.

Un paese in declino, estraneo alle dinamiche della globalizzazione
La Francia, fiera di sé al punto di esser talvolta percepita all’estero come arrogante, ha in realtà seri dubbi sul suo avvenire. È il paese più depresso d’Europa. Il 61 per cento dei suoi cittadini ritiene che «le cose vanno in una cattiva direzione» e solo il 20 per cento «in quella giusta». Così la Francia si situa, per quanto riguarda questo indicatore, all’ultimo posto fra i 25 paesi dell’Unione Europea, ben distante dall’Italia che occupa il sedicesimo posto.  

Tre quarti dei francesi si dice pessimista sulla situazione economica del paese, comprese le categorie economicamente più agiate[1]. Dato che sottolinea la profonda crisi di fiducia nell’avvenire economico del paese. Il 52 per cento dei francesi è convinto che il paese stia attraversando una fase di declino (solo per l’8 per cento si tratta invece di una fase di progresso), sensazione condivisa da tutte le categorie sociali e politiche. Una crisi di fiducia che rispecchia un malessere di fronte all’evoluzione del mondo contemporaneo. A destra come a sinistra, i francesi ritengono che la Francia «non trae beneficio dalla mondializzazione degli scambi economici» (42 per cento) e «non trae beneficio dalla costruzione europea» (41 per cento)[2]. La paura del presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso che uno «stesso fenomeno di rigetto accomuni la mondializzazione e l’Europa» sembra confermarsi, tanto che l’Unione Europea appare ai francesi più come un catalizzatore degli eccessi della mondializzazione che come una protezione. Di fronte a questi obblighi esterni, la tentazione del ripiegamento su se stessi è grande, tanto più che la crisi non è solo economica e sociale ma anche politica.

 

La crisi profonda del sistema politico
La crisi della rappresentanza politica in Francia è grave. La maggioranza assoluta dei francesi non accorda più nessuna fiducia per condurre l’azione di governo né alla destra né alla sinistra. La proporzione è impressionante (65 per cento) e ha continuato a crescere nel corso dell’ultimo decennio.

Questa crisi investe più la sinistra che la destra. Solo il 36 per cento dei simpatizzanti della sinistra ha fiducia nella sinistra al governo mentre il 45 per cento di quelli di destra continuano ad accordare fiducia al proprio schieramento. Questa circostanza merita ancor più di esser sottolineata in relazione al fatto che la destra ha dietro di sé cinque anni di duro esercizio del potere.

Diversi avvenimenti hanno illustrato, in questi ultimi tempi, il fenomeno della crisi che attraversa la politica in Francia. In primo luogo, quello che viene chiamato l’effetto “tergicristallo”: dal 1981 ad oggi, ad ogni appuntamento elettorale gli elettori hanno espresso un rigetto delle maggioranze al potere. Con la banalizzazione dell’alternanza la democrazia ci ha guadagnato. I politici, invece, hanno perso credibilità circa la loro capacità ad apportare delle soluzioni ai problemi per i quali erano stati eletti. Inoltre, il fatto che il candidato della sinistra, Lionel Jospin, non sia riuscito a superare il primo turno dell’elezione presidenziale del 2002, superato dal candidato di estrema destra Jean-Marie Le Pen, ha rappresentato un “terremoto” politico che ha completato l’opera di appannamento dei punti di riferimento tradizionali. Il “no” della Francia al referendum di ratifica del Trattato costituzionale europeo nel maggio 2005 ha costituito infine l’ultimo segnale della sfiducia elettorale inviato alle istituzioni francesi ed europee.

Rinnovamento e paura, i due poli della campagna elettorale
Lo stato d’animo dell’elettorato è caratterizzato da un fortissimo desiderio di cambiamento e di rinnovamento, presente sia a destra che a sinistra. Rinnovamento del ceto politico, del modo di fare politica, delle poste in gioco e dei valori.

