Il grande comunicatore più politico che populista
di Donatella Campus
Ideazione di
marzo-aprile 2007

Nicolas Sarkozy è un leader mediatico. Questo è almeno il modo in cui viene descritto da opinionisti, giornalisti e studiosi. Il che equivale a dire che la sua ascesa alla testa del partito gollista e la sua conquista della nomination presidenziale non possono essere spiegate a prescindere dal suo modo di comunicare e di proporsi ai mass media e al pubblico. Ma perché il fattore comunicazione politica è così importante nella carriera di Sarkozy? In che cosa si distingue dagli altri leader gollisti, Chirac in testa, e dai suoi avversari politici?

Innanzittutto, si deve sottolineare che la personalizzazione della politica francese non nasce con Sarkozy. Come avviene abitualmente nei sistemi presidenziali e semipresidenziali, anche le campagne elettorali francesi sono incentrate sulle persone, sulle loro capacità e sul loro carattere. D’altronde, il padre e ideatore della Quinta Repubblica, Charles de Gaulle, volle fortemente l’elezione diretta del presidente della Repubblica proprio per imporre «una scelta tra uomini con le loro caratteristiche personali e la linea politica che rappresentano, non più una scelta tra partiti»[1]. Di conseguenza, i mass media francesi sono inclini ad enfatizzare l’horse race, cioè la competizione tra i candidati. Soprattutto negli ultimi vent’anni, complice la modernizzazione delle campagne elettorali, in Francia si sono riscontrate similitudini con quel che accade negli Stati Uniti: grande enfasi data ai sondaggi, alle immagini dei candidati, alla retorica della gara tra due contendenti[2]. In questo senso, la campagna presidenziale del 2007, pur lasciando presagire un duello elettorale particolarmente vivace e una partecipazione dei media specialmente intensa, sarà in linea con le precedenti.

Per quale ragione, quindi, la comunicazione politica di Sarkozy ha attirato e attira tanta attenzione? In primo luogo va detto che la mediaticità di Sarkozy riguarda soprattutto il modo di orchestrare la sua partecipazione al pubblico dibattito. Nel panorama politico francese, Sarkozy dimostra di essere il più convinto che i mass media sono i principali alleati della leadership contemporanea in quanto permettono al leader di entrare in contatto con i cittadini e di propagandare se stesso e le sue politiche. Più di ogni altro, e già dall’inizio della sua carriera politica, Sarkozy ha colto l’essenza della campagna permanente, secondo la quale la comunicazione politica non è solo da considerarsi una risorsa da utilizzare in campagna elettorale, ma uno strumento finalizzato sia a costruire l’immagine del leader sia a governare. Un’analisi particolarmente documentata di come Sarkozy si è rapportato ai mass media fin dagli anni Ottanta, quando divenne sindaco di Neuilly-sur-Seine, si trova nel volume Nicolas Sarkozy et la communication di Claire Artufel e Marlene Duroux. Dalla narrazione delle due autrici emerge chiaramente che Sarkozy e il suo staff sono sempre stati impegnati in un’operazione di news management, ovvero sono sempre stati guidati dallo scopo di influenzare i mass media e di imporre ad essi i temi centrali del dibattito politico. E hanno perseguito questo obiettivo con grande costanza e determinazione.

In particolare, Sarkozy appare da sempre impegnato in una strategia di “inondazione” dei mass media[3]. Lo si ritrova spesso sotto i riflettori televisivi, molte volte intervistato e ospite di programmi di approfondimento politico. Più spesso ancora, Sarkozy richiama l’attenzione dei media attraverso le sue dichiarazioni su una molteplicità di temi e argomenti. È questo il tratto distintivo del suo stile di comunicazione politica: il fatto di essere sulla notizia, di esprimersi sui temi del giorno cercando di aprire una pubblica discussione.

