Nicolas Sarkozy è un leader mediatico. Questo
è almeno il modo in cui viene descritto da opinionisti, giornalisti e
studiosi. Il che equivale a dire che la sua ascesa alla testa del partito
gollista e la sua conquista della nomination presidenziale non possono
essere spiegate a prescindere dal suo modo di comunicare e di proporsi ai
mass media e al pubblico. Ma perché il fattore comunicazione politica è così
importante nella carriera di Sarkozy? In che cosa si distingue dagli altri
leader gollisti, Chirac in testa, e dai suoi avversari politici?
Innanzittutto, si deve sottolineare che la personalizzazione della politica
francese non nasce con Sarkozy. Come avviene abitualmente nei sistemi
presidenziali e semipresidenziali, anche le campagne elettorali francesi
sono incentrate sulle persone, sulle loro capacità e sul loro carattere.
D’altronde, il padre e ideatore della Quinta Repubblica, Charles de Gaulle,
volle fortemente l’elezione diretta del presidente della Repubblica proprio
per imporre «una scelta tra uomini con le loro caratteristiche personali e
la linea politica che rappresentano, non più una scelta tra partiti»[1].
Di conseguenza, i mass media francesi sono inclini ad enfatizzare l’horse
race, cioè la competizione tra i candidati. Soprattutto negli ultimi
vent’anni, complice la modernizzazione delle campagne elettorali, in Francia
si sono riscontrate similitudini con quel che accade negli Stati Uniti:
grande enfasi data ai sondaggi, alle immagini dei candidati, alla retorica
della gara tra due contendenti[2].
In questo senso, la campagna presidenziale del 2007, pur lasciando presagire
un duello elettorale particolarmente vivace e una partecipazione dei media
specialmente intensa, sarà in linea con le precedenti.
Per quale ragione, quindi, la comunicazione politica di Sarkozy ha attirato
e attira tanta attenzione? In primo luogo va detto che la mediaticità di
Sarkozy riguarda soprattutto il modo di orchestrare la sua partecipazione al
pubblico dibattito. Nel panorama politico francese, Sarkozy dimostra di
essere il più convinto che i mass media sono i principali alleati della
leadership contemporanea in quanto permettono al leader di entrare in
contatto con i cittadini e di propagandare se stesso e le sue politiche. Più
di ogni altro, e già dall’inizio della sua carriera politica, Sarkozy ha
colto l’essenza della campagna permanente, secondo la quale la comunicazione
politica non è solo da considerarsi una risorsa da utilizzare in campagna
elettorale, ma uno strumento finalizzato sia a costruire l’immagine del
leader sia a governare. Un’analisi particolarmente documentata di come
Sarkozy si è rapportato ai mass media fin dagli anni Ottanta, quando divenne
sindaco di Neuilly-sur-Seine, si trova nel volume Nicolas Sarkozy et la
communication di Claire Artufel e Marlene Duroux. Dalla narrazione delle due
autrici emerge chiaramente che Sarkozy e il suo staff sono sempre stati
impegnati in un’operazione di news management, ovvero sono sempre stati
guidati dallo scopo di influenzare i mass media e di imporre ad essi i temi
centrali del dibattito politico. E hanno perseguito questo obiettivo con
grande costanza e determinazione.
In particolare, Sarkozy appare da sempre impegnato in una strategia di
“inondazione” dei mass media[3].
Lo si ritrova spesso sotto i riflettori televisivi, molte volte intervistato
e ospite di programmi di approfondimento politico. Più spesso ancora,
Sarkozy richiama l’attenzione dei media attraverso le sue dichiarazioni su
una molteplicità di temi e argomenti. È questo il tratto distintivo del suo
stile di comunicazione politica: il fatto di essere sulla notizia, di
esprimersi sui temi del giorno cercando di aprire una pubblica discussione.
Questa strategia ha portato Sarkozy a non farsi limitare dai compiti
istituzionali del momento. Anche da quando è ministro dell’Interno, egli
interpreta il suo mandato in modo ampio e si esprime su materie che sono al
di fuori delle sue dirette competenze[4].
