Sinistra e banche
di Francesco Forte
Ideazione di marzo-aprile 2006

 

“Secondo una tesi largamente diffusa una vittoria delle sinistre, solitamente, conviene ai grandi gruppi economici perché il legame del governo di sinistra con le centrali sindacali garantisce la pace sociale. Questa tesi, in Italia, ha avuto una verifica non positiva con la concertazione degli anni Novanta. Il prezzo che è stato pagato per la pace sociale dalla finanza pubblica e dal mercato è stato molto alto e s’è ripercosso anche sulla legislatura ora al termine. Una volta stabilita la concertazione è difficile liberarsene, salvo azioni traumatiche, dato il potere quasi istituzionale che essa genera per i sindacati. Così il bilancio del settore statale è stato oberato dal rinvio della riforma delle pensioni d’anzianità di cinquantenni con solo 30-35 anni di contributi. Il continuo ripiano di debiti pregressi delle gestioni sanitarie, anch’esso parte integrante della politica di concertazione, ha quasi annullato il beneficio finanziario delle privatizzazioni sul rapporto debito/pil. La concertazione ha anche avuto costi gravosi in termini di rinunce alla competitività. La fiat è entrata in crisi progressiva negli anni ’95-2003, perché i capi dovevano essere scelti in base alla capacità di negoziare coi sindacati, ma non fu possibile effettuare licenziamenti e modifiche d’orari di lavoro nelle fabbriche del Nord, né adottare salari differenziati in quelle del Sud. La concertazione comportò il rinvio delle forme di flessibilità del pacchetto Biagi, attuato solo successivamente. Il varo della riforma delle pensioni di anzianità, fatto in questa legislatura è stato parziale ed ha chiuso la stalla quando gran parte dei buoi era scappata. Il potere di veto delle centrali sindacali nazionali ha anche bloccato la previdenza integrativa libera. Con conseguente danno per lo sviluppo di fondi pensione e di previdenza assicurativa privati. La contrattazione regionale con diversificazione dei contratti per il Sud è ancora impossibile. Ed il caso Alitalia mostra quanto sia difficile operare risanamenti aziendali, anche non traumatici, di imprese che diversamente rischiano il fallimento.
Con la vittoria di un centrosinistra compatto questo potere anomalo si rafforzerebbe, con nuovi danni per l’economia e nuovi problemi per la finanza pubblica. Ma questo successo di un centrosinistra compatto non appare più possibile, perché il blocco economico che l’alimentava, s’è dissolto per il trauma dello scandalo bancario del 2005. E a me pare che fra questo evento e l’esigenza dei grandi gruppi economici di indebolire il potere del sindacato nella concertazione vi sia un legame.