Questa strategia ha portato Sarkozy a non farsi limitare dai compiti istituzionali del momento. Anche da quando è ministro dell’Interno, egli interpreta il suo mandato in modo ampio e si esprime su materie che sono al di fuori delle sue dirette competenze[4]. Non si sottrae mai alle richieste dei media e assume di buon grado posizioni pubbliche su molti temi. In generale, Sarkozy ha puntato ad essere il primo ad aprire un dibattito ideologico su grandi temi come la laicità, la sicurezza, l’immigrazione. In questo si intravede una strategia di lungo periodo mirata a preparare il terreno alla candidatura presidenziale: Sarkozy ha voluto darsi l’immagine del politico che conosce a fondo i problemi della nazione e che è capace di assumersi le proprie responsabilità, qualità essenziali per chiunque voglia proporsi alla presidenza della repubblica francese. È un fatto acclarato che Sarkozy e il suo staff hanno una notevole conoscenza e pratica delle tecniche del marketing politico. L’ispirazione viene dall’emulazione di ciò che accade Oltreatlantico, negli Stati Uniti, della cui cultura politica Sarkozy non ha mai celato di essere un fervente ammiratore, peraltro in controtendenza rispetto alla tradizione francese, gollista in particolare. In primo luogo, Sarkozy è un «consumatore di sondaggi».[5] La circostanza non deve sorprendere in quanto in linea con una tendenza che si va affermando in tutte le democrazie europee. In Francia, tra parentesi, i sondaggi elettorali hanno una tradizione ben più consolidata rispetto, ad esempio, all’Italia, dove hanno iniziato ad essere impiegati regolarmente solo dopo la discesa in campo di Berlusconi. Certamente, Sarkozy ne fa un uso intensivo e, soprattutto, ne conosce le potenzialità non solo per predire le intenzioni di voto e misurare la popolarità di un uomo politico, ma anche per saggiare l’opinione pubblica sui temi della discussione politica. In generale, Sarkozy appare consapevole dell’importanza delle indicazioni che emergono dai sondaggi e dalle inchieste dei media a proposito delle priorità dei cittadini. Le questioni più scottanti, infatti, possono rivelarsi delle importanti opportunità: se un politico prende su di esse una posizione precisa, l’attualità del tema fa convergere l’attenzione dei media sulle sue proposte[6]. Questo è avvenuto, ad esempio, nel 2002, quando tutti i sondaggi sottolineavano il forte senso di insicurezza dei cittadini di fronte alla criminalità. Sarkozy, appena nominato ministro dell’Interno, poté allora muoversi su un terreno a lui assai propizio[7].

L’attenzione ai sondaggi non è l’unico tratto che “Sarkozy l’americano”, come viene talvolta chiamato dalla stampa francese in modo non precisamente lusinghiero, ha preso dagli Stati Uniti. È soprattutto su un certo gusto della politica-spettacolo che si sono appuntati i commenti e le critiche di molti osservatori. Nel 2004 quando venne eletto presidente dell’Ump, l’organizzazione dell’evento, affidata in gran parte alla moglie Cecilia, ruppe con la tradizione e tentò palesemente di imitare le convention dei partiti americani con tanto di filmato nel quale personaggi famosi nell’ambito della cultura e, soprattutto, dello spettacolo dichiaravano il loro sostegno al nuovo capo del partito. Altrettanto scenografico è stato l’evento organizzato al Palais des Sports de Paris il 12 maggio 2005 per il referendum sulla costituzione europea[8]. Negli ultimi tempi le critiche hanno, tuttavia, indotto Sarkozy a de-americanizzarsi un po’, almeno per quel che riguarda gli aspetti troppo plateali. Il congresso Ump dello scorso gennaio, in cui Sarkozy è stato nominato candidato alle elezioni presidenziali, ha costituito un buon compromesso tra le esigenze della politica mediatizzata e il gusto più sobrio dei francesi. Questa volta Cecilia Sarkozy, sempre al comando dell’operazione, ha optato per una messa in scena efficace, a conti fatti, pare, piuttosto costosa, ma priva di eccessi spettacolari. Inoltre, il palco è stato riservato esclusivamente a figure politiche, senza alcuna partecipazione da parte di sostenitori provenienti dalla società civile o dal mondo dello showbusiness. Anche nel momento finale e commovente della Marsigliese, introdotta da un coro e poi cantata dalle migliaia di sostenitori presenti a Porte de Versailles, sul palco accanto al candidato alla presidenza si sono stretti solo gli uomini e le donne simbolo del partito gollista. Il messaggio implicito del congresso è stata l’esaltazione del candidato Sarkozy non in quanto personaggio pubblico nella sua individualità, ma come leader dell’Ump sotto il segno del rassemblement, cioè della riunione delle diverse anime del partito.