Non si sottrae mai alle richieste dei media e assume di buon grado posizioni
pubbliche su molti temi. In generale, Sarkozy ha puntato ad essere il primo
ad aprire un dibattito ideologico su grandi temi come la laicità, la
sicurezza, l’immigrazione. In questo si intravede una strategia di lungo
periodo mirata a preparare il terreno alla candidatura presidenziale:
Sarkozy ha voluto darsi l’immagine del politico che conosce a fondo i
problemi della nazione e che è capace di assumersi le proprie
responsabilità, qualità essenziali per chiunque voglia proporsi alla
presidenza della repubblica francese. È un fatto acclarato che Sarkozy e il
suo staff hanno una notevole conoscenza e pratica delle tecniche del
marketing politico. L’ispirazione viene dall’emulazione di ciò che accade
Oltreatlantico, negli Stati Uniti, della cui cultura politica Sarkozy non ha
mai celato di essere un fervente ammiratore, peraltro in controtendenza
rispetto alla tradizione francese, gollista in particolare. In primo luogo,
Sarkozy è un «consumatore di sondaggi».[5]
La circostanza non deve sorprendere in quanto in linea con una tendenza che
si va affermando in tutte le democrazie europee. In Francia, tra parentesi,
i sondaggi elettorali hanno una tradizione ben più consolidata rispetto, ad
esempio, all’Italia, dove hanno iniziato ad essere impiegati regolarmente
solo dopo la discesa in campo di Berlusconi. Certamente, Sarkozy ne fa un
uso intensivo e, soprattutto, ne conosce le potenzialità non solo per
predire le intenzioni di voto e misurare la popolarità di un uomo politico,
ma anche per saggiare l’opinione pubblica sui temi della discussione
politica. In generale, Sarkozy appare consapevole dell’importanza delle
indicazioni che emergono dai sondaggi e dalle inchieste dei media a
proposito delle priorità dei cittadini. Le questioni più scottanti, infatti,
possono rivelarsi delle importanti opportunità: se un politico prende su di
esse una posizione precisa, l’attualità del tema fa convergere l’attenzione
dei media sulle sue proposte[6].
Questo è avvenuto, ad esempio, nel 2002, quando tutti i sondaggi
sottolineavano il forte senso di insicurezza dei cittadini di fronte alla
criminalità. Sarkozy, appena nominato ministro dell’Interno, poté allora
muoversi su un terreno a lui assai propizio[7].
L’attenzione ai sondaggi non è l’unico tratto che “Sarkozy l’americano”,
come viene talvolta chiamato dalla stampa francese in modo non precisamente
lusinghiero, ha preso dagli Stati Uniti. È soprattutto su un certo gusto
della politica-spettacolo che si sono appuntati i commenti e le critiche di
molti osservatori. Nel 2004 quando venne eletto presidente dell’Ump,
l’organizzazione dell’evento, affidata in gran parte alla moglie Cecilia,
ruppe con la tradizione e tentò palesemente di imitare le convention dei
partiti americani con tanto di filmato nel quale personaggi famosi
nell’ambito della cultura e, soprattutto, dello spettacolo dichiaravano il
loro sostegno al nuovo capo del partito. Altrettanto scenografico è stato
l’evento organizzato al Palais des Sports de Paris il 12 maggio 2005 per il
referendum sulla costituzione europea[8].
Negli ultimi tempi le critiche hanno, tuttavia, indotto Sarkozy a
de-americanizzarsi un po’, almeno per quel che riguarda gli aspetti troppo
plateali. Il congresso Ump dello scorso gennaio, in cui Sarkozy è stato
nominato candidato alle elezioni presidenziali, ha costituito un buon
compromesso tra le esigenze della politica mediatizzata e il gusto più
sobrio dei francesi. Questa volta Cecilia Sarkozy, sempre al comando
dell’operazione, ha optato per una messa in scena efficace, a conti fatti,
pare, piuttosto costosa, ma priva di eccessi spettacolari. Inoltre, il palco
è stato riservato esclusivamente a figure politiche, senza alcuna
partecipazione da parte di sostenitori provenienti dalla società civile o
dal mondo dello showbusiness. Anche nel momento finale e commovente della
Marsigliese, introdotta da un coro e poi cantata dalle migliaia di
sostenitori presenti a Porte de Versailles, sul palco accanto al candidato
alla presidenza si sono stretti solo gli uomini e le donne simbolo del
partito gollista. Il messaggio implicito del congresso è stata l’esaltazione
del candidato Sarkozy non in quanto personaggio pubblico nella sua
individualità, ma come leader dell’Ump sotto il segno del rassemblement,
cioè della riunione delle diverse anime del partito.