Il trauma dello scandalo bancario del 2005

La concertazione bancaria e quella fra banca e industria si sono dissolte alla fine del 2005, prima dell’avvento del centrosinistra, ma nella previsione d’un suo probabile avvento. L’evento traumatico, che ha generato ciò, cioè lo scandalo delle scorrettezze e azioni illegali del gruppo di finanza rossa imperniato su Unipol, dotata di fitti rapporti organici coi ds, in collegamento con Banca Popolare Italiana e col gruppo finanziario Gnutti, tramite hopa, s’è verificato a causa degli errori e degli abusi di questi corsari finanziari, resi arroganti dalla previsione d’una vittoria del centrosinistra. Ma lo scandalo è anche emerso, a livello politico, tramite la divulgazione delle intercettazioni telefoniche, compiuta soprattutto dal Corriere della Sera con una sapiente distribuzione temporale. Il Sole 24 Ore ha provveduto a fare un’analisi accurata delle notizie che trapelavano dagli uffici giudiziari e di quelle che venivano dalle difese delle parti e dalle azioni legali delle controparti, così da far emergere in pieno che sia bpi che hopa controllata da Gnutti sono state non solo compartecipi ma principalmente vittime di Unipol, nei vari affari compiuti assieme e in previsione di quelli nuovi in futuro. Il Corriere della Sera e Il Sole 24 Ore hanno proprietà diverse, ma sono fra loro collegate tramite il gruppo finanziario e industriale che fa capo a Mediobanca. Tramite le indagini giudiziarie, in questo modo probabilmente ulteriormente stimolate, è emerso che queste operazioni corsare erano la premessa per la scalata a Rizzoli Corriere della Sera e Mediobanca e poi a Telecom e fiat. È probabilmente l’intuizione che ciò fosse nei piani della finanza corsara di Unipol, in collegamento con il partito di riferimento, che ha indotto quei gruppi ad una campagna di stampa martellante per la richiesta di dimissioni del governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio e alla modifica dello statuto della Banca d’Italia, per eliminare i poteri eccezionali del governatore (nomina a vita e potere di decisione monocratica non trasparente nella politica bancaria).
Ciò ha consentito al governo di superare le resistenze che rispetto a ciò venivano, non tanto da un ristretto numero di parlamentari della maggioranza, quanto dal fatto che, per un governo, chiedere le dimissioni di un governatore nominato a vita e promuovere la riforma della Banca Centrale, diminuendo drasticamente i poteri del suo vertice, può apparire una grave interferenza nella autonomia monetaria. Cosa tanto più delicata per uno Stato col deficit di bilancio al di sopra dei parametri di Maastricht ed il rischio di crescita del rapporto debito/pil .

Il riflesso sulla politica italiana: la crisi della seconda repubblica

Ha così avuto luogo la destituzione del governatore Fazio, costretto a dimettersi dal pressing del governo, che minacciava una riforma che toglieva ogni potere alla Banca d’Italia sulle banche e perciò generava una rivolta interna contro di lui oltreché svuotare il suo incarico. Ed è stata attuata quella riforma delle regole riguardanti il controllo delle banche e la tutela del risparmio che il governo aveva più volte tentato di introdurre e che erano state in precedenza avversate, anche dagli ambienti delle grandi banche, in quanto implicano il tramonto della concertazione bancaria, per le ragioni che fra poco cercherò di chiarire. La riforma è andata più oltre, ha tolto alle grandi banche la proprietà della Banca d’Italia, cosa in precedenza impensabile. Ma che esse hanno accettato di buon grado, in quanto non più interessate alla concertazione bancaria con la regia di Banca d’Italia.
Ma tutto ciò implica che ora il sistema bancario italiano è quasi tutto contendibile. E ciò ha anche cambiato il futuro della politica italiana. Infatti ha mutato radicalmente le prospettive della finanza rossa, costituita dal gruppo Unipol, ma anche dal Monte dei Paschi di Siena e dalle grandi banche sotto il controllo locale di ds come il San Paolo imi: che d’ora in poi non potranno più contare su questa protezione per evitare d’essere preda di grandi gruppi internazionali.
Il potere dei ds che della duplice concertazione, sindacale e delle banche, sono stati padrino e beneficiario, risulta ridimensionato. E comunque le ragioni dell’alleanza fra grandi gruppi industriali e bancari e ds si sono indebolite ponendo in crisi la cosiddetta seconda repubblica. C’è una logica, nell’internazionalizzazione del capitalismo, che pone in crisi i modelli con cui i ds hanno cercato di assidersi nel sistema di capitalismo di mercato, conservando la propria struttura di potere, fatta di intrecci fra interessi economici capillari e consenso politico.