Il rinnovamento dei candidati non è sufficiente per rispondere alla profonda crisi del sistema politico. Con la fine dei due mandati di Jacques Chirac, si chiude, in Francia un lungo ciclo politico. Egli è stato primo ministro dal 1974 al 1976 e, nuovamente, dal 1986 al 1988, è stato candidato ben tre volte all’Eliseo (1981, 1988, 1995), presidente della Repubblica eletto nel 1995 e rieletto nel 2002. Il desiderio di rinnovamento del personale politico è molto forte. I principali candidati a quest’elezione presidenziale, Nicolas Sarkozy per l’Ump e Ségolène Royal per il Ps, sono dei cinquantenni e dei neo-candidati. Per loro, la “verginità politica” è un vantaggio. Incarnano la capacità a spostare i divari, anche e soprattutto all’interno del proprio campo.

Sebbene emersi attraverso percorsi paralleli, i due candidati presentano profili molto diversi. I punti di forza di Ségolène Royal sono il fatto di essere una donna, di apparire vicina alle preoccupazioni della popolazione (si esprime sempre come una voce “della provincia” e mai “di Parigi”), di mostrarsi incline all’ascolto della gente grazie alla sua campagna partecipativa e di rassicurare, fattore quest’ultimo che rappresenta un grosso vantaggio in un periodo di inquietudini. Il suo principale handicap, invece, è la mancanza di esperienza politica ad alto livello, da cui deriva un deficit di credibilità circa la sua capacità di vestire i panni presidenziali. Questo deficit di credibilità si ritrova perfino nel suo stesso schieramento. Un terzo dei simpatizzanti di sinistra, infatti, arriva a dubitare della sua “stoffa presidenziale”3. Si tratta di un serio svantaggio per chi intenda esercitare, in Francia, la funzione suprema.

 

Nicolas Sarkozy, al contrario, colpisce per dinamismo, forza di persuasione, chiarezza del linguaggio e per una certa predisposizione ad apparire meno dogmatico e più pragmatico. Le sue competenze e la sua capacità ad assumere il ruolo di presidente della Repubblica sono unanimemente riconosciute. Ma la sua volontà di accelerare le riforme sino ad operare delle rotture, per quanto “tranquille” (come nello slogan mutuato da Mitterrand) suscita inquietudine in un paese che è al contempo tentato dalla riforma ed arroccato sui suoi diritti acquisiti. La sua forza di repulsione è il maggior difetto, anche all’interno del suo stesso schieramento, in quanto preoccupa il 42 per cento dei simpatizzanti della destra.

Ci si può chiedere se i francesi non abbiano fatto propria l’affermazione di Adolphe Thiers che nella sua Histoire du Consulat et de l’Empire affermava che «un paese deve imparare che non bisogna mai affidarsi totalmente ad un uomo politico, chiunque sia quest’uomo e qualunque siano le circostanze».

Ordine e autorità, lo scivolamento a destra
L’identificazione di quelli che dovrebbero essere, agli occhi dell’elettorato, i principali problemi all’ordine del giorno della campagna non permette, in realtà, di rendere sufficientemente intelligibile la competizione elettorale.

Tra i problemi considerati come più rilevanti dagli elettori, la disoccupazione si colloca al primo posto (50 per cento), l’aumento dei prezzi al secondo (24 per cento), seguito dalle disuguaglianze sociali (23 per cento). La questione del potere d’acquisto compare per la prima volta fra i temi elettorali in quanto tre quarti dei francesi hanno l’impressione che il loro potere d’acquisto diminuisca. Questo sembrerebbe porre la questione sociale al centro dei dibattiti. Vengono, di seguito, la questione della sicurezza (17 per cento) e quella dell’immigrazione (17 per cento) che hanno a che fare con la questione nazionale relegata così in secondo piano. Infine, seppure gli elettori si dichiarano molto preoccupati dalle questioni ambientali, queste non danno adito a dibattito da quando sono state riprese sia a destra che a sinistra.

Essendo la questione della disoccupazione, di fatto, al centro delle preoccupazioni degli elettori da più di trent’anni, questa gerarchia non permette di sondare sufficientemente l’elettorato. Un’analisi più approfondita dei valori mostra che, in realtà, lo stato d’animo degli elettori è più complesso e non si riduce al classico scontro destra/sinistra con, da un lato, un campo che si fa carico delle questioni sociali e, dall’altro, uno schieramento che si appropria delle questioni nazionali.