Lo stile americano di Sarkozy, d’altronde, non si è sempre dimostrato una
carta vincente. La scelta di qualche anno fa di esibire pubblicamente il
proprio matrimonio, coinvolgendo la moglie nel suo lavoro e inondando la
stampa di servizi e fotografie sulla coppia felice, ha avuto un effetto
boomerang nel momento in cui la crisi matrimoniale e le reciproche infedeltà
sono divenute di dominio pubblico. Come ha osservato Eric Zemmour su Le
Figaro del 16 gennaio 2007, dopo aver giocato ai Kennedy su Paris-Match,
Nicolas e Cecilia si sono ritrovati, loro malgrado, a far la parte dei
Clinton. Il trattamento ricevuto dalla stampa, che ha trasformato senza
troppi riguardi la vicenda in una soap opera scandalistica, ha sicuramente
indotto a rivedere le strategie di comunicazione del candidato in direzione
di una maggior discrezione, più in linea con la tradizione politica
francese.
Il fatto di essere spesso in televisione, cercando evidentemente di
stabilire un canale di comunicazione diretto con i suoi elettori, la grande
visibilità, l’enfasi data all’immagine, il modo spesso provocatorio di porre
le questioni all’attenzione del pubblico e, infine, l’essersi presentato
sotto il segno di una discontinuità con il passato – la famosa rupture – ha
indotto molti a chiedersi se Sarkozy appartenga a quella schiera sempre più
nutrita di leader populisti che sono presenti in tutte le democrazie europee
e che sono stati definiti “telepopulisti”[9],
in quanto la televisione costituisce la loro primaria tribuna. Sul punto
bisogna fare alcune osservazioni. L’uso della televisione contraddistingue
certo molti attori politici populisti in quanto è attraverso la tv e i
giornali più popolari che i movimenti populisti spesso riescono ad ottenere
visibilità e consenso presso l’elettorato[10].
Non è però vero che tutti i leader che si servono della televisione in modo
intensivo per costruire e rafforzare la loro immagine sono necessariamente
populisti. Il populismo, soprattutto in Francia, è associato a forme estreme
di nazionalismo e/o alla protezione di alcune categorie sociali, entrambi
elementi che non sono presenti nel discorso di Sarkozy[11].
Più ambigua è la questione se la retorica di Sarkozy sia caratterizzata da
accenti di antipolitica, intesa come modalità del linguaggio utilizzato da
leader, partiti e movimenti che si oppongono all’establishment denunciandone
la carenze nel governo e nella pubblica amministrazione[12].
Infatti, se è pur vero che Sarkozy non conduce mai un aperto attacco alle
élite politiche, complessivamente il suo linguaggio rivela alcuni temi
tipici dell’antipolitica, primo fra tutti, la retorica del cambiamento e
della novità. La rupture, concetto che egli introduce per la prima volta nel
settembre 2005, riassume in modo molto evocativo e sintetico argomenti che
già da tempo ricorrevano nei suoi discorsi[13].
Sarkozy predica una politica nuova, meno ingessata in vecchi schemi, che
affronti i problemi senza rimanere schiava di pregiudizi ideologici. La
rupture rappresenta per lui essenzialmente una riscoperta di valori liberali
e, al tempo stesso, l’adozione di un maggiore pragmatismo nella soluzione
dei problemi. Inoltre, Sarkozy eredita direttamente dal generale de Gaulle,
oltre che il senso dello Stato e l’orgoglio nazionale, anche una propensione
a valorizzare il cittadino francese come più saggio e “più avanti” rispetto
alla sua classe politica[14].