Nascita e sviluppo del modello di concertazione bancaria

Vediamo ora come è nata la concertazione bancaria e come s’è caratterizzata politicamente. La privatizzazione delle banche nei primi anni Novanta fu resa necessaria dall’adesione al Trattato di Maastricht. Essa però non ha generato, nel sistema degli intermediari finanziari, un regime di libera economia di mercato. Invece, col favore del centrosinistra a ciò omogeneo, s’è sviluppato un modello di concertazione, che ha ritardato l’ammodernamento del sistema bancario e danneggiato l’economia complessiva. Infatti s’è realizzato il consolidamento patrimoniale e strutturale del sistema bancario italiano: ma a carico dei clienti, risparmiatori e imprese. La concertazione sindacale e bancaria ostacolando le ristrutturazioni e i ricambi competitivi nell’industria e nel commercio e rincarando il credito ha compresso i profitti e il processo d’accumulazione. Il ritardo nello sviluppo dei fondi pensione, il mancato ammodernamento delle banche, brave nello smerciare titoli, ma non nell’assistere le imprese nello sviluppo, secondo concetti propri d’una economia competitiva, hanno favorito il boom immobiliare e ridotto il finanziamento dal capitale di rischio delle imprese.
Le banche, grazie alle deformazioni istituzionali attuate per salvaguardare il potere delle forze politiche che s’erano in esse insediate, anziché competere fra di loro, si sono messe in concerto, sotto la regia di Banca d’Italia. Ed hanno fatto sistema, per usare un’espressione di Luca Cordero di Montezemolo, attuale (non casuale) presidente di Confindustria e del gruppo fiat. Dati gli incroci azionari fra le grandi banche e i due maggiori gruppi industriali privati, fiat e Telecom Italia, il sistema in questione ha riguardato anche la grande industria. Con una variante rispetto al sistema di intreccio fra banca e industria dell’Italia nella prima parte del Novecento: quello della preminenza della banca sull’industria anziché viceversa. Ciò deriva dalla scarsità di finanziamenti azionari del grande capitalismo privato italiano, oltreché delle piccole e medie imprese. Le acquisizioni private di imprese pubbliche mediante le privatizzazioni sono state finanziate largamente dal sistema bancario, direttamente e tramite emissione di obbligazioni sostenute dalle banche. La concertazione e la connessa pax bancaria che hanno caratterizzato il sistema bancario italiano, dalla seconda metà degli anni Novanta in poi, si sono fondati su un intreccio fra politica ed economia che, grazie alla regia di Banca d’Italia, ha retto anche quasi per tutto il periodo berlusconiano. Ed è stato anche alla base d’una parte non minore delle difficoltà in cui il governo Berlusconi si è trovato: avendo contro non solo i sindacati, ma anche la Confindustria, la grande stampa e gran parte delle industrie culturali collegate e così, spesso, anche Confcommercio.
La concertazione bancaria si avvaleva di tre punte e di un grande alleato, operante in proprio. Le tre punte erano:
a) Le fondazioni bancarie, derivate dalla “privatizzazione” delle banche pubbliche, ai cui vertici si sono insediati abili banchieri legati a Romano Prodi o ai ds.
b) La finanza rossa controllata e alimentata dal sistema cooperativo, forte di privilegi fiscali e regionali di protezioni politiche; il suo collegamento con gruppi corsari privati, auspice il governatore della Banca d’Italia, ha dato luogo a un nuovo blocco di potere inusuale.
c) La Banca d’Italia, come regista e collante del sistema, tramite il governatore a vita, Antonio Fazio, proveniente culturalmente dalla sinistra cristiana, circondato di tecnocrati rossi e sotto l’influenza dei gruppi bancari proprietari della maggioranza del pacchetto azionario di Banca d’Italia.
Il grande alleato, operante in proprio, era la finanza laica di Piazza Cuccia, cioè Mediobanca col suo intreccio con rcs e il suo legame con Confindustria e col gruppo editoriale e industriale di Repubblica e con Carlo De Benedetti.