Il desiderio d’ordine e d’autorità appare in maniera particolarmente marcata in quanto i francesi vedono la società attuale attraversata da disordini di ogni tipo: sociali, economici, politici e istituzionali. La Francia che si appresta a votare nel 2007 non è mai stata, dal punto di vista delle idee e dei valori, così a destra come in questo momento. Ma questo fenomeno è comune a tutta l’Europa. Il centro di gravità si è radicalmente spostato da questa parte della scacchiera politica. Come nota Eric Dupin: «La svolta a destra, nei paesi ricchi, attraversa tutto lo spettro politico. Molte idee di destra hanno conquistato i loro avversari storici. Le sinistre occidentali sono impegnate da diversi anni in una spettacolare opera di spostamento al centro»[4].

La richiesta di ordine si traduce in un’attesa di maggiore severità da parte della giustizia con una marcata preferenza per le soluzioni repressive e un arroccamento sulla questione dell’immigrazione.

In Francia, valori come l’ordine e l’autorità non sono più appannaggio esclusivo della destra, anche una maggioranza di simpatizzanti di sinistra ritiene che questi due valori siano positivi[5]. A destra, la richiesta d’ordine riguarda innanzitutto la coesione sociale ed i dibattiti sull’immigrazione e l’integrazione. Se i simpatizzanti di destra si focalizzano maggiormente sulla sicurezza e l’immigrazione, a sinistra, sono particolarmente sentite le questioni della laicità e del comunitarismo. Il successo di Ségolène Royal nelle primarie del Partito socialista deve molto, d’altronde, alle sue prese di posizione iconoclaste su questi temi.

In entrambi i casi, la questione nazionale è in filigrana. La sua importanza è più profonda di quanto la gerarchia delle priorità non lasci pensare. Le attitudini e le idee vengono da destra e si diffondono a sinistra. A tal punto che un intellettuale di sinistra, lo storico Max Gallo, si è schierato con Nicolas Sarkozy in ragione della centralità della posta in gioco nazionale per la Francia contemporanea. Una questione, quella della nazione, che ingloba al contempo il rapporto con l’altro e la sua integrazione e il rapporto con gli altri, l’Europa e il mondo, nel quale la nazione deve ridefinire il suo posto.

L’atteggiamento dei francesi di fronte al liberalismo è piuttosto ambiguo. Pur restando in maggioranza favorevoli all’economia di mercato ed al funzionamento della concorrenza, i francesi si situano al di sotto della media europea su questo punto. Il 62 per cento degli europei ritengono infatti che «la libera concorrenza sia il miglior mezzo per garantire la prosperità», un’asserzione che i francesi condividono, ma in misura minore rispetto agli italiani (52 per cento contro 65)[6].

Se la parola liberalismo non fa paura – essa è in Francia associata, a sinistra, alla libertà dei costumi – il concetto di liberalismo economico, invece, è guardato con sospetto, come dimostra il relativo rigetto del profitto, della mondializzazione o degli Stati Uniti; e la diffidenza nei riguardi del liberalismo economico è forte anche all’interno della stessa destra.

La richiesta d’ordine si traduce anche in una richiesta di protezione sul terreno economico. La sinistra assimila il liberalismo alla deregulation, la destra formula delle riserve sulla mondializzazione come fattore di regolamentazione dell’economia. Da qui il forte attaccamento dei francesi all’intervento dello Stato in materia economica, fattore con il quale la destra deve fare i conti. Sarkozy si pronuncia così in favore di un certo interventismo statale proponendo che «lo Stato selezioni una decina di settori preponderanti come l’energia, il settore farmaceutico, le telecomunicazioni eccetera e che vi investa le risorse necessarie per svilupparli e farne dei campioni nazionali» (intervista al quotidiano Les Echos, 9 novembre 2006.)