A differenza del generale, tuttavia, Sarkozy è un uomo di partito, che ha
fatto la sua carriera all’interno del partito. Non ha nulla del leader
outsider. La sua battaglia all’interno del partito contro gli uomini di
Chirac rientra nella dinamica che consente a una dirigenza di sostituirne
un’altra. Il fatto che abbia promosso una maggiore partecipazione dal basso,
aumentando notevolmente il numero degli iscritti, rivela la sua vera
vocazione. Sarkozy ha seguito con attenzione la costruzione dell’Ump, che ha
contribuito a plasmare e a trasformare nella composizione dei suoi iscritti
e sotto il profilo ideologico. È proprio questo aspetto che aiuta a
inquadrare meglio il rapporto tra Sarkozy e la comunicazione politica. Se
certamente si può affermare che è un leader mediatico, nel senso del
rilevante ruolo esercitato dai mass media nella sua ascesa al potere,
Sarkozy non può però essere considerato un autentico fenomeno mediatico, in
quanto non è un leader costruito dai media né un leader che si appoggia
interamente ai media e al sostegno dell’opinione pubblica. Il suo stile
comunicativo all’avanguardia e la sua ricerca della popolarità possono certo
indurre a stabilire paralleli con altri leader europei che non dispongono di
altrettanto radicamento nel tessuto politico e sociale nazionale. La visione
di Sarkozy, tuttavia, non è da interpretarsi come tentativo di contrapporre
la leadership popolare ai partiti, scavalcandoli nel loro ruolo di
intermediari sociali. Piuttosto, Sarkozy appare un politico abbastanza
tradizionale, ma che conosce a fondo le regole delle moderne campagne
elettorali e si è mostrato capace di trarne vantaggio.
Note
1. Riportato da Alain Peyrefitte, C’etait de Gaulle, Gallimard, Paris,
2002, p. 476.
2. Linda Kaid, Jacques Gerstlé, and
Keith Sanders (a cura di), Mediated Politics in Two Political Cultures.
Presidential Campaigning in the United States and France, Praeger, New York,
1991.
3. Hertsgaart ha definito «manipolazione
per inondazione» la strategia attraverso la quale lo staff di Reagan offriva
giornalmente alla stampa dichiarazioni, materiale fotografico e notizie
sull’operato del presidente al fine di controllare almeno in parte la
copertura mediatica (M. Hertsgaart, On Bended Knee.
The Press and the Reagan Presidency,
Collins, Toronto, 1988).
4. Claire Artufel e Marlene Duroux, Nicolas Sarkozy et la
communication, Edition Pepper, Paris, 2006, p. 73.
5. Artufel e Duroux,
Nicolas Sarkozy et la communication, cit., p.91.
6. Sul punto, in particolare proprio sul caso francese e le elezioni
presidenziali, si veda J. Gerstlè, La communication politique, Colin, Paris,
2004, p. 152 e ss.
7. Artufel e Duroux, Nicolas Sarkozy et la communication, cit., p.
167.
8. Artufel e Duroux, Nicolas Sarkozy et la communication, cit., p.33,
47-48.
9. Secondo la definizione di P. Taguieff, L’illusione populista,
Mondadori, Milano, 2003, p. 121 sono considerati leader telepopulisti quelli
che, originariamente al di fuori del sistema politico, emergono dallo spazio
pubblico, criticando le élite e autoproclamandosi difensori dei diritti del
popolo.
10. G. Mazzoleni, J. Steward e B. Horsfield (a cura di), The Media and
Neopopulism, Westport, Praeger, Conn..
11. Artufel e Duroux, Nicolas Sarkozy et la communication, cit., p.
233.
12. Per un’analisi del concetto di antipolitica, vedi A. Schedler, The
end of politics? Exploration into Modern Antipolitics, Houndsmills,
Macmillan, 1997; A. Mastropaolo, La mucca pazza della democrazia. Nuove
destre, populismo e antipolitica, Torino, Bollati Bollinghieri, 2005; D.
Campus, L’antipolitica al governo, il Mulino, Bologna, 2006.
13. Sarkozy, Temoignage, XO Editions, 2006, p. 225 e ss.
14. Sarkozy, Temoignage, cit, p. 190 e ss.
Donatella Campus, insegna Teoria delle organizzazioni e Sistema politico
americano all’Università di Bologna e Politica italiana al Dickinson College
di Bologna. Ha pubblicato L’antipolitica al governo. De Gaulle, Reagan,
Berlusconi, il Mulino, 2006.
(c)
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