Lo stile americano di Sarkozy, d’altronde, non si è sempre dimostrato una carta vincente. La scelta di qualche anno fa di esibire pubblicamente il proprio matrimonio, coinvolgendo la moglie nel suo lavoro e inondando la stampa di servizi e fotografie sulla coppia felice, ha avuto un effetto boomerang nel momento in cui la crisi matrimoniale e le reciproche infedeltà sono divenute di dominio pubblico. Come ha osservato Eric Zemmour su Le Figaro del 16 gennaio 2007, dopo aver giocato ai Kennedy su Paris-Match, Nicolas e Cecilia si sono ritrovati, loro malgrado, a far la parte dei Clinton. Il trattamento ricevuto dalla stampa, che ha trasformato senza troppi riguardi la vicenda in una soap opera scandalistica, ha sicuramente indotto a rivedere le strategie di comunicazione del candidato in direzione di una maggior discrezione, più in linea con la tradizione politica francese.

Il fatto di essere spesso in televisione, cercando evidentemente di stabilire un canale di comunicazione diretto con i suoi elettori, la grande visibilità, l’enfasi data all’immagine, il modo spesso provocatorio di porre le questioni all’attenzione del pubblico e, infine, l’essersi presentato sotto il segno di una discontinuità con il passato – la famosa rupture – ha indotto molti a chiedersi se Sarkozy appartenga a quella schiera sempre più nutrita di leader populisti che sono presenti in tutte le democrazie europee e che sono stati definiti “telepopulisti”[9], in quanto la televisione costituisce la loro primaria tribuna. Sul punto bisogna fare alcune osservazioni. L’uso della televisione contraddistingue certo molti attori politici populisti in quanto è attraverso la tv e i giornali più popolari che i movimenti populisti spesso riescono ad ottenere visibilità e consenso presso l’elettorato[10]. Non è però vero che tutti i leader che si servono della televisione in modo intensivo per costruire e rafforzare la loro immagine sono necessariamente populisti. Il populismo, soprattutto in Francia, è associato a forme estreme di nazionalismo e/o alla protezione di alcune categorie sociali, entrambi elementi che non sono presenti nel discorso di Sarkozy[11].

Più ambigua è la questione se la retorica di Sarkozy sia caratterizzata da accenti di antipolitica, intesa come modalità del linguaggio utilizzato da leader, partiti e movimenti che si oppongono all’establishment denunciandone la carenze nel governo e nella pubblica amministrazione[12]. Infatti, se è pur vero che Sarkozy non conduce mai un aperto attacco alle élite politiche, complessivamente il suo linguaggio rivela alcuni temi tipici dell’antipolitica, primo fra tutti, la retorica del cambiamento e della novità. La rupture, concetto che egli introduce per la prima volta nel settembre 2005, riassume in modo molto evocativo e sintetico argomenti che già da tempo ricorrevano nei suoi discorsi[13]. Sarkozy predica una politica nuova, meno ingessata in vecchi schemi, che affronti i problemi senza rimanere schiava di pregiudizi ideologici. La rupture rappresenta per lui essenzialmente una riscoperta di valori liberali e, al tempo stesso, l’adozione di un maggiore pragmatismo nella soluzione dei problemi. Inoltre, Sarkozy eredita direttamente dal generale de Gaulle, oltre che il senso dello Stato e l’orgoglio nazionale, anche una propensione a valorizzare il cittadino francese come più saggio e “più avanti” rispetto alla sua classe politica[14].