La battaglia dei valori: la protezione contro il merito
In questa tornata elettorale, se le vere poste in gioco sono talvolta difficili da individuare, la battaglia valoriale oppone chiaramente i due schieramenti. Essa riguarda il rapporto del cittadino con la collettività. Da qui deriva un’opposizione frontale tra protezione e merito. Il merito individuale è, in effetti, sostenuto con vigore a destra. Nel suo discorso del 14 gennaio, durante il congresso d’investitura dell’ump, Nicolas Sarkozy non esitava ad affermare: «La Repubblica reale non è la Repubblica nella quale ognuno riceve la stessa cosa. È la Repubblica nella quale ciascuno riceve secondo il suo merito o il suo handicap» valorizzando così, con un unico slancio, il merito e la «discriminazione positiva».

La sinistra, invece, continua a privilegiare la protezione. La reazione di Ségolène Royal all’asserzione del candidato di destra mostra quanto sia forte l’opposizione su questa questione: «C’è una frase terribile che è stata pronunciata da Nicolas Sarkozy. Egli ha detto “la Repubblica non aiuterà coloro che non si aiutano da soli”. Io, invece, voglio dire ai francesi [...]: la Repubblica aiuterà tutti ed aiuterà quelli che non riescono ad aiutarsi, darà loro le condizioni per riprendere in mano la loro vita. Essa non lascerà da parte nessuno perché per ripartire la Francia ha bisogno di tutti, compresi coloro che si trovano, provvisoriamente, in situazione di debolezza».

Lo stato d’animo dei francesi alla vigilia delle elezioni del 2007 evoca in modo irresistibile il desiderio di cambiamento del 1981 ma oggi, a differenza di allora, la necessità di un profondo cambiamento è altrettanto forte sia a destra che a sinistra. Anche le richieste sociali sono diverse da quel periodo: desiderio d’ordine, di protezione di fronte alle paure instillate dalla deregulation economica, mancanza di fiducia della popolazione, importanza della questione nazionale e non solo di quella sociale. Per illustrare i limiti di questa comparazione storica, viene ad aggiungersi, infine, lo stato di confusione ideologica in cui versa il paese. Oggi, in questa campagna la mossa strategica per i candidati consiste nel riuscire ad incarnare il proprio schieramento, effettuando al contempo delle audaci incursioni nello schieramento avverso. La strategia è ripresa dalla sinistra quando Ségolène Royal afferma, ad esempio, che, contrariamente a quanto si dice, «Nicolas Sarkozy non è intervenuto troppo in materia di sicurezza, non è intervenuto abbastanza». Il valore del lavoro, nozione in origine di sinistra, è ripresa dalla destra che intende incoraggiare «a lavorare di più per guadagnare di più», spingendo la sinistra su posizioni difensive a causa delle 35 ore. Una misura quest’ultima, che la sinistra non riesce a sostenere dopo che è stata messa in discussione da parte delle categorie popolari, proprio quelle categorie che non l’hanno appoggiata nel 2002. Le incursioni sono molteplici da entrambi i lati. Nicolas Sarkozy si spinge sino a citare le figure storiche di Jean Jaurès e Léon Blum e intende «riabilitare la bella parola “lavoratore”». Ségolène Royal, dal canto suo, non esita a citare Jeanne d’Arc, Charles Péguy e il Generale de Gaulle. Ma per riuscire ad effettuare delle incursioni sempre più azzardate sul territorio dell’avversario, ogni candidato deve poter incarnare, senza ambiguità, il proprio campo. Nicolas Sarkozy è oggi un candidato indiscusso, quasi all’unanimità, nel suo schieramento. Non si può dire lo stesso, invece, della candidatura di Ségolène Royal, rimessa in discussione da parte di un terzo circa della sinistra[7]. Come scrive Eric Dupin: «Oramai è la sinistra, e non la destra, che non ha più fiducia in se stessa. Iscrivendosi nel quadro mentale dell’avversario, essa incontra serie difficoltà a coniugare i suoi valori tradizionali con scelte politiche obbligate».[8]

La crisi della politica sfuma, in effetti, i tradizionali punti di riferimento e i candidati devono prendere in seria considerazione questo dato. Un terzo dei francesi nel 2006 non si sente né di destra né di sinistra, mentre nel 1997, erano solo un quarto coloro che avevano questa posizione. Questo non significa che il divario fra destra e sinistra non esista più. Si assiste senza ombra di dubbio alla sua riformulazione. Nel 1981, la sinistra incarnava il cambiamento senza ambiguità («changer la vie») e la destra il conservatorismo dopo 23 anni di esercizio ininterrotto del potere.