In Italia vi sono circa 810 banche, fra quelle grandi, medie e piccole. Ma un drappello di 8 gruppi bancari domina, sostanzialmente, il sistema. Si tratta innanzitutto di 6 grandi banche di credito ordinario e/o polivalenti: Credito Italiano, Banca Intesa, San Paolo-Imi, Capitalia, Banca Nazionale del Lavoro, Monte dei Paschi. C’è poi Mediobanca, la maggior banca d’affari italiana, che tramite i collegamenti con vari gruppi industriali ha una voce determinante nella Confindustria. Il new comer è Unipol, un intreccio assicurazione-banche con Unipol banca e Unipol merchant. Le fondazioni bancarie sorte con la legge Amato del 1990 sono 86, con 36 miliardi di euro di patrimonio. Ma il 55 per cento di esso è di 6 fondazioni: la Fondazione Cariplo (Cassa di Risparmio delle Province Lombarde), la Fondazione San Paolo, l’Ente Cassa di Risparmio di Roma, il Monte dei Paschi di Siena, Cariverona, la Fondazione crt (Cassa di Risparmio di Torino). I 5 grandi gruppi bancari di credito ordinario o polivalente derivano, in tutto o in parte, dagli istituti bancari delle fondazioni bancarie. Due, il Monte dei Paschi e il San Paolo (in cui è confluito anche il Banco di Napoli, banca statale andata in dissesto) erano, in origine, soggetti autonomi pubblici controllati dagli enti locali. La Fondazione Monte dei Paschi è ora sotto il controllo monocolore dei ds senesi. La Fondazione San Paolo è sotto il controllo dei ds del Piemonte. Gli altri tre gruppi, Unicredito, Banca Intesa e Capitalia, derivano dalla fusione fra tre spa bancarie del gruppo iri privatizzate (Credito italiano, Banca Commerciale, Banco di Roma) con ex casse di risparmio appartenenti a fondazioni bancarie. Nella Cassa di Risparmio di Roma, era preminente (specie dopo l’incorporazione del Banco di Santo Spirito) la finanza cattolica collegata ad ambienti vaticani. Le altre tre grandi Casse di Risparmio sono cadute negli anni Novanta nella sfera di controllo della sinistra democristiana. Così Unicredito e Banca Intesa hanno vertici prodiani. bnl, già proprietà del Tesoro, è stata privatizzata, facendo in modo che la presidenza andasse a Luigi Abete, ex presidente di Confindustria, supporter di Prodi nel traghettamento dalla prima alla seconda repubblica. La sinistra dc, nel crepuscolo della prima repubblica, dedicò gran parte delle sue energie a costruirsi un potere bancario, in parte nelle fondazioni bancarie, in parte in Banca d’Italia. Ciò ad imitazione di quel che avevano fatto con successo, nel ’45-’46, i tecnocrati del Partito d’azione che s’erano arroccati nella Banca Commerciale, in Mediobanca e in Banca d’Italia.
La concertazione bancaria ora è crollata, perché Banca d’Italia non ne sarà più regista e non impedirà più di tanto la contendibilità delle banche italiane. E la finanza rossa s’è posta in conflitto col grande alleato, ex custode della pax bancaria, che sta a Piazza Cuccia e possiede i cannoni di rcs. Il centrosinistra, candidato a governare l’Italia, è dunque fatto di tre componenti, connesse a tre gruppi bancari e di affari economici, che non sono più fra loro in concertazione, ma in contrasto non effimero. E ciascuna delle grandi banche pensa per sé, in relazione alla competizione internazionale. Inoltre s’è sgretolato l’incrocio fra grandi banche e grande industria, come s’evince dal fatto che Monte dei Paschi e San Paolo hanno venduto le loro azioni fiat. Non ci potrà essere una maggioranza stabile di centrosinistra, fondata su questa piattaforma economica. E cade la contrapposizione frontale fra centrodestra e blocco di sinistra, collegato al compatto conglomerato di poteri finanziari, che ha caratterizzato la seconda repubblica ma che ora è infranto.


Francesco Forte, uno dei massimi esperti di finanza e analisi economica è stato ordinario di Scienza delle finanze nelle più prestigiose università italiane.

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