A differenza del generale, tuttavia, Sarkozy è un uomo di partito, che ha fatto la sua carriera all’interno del partito. Non ha nulla del leader outsider. La sua battaglia all’interno del partito contro gli uomini di Chirac rientra nella dinamica che consente a una dirigenza di sostituirne un’altra. Il fatto che abbia promosso una maggiore partecipazione dal basso, aumentando notevolmente il numero degli iscritti, rivela la sua vera vocazione. Sarkozy ha seguito con attenzione la costruzione dell’Ump, che ha contribuito a plasmare e a trasformare nella composizione dei suoi iscritti e sotto il profilo ideologico. È proprio questo aspetto che aiuta a inquadrare meglio il rapporto tra Sarkozy e la comunicazione politica. Se certamente si può affermare che è un leader mediatico, nel senso del rilevante ruolo esercitato dai mass media nella sua ascesa al potere, Sarkozy non può però essere considerato un autentico fenomeno mediatico, in quanto non è un leader costruito dai media né un leader che si appoggia interamente ai media e al sostegno dell’opinione pubblica. Il suo stile comunicativo all’avanguardia e la sua ricerca della popolarità possono certo indurre a stabilire paralleli con altri leader europei che non dispongono di altrettanto radicamento nel tessuto politico e sociale nazionale. La visione di Sarkozy, tuttavia, non è da interpretarsi come tentativo di contrapporre la leadership popolare ai partiti, scavalcandoli nel loro ruolo di intermediari sociali. Piuttosto, Sarkozy appare un politico  abbastanza tradizionale, ma che conosce a fondo le regole delle moderne campagne elettorali e si è mostrato capace di trarne vantaggio.

 

Note
1.       Riportato da Alain Peyrefitte, C’etait de Gaulle, Gallimard, Paris, 2002, p. 476.
  2.       Linda Kaid, Jacques Gerstlé, and Keith Sanders (a cura di), Mediated Politics in Two Political Cultures. Presidential Campaigning in the United States and France, Praeger, New York, 1991.
3.       Hertsgaart ha definito «manipolazione per inondazione» la strategia attraverso la quale lo staff di Reagan offriva giornalmente alla stampa dichiarazioni, materiale fotografico e notizie sull’operato del presidente al fine di controllare almeno in parte la copertura mediatica (M. Hertsgaart, On Bended Knee. The Press and the Reagan Presidency, Collins, Toronto, 1988).

4.       Claire Artufel e Marlene Duroux, Nicolas Sarkozy et la communication, Edition Pepper, Paris, 2006, p. 73.
5.       Artufel e Duroux, Nicolas Sarkozy et la communication, cit., p.91.
6.       Sul punto, in particolare proprio sul caso francese e le elezioni presidenziali, si veda J. Gerstlè, La communication politique, Colin, Paris, 2004, p. 152 e ss.
7.       Artufel e Duroux, Nicolas Sarkozy et la communication, cit., p. 167.
8.       Artufel e Duroux, Nicolas Sarkozy et la communication, cit., p.33, 47-48.
9.       Secondo la definizione di P. Taguieff, L’illusione populista, Mondadori, Milano, 2003, p. 121 sono considerati leader telepopulisti quelli che, originariamente al di fuori del sistema politico, emergono dallo spazio pubblico, criticando le élite e autoproclamandosi difensori dei diritti del popolo.
10.       G. Mazzoleni, J. Steward e B. Horsfield (a cura di), The Media and Neopopulism, Westport, Praeger, Conn..
11.       Artufel e Duroux, Nicolas Sarkozy et la communication, cit., p. 233.
12.       Per un’analisi del concetto di antipolitica, vedi A. Schedler, The end of politics? Exploration into Modern Antipolitics, Houndsmills, Macmillan, 1997; A. Mastropaolo, La mucca pazza della democrazia. Nuove destre, populismo e antipolitica, Torino, Bollati Bollinghieri, 2005; D. Campus, L’antipolitica al governo, il Mulino, Bologna, 2006.

13.       Sarkozy, Temoignage, XO Editions, 2006, p. 225 e ss.

14.       Sarkozy, Temoignage, cit, p. 190 e ss.




Donatella Campus, insegna Teoria delle organizzazioni e Sistema politico americano all’Università di Bologna e Politica italiana al Dickinson College di Bologna. Ha pubblicato L’antipolitica al governo. De Gaulle, Reagan, Berlusconi, il Mulino, 2006.

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