Oggi le nozioni d’ordine associato alla destra e di movimento associato alla sinistra appaiono caduche. La sfida, per i candidati, è quella di incarnare al contempo il movimento e l’ordine. Nicolas Sarkozy ha avuto successo nella performance consistente nel rappresentare l’ordine (attraverso le sue funzioni di ministro degli Interni) ma anche nell’incarnare la rottura, malgrado la sua presenza al governo da cinque anni. La sinistra, malgrado le sue incursioni sul terreno dell’ordine, sembra ancora rincorrere l’opinione pubblica e trova tuttora difficoltà ad impersonare il grande cambiamento che i suoi elettori attendono, anche se lo slogan di Ségolène Royal afferma «il faut que ça change fort» (bisogna cambiare radicalmente).

Come sottolinea il filosofo ceco Vaclav Belohradsky: «La crisi della politica è strettamente legata alla questione della promessa» ricordando la frase di Jan Patocka «la promessa è una visione dell’utopia». Oggi i candidati si affrontano meno sulle promesse preferendo affermare dei valori ed adottare un atteggiamento più modesto. In questo prendono in considerazione il fatto che se i tre quarti dei francesi dicono di interessarsi alla campagna, essi credono poco che i risultati delle elezioni possano cambiare le cose.

In questa elezione tutto è paradossale. Mai come oggi il baricentro politico è stato così a destra, mai i valori di destra sono stati così diffusi nella società senza, tuttavia, per questo, assicurare la vittoria alla destra. Al contrario, malgrado la forte avversione alla mondializzazione e al liberalismo, la sinistra non può sperare di vincere collocandosi esclusivamente sul tradizionale terreno sociale. Elezione atipica, elezione di rinnovamento, elezione di rottura, tutto fa dell’elezione presidenziale del 2007, quale che sia il risultato, un’elezione che lascerà il segno nella vita politica francese.

 

Note
1.       Pascal Perrineau e Jérôme Jaffré, Sintesi del Baromètre Politique Français, Cevipof, ministero dell’Interno, primavera 2006. Il 74 per cento dei francesi è pessimista sulla situazione economica del paese. Sono il 64 per cento tra coloro che se la cavano finanziariamente «molto facilmente» e l’83 per cento tra coloro che se la cavano «molto difficilmente».
2.       Cevipof, Bpf, ministero dell’Interno, ifop, autunno 2006.
3.       Cevipof, Bpf, ministero dell’Interno, ifop, autunno 2006.
4.       Eric Dupin, A droite toute, Parigi, Fayard 2007.
5.       Il 58 per cento dei simpatizzanti di sinistra e il 92 per cento di quelli di destra che hanno partecipato all’inchiesta Internet-Expression publique ritengono che la parola “ordine” sia positiva. Il 56 per cento a sinistra e l’87 per cento a destra hanno la stessa opinione riguardo all’autorità.
6.       Cevipof, Bpf, ministero dell’Interno, Ifop, autunno 2006.
7.       Fonte: Csa – Le Parisien, 24 gennaio 2007. L’85 per cento dei simpatizzanti di destra giudicano solida e il 79 per cento credibile la campagna di Sarkozy. Il 55 per cento dei simpatizzanti di sinistra giudicano credibile e il 45 per cento solida, quella di Ségolène Royal.
8.       Op. Cit.

 

 

(traduzione dal francese di Paolo Modugno)




Philippe Chriqui, consulente in studi sull’opinione pubblica e direttore del sito Expression-publique.com.

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